Durevoli e a basso impatto: la ricerca per realizzare jeans ecologici non poteva che partire dall’Italia, dove questo tessuto trova le sue origini e dove oggi fiorisce una filiera etica e sostenibile.
Quello dei jeans è un pezzo di storia che nasce in Italia, più precisamente nella città di Genova. Qui, alla fine del Settecento, si produceva la canapa dalla quale si ricavava una tela che veniva colorata con un blu scuro. Era la tela di Genova che poi, al di là dell’oceano, diventerà jeans.
Pescando a piene mani da questa tradizione italiana, oggi diverse aziende stanno sperimentando la produzione virtuosa di jeans con materiali biologici e coloranti naturali. Il motivo è presto detto: nei secoli i progressi produttivi hanno portato innovazione e velocità, ma anche molto inquinamento, perché ai danni già molto pesanti della coltivazione del cotone, principale materia prima per la fabbricazione di jeans in tutto il mondo, si aggiungono quelli della tintura e dell’enorme spreco di acqua che ne deriva.
Quando il casual inquina e prosciuga l’acqua
Secondo uno studio del Wwf1, per la produzione di un chilogrammo di cotone, equivalente alla produzione di una maglietta o di un paio di jeans, possono servire più di ventimila litri d’acqua. Nel 2016, al Fashion forum di Copenaghen sulla sostenibilità, l’approvvigionamento di acqua per l’industria dell’abbigliamento è stato uno dei temi principali; gli stessi produttori di cotone hanno calcolato che nel giro di vent’anni questa fibra naturale diventerà una delle più costose, perché sempre meno disponibile sul mercato, e che fra meno di dieci l’approvvigionamento di acqua sarà una problematica fondamentale per tutta l’industria della moda. Allo spreco di risorsa idrica si associano anche la contaminazione e l’inquinamento ambientale. Sempre il Wwf spiega infatti che il 2,4% dei campi in tutto il mondo è attualmente coltivato a cotone, e che da sola questa coltivazione incide sull’acquisto globale di insetticidi per il 24% e di pesticidi per l’11%.
Aziende che fanno la differenza
Per fortuna nella produzione di jeans ci sono esempi di aziende virtuose che basano la loro filiera su tre capisaldi: l’utilizzo di cotone biologico, di coloranti naturali e la tracciabilità.
«Per il cibo a chilometro zero siamo disposti a spendere molto. Di quello che indossiamo, per molto tempo ci è interessato solo che costasse poco, anche se la pelle è l’organo più esteso che abbiamo e assorbe ciò con cui è a contatto» dice Claudia Lubrano, che nel 2010 ha fondato insieme al marito Giampaolo Bianchi, EcoGeco. «Oltre al consumo di acqua» spiega Claudia «la produzione del Denim è impattante principalmente per due motivi: il primo è legato alla tintura chimica, che riguarda il tessile più in generale, e il secondo riguarda i lavaggi». (…)
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