La meditazione di tipo mindfulness aiuta le menti indebolite in due modi.
Le modifiche nelle cellule nervose cerebrali (neuroplasticità) indotte dalla meditazione e le onde cerebrali generate da essa hanno un beneficio diretto in termini di migliore concentrazione, focalizzazione e memoria. La mindfulness ha anche effetti secondari, poiché riduce i fattori di rischio che accelerano l’Alzheimer. La pressione alta, il colesterolo e i livelli di cortisolo elevati, lo stress e l’obesità sono tutti fattori che favoriscono questa malattia.
In una società dove il sale (sodio) si annida praticamente in ogni cibo che noi mangiamo in grandi quantità, in cui lo stress è diventato un modo di vivere, la pressione alta è la naturale conseguenza. La profonda interazione e correlazione esistente tra geni, ambiente, stile di vita e abitudini alimentari ci ha condotti dritti all’iperlipidemia e al diabete. E non sorprende che i farmaci per contrastare queste malattie siano usciti a fiumi dagli stabilimenti delle aziende farmaceutiche. Si possono considerare salvavita non solo perché riducono il numero dei malati, ma anche perché contrastano le complicazioni che vengono al traino, siano coronariche che vascolari. Ma, per dirla tutta, queste sostanze chimiche hanno anche effetti collaterali, generano interazioni tra farmaci e problemi di assuefazione.
La meditazione può essere utilizzata come misura complementare? Può prevenire o ridurre al minimo la nostra dipendenza dai farmaci?
Solide prove dei suoi benefici effetti anti-ipertensivi sono emersi dalla ricerca condotta alla Kent State University in Ohio. Pubblicato nell’ottobre 2013 su Psychosomatic Medicine: Journal of Biobehavioral Medicine, lo studio ha mostrato come la mindfulness, insieme alle tecniche dello yoga, riescano ad abbassare la pressione sanguigna nei pazienti con pre-ipertensione, condizione in cui si hanno valori pressori più alti del normale ma non sufficientemente elevati da richiedere l’assunzione di farmaci.
La pre-ipertensione non è associata solo all’Alzheimer, ma anche a un’ampia gamma di cardiopatie e altri problemi cardiovascolari.
Il gruppo “attivo” dei pazienti dello studio ha frequentato otto sessioni collettive composte da esercizi di visualizzazione del corpo, meditazione seduta ed esercizi di yoga per due ore e mezzo a settimana. Venivano anche incoraggiati a praticare la mindfulness a casa. Il gruppo di controllo aveva ricevuto consigli sullo stile di vita e si era impegnato in attività di rilassamento muscolare. I risultati hanno mostrato che i pazienti nel gruppo della mindfulness avevano avuto una riduzione significativa dei valori della pressione.
Egualmente incoraggianti sono stati anche i risultati della meditazione Raja yoga (una forma di mindfulness) sul colesterolo, altro fattore di rischio per il morbo di Alzheimer. In uno studio condotto al B.J. Medical College and Civil Hospital in India, quarantanove pazienti donne sono state suddivise in non-praticanti (chi non aveva mai provato alcun tipo di meditazione), praticanti a breve termine (da sei mesi a cinque anni) e praticanti a lungo termine (da o per più di cinque anni). I risultati hanno attestato che sia il colesterolo sierico che il colesterolo delle lipoproteine a bassa densità erano significativamente più bassi tra i praticanti a breve e a lungo termine rispetto a chi non aveva mai meditato, soprattutto nelle donne in menopausa.
Come precursori dell’Alzheimer, l’ictus, la coronaropatia, il diabete, la pressione alta e l’obesità sono un vero flagello per la nostra società. Eppure, mentre a occupare la scena sono stati le pillole antiobesità, la chirurgia per la riduzione del peso e gli integratori nutrizionali, la meditazione emerge come un’opzione potente e priva di rischi per ridurre il peso corporeo. Una ricerca pionieristica condotta insieme dall’università della California e dall’università statale dell’Indiana ha misurato gli effetti della mindfulness sul grasso addominale nelle donne sovrappeso e obese. Il programma consisteva in nove sessioni da due ore e mezzo ciascuna e una giornata con sette ore in silenzio e una pratica di meditazione guidata. Le partecipanti erano anche guidate, sempre attraverso la meditazione, verso pratiche alimentari consapevoli, come fare attenzione alla sensazione fisica di fame, di sazietà, di soddisfazione del gusto e di particolari desideri alimentari. È emerso che le partecipanti che avevano riportato i miglioramenti più evidenti nella pratica della mindfulness erano quelli che avevano riportato la riduzione maggiore del grasso addominale. Questo prova chiaramente la forza della mente sulla materia. Inoltre, sono state notate riduzioni significative nell’ormone dello stress, sempre correlato alla riduzione del grasso addominale.
Lo stress è di fatto l’epicentro di una tempesta continua. Questo fattore di rischio è ben definibile come implacabile, spietato e inarrestabile. Sia che si manifesti come un disturbo ansioso generalizzato o come conseguenza di un trauma, ha una forte connotazione psicologica, ma il suo impatto va ben oltre l’ambito psichiatrico. Può spingere la mente alla demenza.
Secondo la dottoressa Elizabeth Hoge, psichiatra del Center for Anxiety and Traumatic Stress Disorders al Massachusetts General Hospital e assistente di psichiatria alla Harvard Medical School, «le persone ansiose hanno un problema nella gestione dei pensieri distraenti, che assumono troppo potere (…). Queste persone non riescono a distinguere tra un utile esercizio di problem solving e una fastidiosa preoccupazione che non porta alcun beneficio». Secondo la dottoressa Hoge, chi ha queste preoccupazioni improduttive può auto-allenarsi a sperimentare tali pensieri in modo completamente diverso, come spiega: «Il tuo pensiero può essere: “Sono in ritardo, potrei perdere il lavoro se non arrivo in tempo e sarà un disastro!”. La mindfulness insegna a riconoscere quel pensiero: “Oh, ecco di nuovo quel pensiero. Ci sono già passato. Ma è solo quello, un pensiero, e non parte della mia interiorità”».
Gli effetti della meditazione sulla riduzione dello stress sono stati provati in modo definitivo in innumerevoli studi. In una delle più ampie meta-analisi mai condotte, i ricercatori della John Hopkins University hanno passato al setaccio circa 19.000 studi sulla meditazione e quarantasette trial clinici che rispondevano ai criteri di una buona progettazione. I risultati sono stati pubblicati nel marzo 2014 sul Journal of American Medical Association (JAMA) e hanno dimostrato che la mindfulness allevia gli stress psicologici, come l’ansia, la depressione e il dolore. Ulteriori studi hanno esaminato pazienti con disturbo ansioso generalizzato, una condizione caratterizzata da preoccupazioni persistenti, insonnia e irritabilità. Chi è entrato in un programma di riduzione dello stress basato sulla mindfulness ha ottenuto una riduzione significativa dei sintomi ansiosi. Invece, chi aveva seguito tecniche di generale gestione dello stress non aveva ottenuto tali benefici.
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Nel mondo sono circa 47 milioni le persone colpite da forme di demenza. Nel 50-60% dei casi (tra i 24 e i 28 milioni) si tratta del morbo di Alzheimer. Una vera e propria emergenza, senza contare che i casi sono destinati quasi a raddoppiare ogni 20 anni (stime Alzheimer’s Disease International).
Gli scienziati non hanno ancora compreso la complessità di questa malattia. Le cause rimangono tuttora sconosciute e non esistono trattamenti efficaci.
In questo libro il dottor Shuvendu Sen esamina le innumerevoli sfaccettature del problema e propone un approccio basato sulle antiche pratiche della meditazione e dello yoga, osservando anche i benefici della musicoterapia, della realtà virtuale, del tocco terapeutico e delle medicine olistiche.
Uno straordinario focus sul funzionamento della mente, motivo di speranza e ottimismo per il futuro.
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