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Okra: l’ortaggio dai mille usi

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Questa pianta, oltre al frutto commestibile, ci regala una mucillagine dalle proprietà emollienti e una fibra addatta per la tessitura.
Okra: l’ortaggio dai mille usi
Abelmoschus esculentus (gombo)
Esposizione: pieno sole
Esigenze nutrizionali: medio alte
Esigenze idriche: moderate
Propagazione: semina
Periodo di semina: da marzo a maggio
Parti utilizzate: frutti
Chiamata anche gombo, l’okra è una pianta originaria del Sud Est asiatico, ed è diffusa in tutti i paesi tropicali e sub tropicali. In particolare, è un ingrediente tipico delle cucine indiana, africana, balcanica, greca, libanese e turca, mentre nel nostro paese la sua coltivazione e l’uso sono stati sempre piuttosto marginali.
Tuttavia, di recente la pianta si sta scoprendo, si può prevedere che avrà una certa diffusione, anche perché è senza dubbio adatta alla coltivazione amatoriale negli orti, visto che non richiede tecniche sofisticate e con il nostro clima cresce senza problemi all’aperto.
Per via dei suoi frutti sottili e allungati, l’okra viene chiamata anche “dita di dama”.
Da questa pianta si ottiene oltre al frutto, simile a un peperone, anche una mucillagine presente nelle radici che è un emolliente naturale, mentre dalle parti rigide si può ricavare una fibra da tessitura.
Siccome l’okra secerne un liquido appiccicoso, i bambini africani si divertono ad attaccare ovunque i piccoli frutti.
Il nome botanico dell’okra è Abelmoschus esculentus, e fa parte della famiglia delle Malvacee. Si tratta di una specie erbacea che ha vita perenne nei luoghi di origine, e che si comporta come annuale negli areali temperati come il nostro. Il fusto può raggiungere, in certi casi, anche i due metri di altezza, e si dirama ad ogni nodo con foglie grandi, lunghe fino a 20 cm e lobate. I fiori sono molto graziosi; di forma campanulata, ricordano quelli di altre malvacee ornamentali e hanno colore bianco o giallo tenue, con una sfumatura violacea o rossa alla base della corolla. Si aprono al mattino presto per richiudersi nel pomeriggio. Dopo la fecondazione del fiore si genera un frutto, che è una capsula capace di raggiungere i 15-18 cm di lunghezza contenente all’interno i semi. Il frutto ha colore verde e ricorda vagamente un peperone, benché dotato di una buccia meno lucente, e caratterizzato da una sezione interna pentagonale.

Reperibilità della semente

Le sementi dell’okra possono essere reperite presso centri di giardinaggio ben forniti, oppure via internet. Dopo il primo acquisto, è possibile raccogliere i semi dei frutti che lasciamo arrivare a maturazione piena e conservarli per la semina dell’anno successivo.

ESIGENZE DELLA PIANTA

Terreno, posizione e clima

L’okra è originaria di zone a clima tropicale, di conseguenza non tollera il freddo e muore con temperature gelide. Il periodo adatto alla coltivazione nel nostro paese è quindi senza dubbio quello primaverile-estivo, con temperature ottimali di crescita attorno ai 20-25 °C.
In generale la coltivazione di questa pianta si può associare al ciclo di tante altre colture macroterme più comuni, come zucche, meloni e peperoni, e impostare la sua coltivazione prevedendo il trapianto negli stessi periodi di queste.
Al sud Italia la coltivazione è più favorita rispetto al nord e il trapianto può essere anticipato di qualche settimana.
L’okra tollera il caldo, anche accompagnato ad una moderata siccità, e si adatta ad ogni terreno purché non asfittico. Predilige trovarsi al sole pieno, non ama essere penalizzata troppo da fonti di ombreggiamento.

TECNICHE DI COLTIVAZIONE

Preparazione del terreno e concimazione

Il terreno deve essere preliminarmente lavorato e portato ad un sufficiente grado di sofficità. La classica vanga, o in alternativa il forcone che non rivolta le fette di terra, eseguono la lavorazione principale, poi la zappa e il rastrello servono per rompere le zolle rimaste e per pareggiare la superficie. Nel lavorare il terreno bisogna incorporare ammendanti come il compost maturo, o eventualmente il letame, nelle dosi di almeno 3-4 kg/ mq, a cui aggiungere stallatico pellettato, cenere di legna o fertilizzanti minerali naturali, come le zeoliti o le fosforiti.

La semina e i sesti di impianto

La tecnica consigliata è quella della semina in semenzaio, al quale bisogna dedicare una certa attenzione, iniziando con la scelta dei materiali migliori.
Come contenitori possiamo usare le classiche vaschette nere o, per essere ancora più ecologici, preferire vasetti fabbricati con materiale biodegradabile come la lolla di riso, che si stanno diffondendo sul mercato. Il terriccio deve essere di buona qualità, idealmente quello specifico per le semine, che è più fine, privo di resti grossolani. Il seme dell’okra è abbastanza grande da consentire di metterne uno in ciascun contenitore, o al massimo due con successiva ripicchettatura delle piantine nate.

La semina in ambiente protetto può avvenire da marzo, o anche a febbraio al sud, fino ad aprile. Nelle settimane successive ci prenderemo cura del semenzaio, irrigando spesso le piantine e ricordandoci di arieggiare la serra nelle ore centrali della giornata, per evitare il ristagno di umidità.

Quando le piantine emettono più di due foglie vere, esclusi i cotiledoni, che sono le due foglioline di germinazione, possiamo effettuare il trapianto.
Disporre di tante piantine ci permette di scegliere quelle migliori e più uniformemente sviluppate, da mettere in terra a distanza di 50 cm le une dalle altre sulla fila e tenendo 70-80 cm tra le file, più o meno come per i pomodori.
Per irrigare, il migliore sistema è quello a goccia, che deve essere già predisposto al momento del trapianto, perché sarà utile soprattutto nelle prime fasi della coltura. Anche la pacciamatura è consigliata, perché tiene pulito dalle erbe infestanti, competitive nel primo periodo, quando le piantine di okra sono ancora basse. Se si vogliono usare dei teli neri biodegradabili bisogna stenderli prima di trapiantare: sui teli verranno praticati fori alle distanze giuste, in cui mettere le piantine. Se si opta per una pacciamatura naturale a base di paglia o di erba appassita, invece si procede a distribuirle sul terreno anche successivamente, ma sempre senza aspettare troppo, altrimenti l’erba inizia a crescere.
La semina diretta dell’okra è un’alternativa possibile al trapianto, ma deve essere ritardata di quasi un mese rispetto alla semina in semenzaio, e quindi a seconda delle regioni, può avvenire a fine marzo al sud e a fine aprile al nord. Il terreno in questo caso deve essere ben affinato per garantire un buon letto di semina alla coltura. La semina diretta si esegue a postarelle di 3 o 4 semi, distanziando le postarelle di circa 50 cm, come nel trapianto delle piantine. Se nascono più piantine da ogni postarella dovremo poi scegliere la migliore ed eliminare le altre. Bisogna sempre tenere presente che la semina diretta comporta qualche svantaggio, ovvero il possibile soffocamento da parte delle erbe infestanti, per cui è sicuramente preferibile investire tempo e spazio per allestire una serra semenzaio.

Operazioni colturali

Durante le prime fasi di sviluppo delle piantine, l’acqua non deve mai mancare. Ovviamente bisogna intervenire in base alle condizioni meteo e alla natura del terreno, ovvero alla sua attitudine ad asciugarsi più o meno rapidamente dopo ogni pioggia. Oltre all’uso dell’impianto a goccia, ogni due settimane è utile irrigare manualmente con macerati diluiti di ortica, che apportano ulteriori nutrienti come azoto e ferro, da integrare alla concimazione di fondo somministrata prima del trapianto. Comunque, con la pacciamatura, gli interventi irrigui si riducono sensibilmente e si risparmia acqua.
Anche quando la pianta si è sviluppata in altezza non sono necessari i sostegni come per i pomodori, perché l’okra ha radici e stelo robusti, che le consentono di stare in piedi da sola. Ciò è favorito molto dalla pratica della rincalzatura, ovvero l’addossare con la zappa una montagnetta di terra alla base, operazione preclusa dalla pacciamatura con i teli e invece consentita in quella a base di paglia o erba, che si possono momentaneamente rimuovere per l’occasione.

Coltivazione in vaso

L’okra si può coltivare anche in vaso o in cassette e fioriere, esattamente come si possono coltivare sul balcone tanti altri ortaggi. Trattandosi di una pianta voluminosa, il vaso deve essere tale da assicurare abbastanza terra alle radici, quindi deve misurare almeno 30 cm in profondità e altrettanto di diametro. In fioriere lunghe si possono mettere due o tre piante in fila.
In vaso le irrigazioni devono essere frequenti e il terriccio deve essere di buona qualità, arricchito di abbondante compost e di qualche altro fertilizzante, come stallatico pellettato o concimi liquidi di derivazioni naturali, ammessi in agricoltura biologica.

PRINCIPALI MALATTIE E PARASSITI

Difficilmente la pianta dell’okra è soggetta a malattie o ad attacchi parassitari, per questo la coltivazione biologica è senza dubbio adatta a questa specie.
Tuttavia, possono capitare attacchi di oidio, o mal bianco, che si prevengono eliminando le foglie vecchie alla base delle piante, per arieggiare la vegetazione, e si controllano con trattamenti a base di bicarbonato di sodio diluito in acqua.

RACCOLTA E CONSERVAZIONE

La raccolta dell’okra avviene durante tutta l’estate e bisogna stare attenti, perché la pianta è abbastanza urticante sulla pelle. Anche se fa caldo, quindi, conviene vestirsi con maniche e pantaloni lunghi per passare tra le piante, soprattutto se sono molte, e naturalmente usare i guanti. L’operazione si esegue con delle forbici, come quelle che si usano per potare.
I frutti, lasciati sviluppare fino a maturità, raggiungono oltre i 15 cm di lunghezza, ma la raccolta per il consumo deve avere luogo molto prima, quando sono ancora teneri e delle dimensioni di un dito mignolo. Aspettare significa raccogliere frutti fibrosi e difficili da cucinare, e con il caldo anche un giorno di attesa può essere negativo, visto che la crescita procede a ritmi spediti. Ma niente paura: se alcuni frutti ci sfuggono e vengono dimenticati sulla pianta, possiamo sempre utilizzarli per la raccolta dei semi e quindi per la coltivazione dell’anno successivo.

UTILIZZO

I frutticini, tagliati a fettine si consumano in padella, al vapore o anche alla griglia. I tempi di cottura sono brevi, di 10 minuti al massimo. Spesso hanno una certa consistenza viscida, che può essere evitata con un bagno preliminare in acqua e aceto, per circa un quarto d’ora.
Possiamo anche scegliere di cucinare l’okra intera al forno, oppure fritta in una pastella.
Il sapore è delicato e si presta ad essere arricchito in fase di cottura da peperoncino piccante, curry, aglio o cipolla.
L’okra si può anche consumare cruda in insalata o pinzimonio.
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Articolo tratto dal libro Ortaggi insoliti

Più biodiversità nell’orto e più varietà a tavola: è questo l’invito lanciato dagli autori di Ortaggi insoliti, dedicato alla coltivazione biologica di piante di elevato valore nutrizionale e grande interesse culinario, ma poco presenti nei nostri orti. I casi più eclatanti sono quelli dello zenzero, delle bacche di goji e della stevia, diventati negli ultimi anni molto popolari per le loro riconosciute virtù, eppure ancora poco coltivati in Italia.
Meno noti al grande pubblico, ma non per questo privi di interesse, sono la cicerchia, il lampascione e la portulaca, da sempre coltivati e consumati solo in alcune zone molto ristrette.

Nella lunga lista degli ortaggi insoliti ritroviamo anche verdure di pregio d’origine asiatica, africana o sud americana, ma che ben si adattano anche al nostro clima, come il pak choi, l’okra, la minzuna, il kiwano o il chayote. Non poteva mancare il lungo elenco di ortaggi nostrani, come la pastinaca, la scorza nera, il topinambur, l’erba di San Pietro, il farinaccio, che per secoli hanno rappresentato una preziosa fonte di nutrimento, ma che oggi sono caduti nell’oblio perché soppiantati da specie più produttive o semplicemente più richieste dal mercato.
In totale nel libro vengono presentati 36 tra ortaggi, piccoli frutti e tuberi, a ognuno dei quali è dedicata una scheda approfondita con tutte le informazioni necessarie per la coltivazione. Un modo semplice e concreto per rendere i nostri orti più variegati e contrastare il processo di impoverimento della biodiversità e della nostra stessa dieta.
 
 

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