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Dal contrasto alla gentilezza possibile

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La consapevolezza favorisce il fare, giorno per giorno, scelte deliberate di reazioni gentili.
Dal contrasto alla gentilezza possibile
Scusarsi non significa sempre che tu hai sbagliato e l’altro ha ragione. Significa semplicemente che tieni più a quella relazione che al tuo orgoglio.
Anonimo
 
La gentilezza non si impara, o almeno non si impara come tecnica, come metodo. La buona educazione, le regole del vivere, il galateo sono una cosa, ma la gentilezza è altro.
Nella letteratura, anche nella nostra, l’etimologia della parola “gentile”, la sua traduzione nelle varie lingue, riporta a un senso di appartenenza al genere umano.
È nell’umano che la gentilezza, di cui stiamo parlando da anni, potrebbe trovare le sue radici ma, come sappiamo, le radici scavano, scendono in profondità e richiedono tempo per attecchire nel terreno, per irrobustirsi, perché sanno di dover dare origine e sostenere tutto quello che crescerà sopra di loro.
Nella scelta di un tempo da dedicare a noi stessi, al nostro essere, alla cura di ciò che possiamo chiamare anima, spirito, o qualunque termine ciascuno voglia usare per identificare la nostra essenza, ha radici l’intenzione.
L’intenzione di fare della gentilezza un proprio stile di vita, l’intenzione di generare valore con la nostra presenza, l’intenzione di trattarsi bene, per imparare a trattare bene.
Leggiamo la definizione dell’Enciclopedia Treccani: «L’intenzione è un orientamento della coscienza verso il compimento di un’azione, la direzione della volontà verso un determinato fine; può indicare semplicemente il proposito e il desiderio di raggiungere il fine, senza una volontà chiaramente determinata e senza la corrispondente deliberazione di operare per conseguirlo».
L’intenzione nasce dentro di noi, là dove avvertiamo le sensazioni, le emozioni, un luogo profondo, dove ininterrottamente accade qualcosa, quella che abbiamo iniziato a chiamare “la stanza dei bottoni”.
Noi però corriamo, spesso non ci ascoltiamo e così perdiamo il senso di quello che ci succede dentro. Abbiamo bisogno di un tempo di qualità, per stare con noi stessi e dedicare attenzione a qualunque cosa si muova dentro di noi. Un tempo in cui anche la sola igiene del corpo diventi un gesto di attenzione e di presenza, un gesto per il quale il corpo possa beneficiare non solo dell’igiene, ma di tutta la corrente energetica che la nostra presenza è capace di creare.
Si trova un riferimento interessante sul senso profondo dell’intenzione in uno scritto attribuito a Zengzi, un discepolo di Confucio, che con le sue parole mette in evidenza la via maestra che lega l’individuo e il suo perfezionamento a tutta la società: ciò che rende migliore l’individuo diventa miglioramento anche dell’intera società.
«Nell’antichità, per far risplendere la luce della virtù (gentilezza, pace, serenità) per tutto l’universo, si iniziava riordinando il proprio paese.
Per riordinare il proprio paese, si iniziava riordinando la propria famiglia.
Per riordinare la propria famiglia, si iniziava perfezionando se stessi.
Per perfezionare se stessi, si iniziava rendendo autentica la propria intenzione.
Per rendere autentica la propria intenzione, si iniziava sviluppando la propria conoscenza e si sviluppava la propria conoscenza esaminando le cose.
Una volta che l’intenzione sia autentica, il cuore diventa diritto.
È rendendo diritto il proprio cuore che si perfeziona se stessi.
È perfezionando se stessi che si riordina la propria casa ed è riordinando la propria casa che si riordina il paese, ed è quando i paesi sono in ordine, che la Grande Pace si realizza in tutto l’universo».
Nella complessità di questo processo, la ricerca di un continuo equilibrio dinamico nelle nostre interazioni interpersonali, ma anche intrapersonali, richiama l’immagine del funambolo che se cerca sul filo un equilibrio, in qualche maniera statico, può ottenerlo, e soprattutto mantenerlo, solo in movimento.
Tutto questo ci orienta verso la cultura della gentilezza, ci permette di scegliere continuamente la parola migliore, il gesto migliore, un ascolto affettuoso, una elaborazione e una trasformazione funzionale di pensieri, conflitti, emozioni.
Questo è il senso di intenzione di cui parla il discepolo di Confucio, che permette di tenere a freno le reazioni, anche comprensibili, di fronte a quello che è diventato uno stile diffuso, quello della contrapposizione e del contrasto fini a se stessi, dei continui “ma” o “però” e delle assillanti critiche senza possibilità di evoluzione.
La consapevolezza favorisce il fare, giorno per giorno, scelte deliberate di reazioni gentili, anche quando la vita sembra infierire proponendoci esperienze dolorose o anche quando le persone ci propongono interazioni non sempre allineate con le nostre modalità gentili e soprattutto non sempre coerenti con i valori che pure ci accomunano.
Le intenzioni vanno costantemente rinnovate e ogni volta che a fine giornata ci rendiamo conto di essere scivolati in risposte affrettate (o non abbiamo risposto a qualcuno), questa attenzione rinnovata ci potrebbe aiutare a non sentirci frustrati e a non arrenderci. Rinnovare le nostre intenzioni ci permetterebbe, in un continuum di apprendimento riflessivo, di consolidare la nostra direzione, perché gentili forse si nasce, ma certo lo si può diventare.
L’attenzione, attraverso le pratiche più appropriate, ci permette di entrare nella profondità della nostra umanità, dando vita così alla forma più rara e più pura della generosità. Nell’arte del donare, nel donare non solo materiale, ma anche nel regalare tempo, ascolto, presenza, condivisione, la gentilezza trova un habitat prestigioso.
La dimensione dell’attenzione riguarda il proprio stato, personale e professionale. La vita di ogni giorno è, considerandola dal punto di vista dell’energia, un avviamento continuo, un continuo investire attenzione nelle diverse dimensioni dell’universo soggettivo: negli oggetti materiali, nel luogo dove vivo, in quello dove lavoro, nella mia scrivania, sullo schermo del computer, nell’uso di ciò che ho a disposizione, nella sua manutenzione.
E ancora attenzione nelle relazioni, verso le altre persone, i loro volti, i loro sguardi, nelle parole che uso. In me stesso, in me stessa, nel mio corpo, nel mio respiro, sui miei pensieri, sulle mie percezioni, sulle espressioni del mio volto, il mio agire, i progetti, il mio vivere.
Ma anche, nelle divergenze e negli scontri, attenzione per non arrivare al conflitto, nel modo di formulare critiche, nella cautela con la quale esprimo giudizi.
Tutto questo dà forma all’universo soggettivo della persona e le consente di orientarsi, di muoversi in esso con tutte le competenze disponibili.
Così la nostra storia di persona che pilota la propria barca nell’oceano della vita è la storia di un’intenzione che si rinnova, “trafficando” con gli eventi, in una prospettiva di alleanza.
Allora niente è più impossibile: possiamo sentirci ancora piccolissimi, ma la vita diviene decisamente più interessante e gli eventi si rivelano palesemente più favorevoli.
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Articolo tratto dal libro L’arte di essere gentili

Quello della gentilezza è un concetto importante, ma non basta dirne o scriverne. Per fare una sostanziale differenza nel mondo occorre crearla, costruirla, generarla. Ogni giorno.

L’arte di essere gentili è un invito e una guida pratica per vivere la gentilezza, in ogni momento e aspetto della vita: nella cura di noi stessi, nelle relazioni affettive e lavorative, nella scuola, negli ospedali, ovunque.
Nel libro si intrecciano le voci di quei professionisti, dottori, insegnanti, educatori, che ogni giorno generano gentilezza nella propria vita lavorativa, ricevendo in cambio tanti risultati positivi. E le pagine che ospitano i progetti dimostrano che la gentilezza può essere realtà e creare felicità. Alla fine avremo una nitidissima e avvincente immagine di ciò che ognuno può davvero generare per aiutare il mondo a essere un posto migliore.
 

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