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Castagne: il pane che cade dagli alberi

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Dopo anni di oblio e dopo il flagello del Cinipide, riprende la coltivazione della castagna sulle nostre montagne, con la nascita di nuovi presìdi contro l’abbandono dei boschi. Andiamo alla ricerca delle varietà più buone e degli usi artigianali.
Se c’è un albero che dovremmo tutti ringraziare è senz’altro il castagno. Per lunghi secoli ci ha dato legna per costruire e legna da ardere, biomassa per l’allevamento, tannino per le concerie, ma soprattutto ci ha fornito di cibo e ci ha permesso di sopravvivere. Nei secoli scorsi ha provveduto a sfamare intere popolazioni, anche nei periodi più bui, durante le guerre e le carestie; all’epoca, i ricci gonfi di castagne e marroni, alimenti ricchi di energia e sostanze nutritive, venivano macinati nei mulini locali.
A dirla tutta, però, sono gli stessi castagni a dover ringraziare le genti della montagna che con fatica e perseveranza hanno sempre curato i boschi e salvaguardato i terreni da frane, alluvioni e smottamenti. Se si guarda allo stato di abbandono e al degrado dei nostri castagneti, purtroppo bisogna mettersi le mani nei capelli, a maggior ragione perché viviamo in un paese così fragile, come l’Italia. All’abbandono che ha trasformato i castagneti in una giungla fitta e intricata di vegetazione si sono aggiunti i parassiti, come l’arrivo del Cinipide Galligeno, un piccolo imenottero originario della Cina, che ha causato forti danneggiamenti, con comparse di spesse galle sulla pianta e perdite di raccolto che in alcune regioni hanno toccato il 90%.

Un proliferare di marchi

Cibarsi delle castagne e della loro farina significa coltivare i castagneti, significa curare la montagna, pulire la selva, i fossi, limitando i danni degli eventi meteorologici sempre più estremi.
A livello nazionale si parla di quasi 800.000 ettari di terreni ricoperti a castagneti, circa il 7,5% della superficie forestale, che per alcune regioni appenniniche è molto più elevata. Questo legame profondo e indissolubile con il castagno è durato fino alla metà del secolo scorso, quando gran parte della popolazione italiana viveva ancora in montagna, in terreni poveri e marginali, che però garantivano cibo. (…)

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