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Bieta selvatica: raccolta e consumo

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Appartenente alla stessa famiglia degli spinaci, la bieta selvatica è un vegetale dal sapore dolce, ricca di ferro, con proprietà dissetanti, rinfrescanti e antinfiammatorie. Conosciamola meglio, per scoprire come riconoscerla e come portarla in tavola.
Bieta selvatica: raccolta e consumo

CHI È

La bieta non ha bisogno di presentazioni, quel che può stupire i più è trovarla, anziché al mercato, nel prato davanti casa: è lei, riconoscibilissima, solo più piccola e soda della bieta coltivata, con foglie più capricciose ma anche molto più ricche di nutrienti e saporite.
Appartiene alla stessa famiglia degli spinaci e fornisce notevoli apporti in ferro. Si tratta di un vegetale dal sapore naturalmente gradevole, dolce: basti pensare che dalla radice di barbabietola, una sua diretta parente, si estrae lo zucchero.
Il suo uso risale a 12.000 anni fa e si estende all’antica Roma, dove era considerata un cibo povero, mentre nel Medioevo la stima nei suoi confronti aumentò, fino a farle conquistare tutte le tavole.
Guadagna ad essere semplicemente stufata e consumata all’agro, poiché il limone favorirà l’assorbimento del ferro in essa contenuto. Si dice sia tossica per i conigli.

DOVE SI TROVA

“Dice che era un bell’uomo e veniva… veniva dal mare…”. La bietolina selvatica ama i posti vicini al mare, soleggiati e asciutti poiché resiste bene alla salsedine, e predilige i terreni argillosi come quelli della Maremma laziale dove abbonda.

QUANDO RACCOGLIERLA

Si raccolgono le foglie più tenere durante l’inverno o all’inizio della primavera, in ogni caso prima della fioritura.

COME SI RICONOSCE

Molto simile alla bieta coltivata, ha foglie verde scuro più turgide e piccole, a forma di rombo, molto lucide e bitorzolute, con una lievissima peluria lungo la costa. Le foglie hanno venature di un verde più chiaro e leggermente affossate.
Dall’inizio della primavera all’estate inoltrata, produce dei fiori di un verde molto chiaro raccolti in spighe.

PERCHÉ CI PIACE

La foglia ha un sapore ferroso, astringente, dissetante, la costa è dolciastra e nutriente grazie al suo contenuto in fruttosio e al poco sodio che la pianta contiene. Nell’insieme si tratta di una verdura dal sapore mite e che cresce abbondante, quindi può apportare un contributo sostanziale ai pasti, non solo come contorno.

Il suo consumo poi presenta molti vantaggi: riduce la pressione arteriosa, abbassa l’indice glicemico dei diabetici e aiuta a regolare l’assorbimento dei grassi nei soggetti sovrappeso, inoltre è un discreto lassativo. Contiene vitamine A, B e C e tanto ferro da essere considerata un buon antianemico. È rinfrescante e ha ottime doti emollienti e antinfiammatorie ad uso interno: utile contro mal di denti, stomatiti, bronchite e mal di gola, infiammazioni gastro intestinali, renali e delle vie urinarie.
Il succo delle sue foglie fresche è noto per avere le stesse doti anche in applicazione sulla cute, per eritemi, pruriti allergici, foruncoli o scottature, aiuterebbe a cicatrizzare le piccole ferite, le ragadi alle mani o ai piedi e i geloni e a decongestionare in caso di emorroidi o contusioni.

COME SI CUCINA

La bieta selvatica come accennato è molto saporita. Abbiate cura di scegliere foglie tenere e di stufarla anziché lessarla, in modo da conservarne il sapore e i nutrienti: dopo averla lavata, ponetela ancora bagnata in una pentola con uno spicchio di aglio privo dell’anima e un filo d’olio. Se necessario potrete aggiungere un mestolo d’acqua, cuocetela a fuoco lento e coperta fin quando non sarà tenera. Dopo questa prima preparazione la potrete servire all’agro o inserire nei ripieni di torte salate, cannelloni o ravioli (si usa molto nei culurgiones sardi).
Se volete preparare una torta rustica con la bieta, si consiglia di usare una sfoglia poco sofisticata, dall’impasto molto simile al pane, fatta di sola farina e acqua e con un poco di olio d’oliva. Se decidete di non aggiungervi lievito, la dovrete stendere molto sottile.
La bieta è molto indicata per arricchire le minestre, dove ugualmente verranno conservate e raccolte tutte le sue proprietà. Una classica minestra povera con la bieta, di tradizione ciociara, la vede unita al pomodoro, ad un pugno di riso e alle patate. In questo piatto la pianta è protagonista, mentre nel minestrone ha un ruolo meno preponderante. La si abbina volentieri anche alla zuppa di ceci o di fave e trova posto naturalmente nelle minestre di erbe primaverili.
Interessantissime infine le ricette tramandateci dal frate etnobotanico Domenico Atzei. In Corsica, di giovedì santo si prepara la Cena del signore: una zuppa di bietola, crescione e pesce fritto. Mentre in Sardegna si usa fare un risotto con asparagi, biete, cicoria e finocchietto. Nell’oristanese un piatto domenicale tipico consiste nel disporre a strati alternati gnocchi, bietole, spinaci e formaggio da cuocere al forno.
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Articolo tratto dal libro Il prato è in tavola

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