La mobilità elettrica è il «pennello metaforico» con cui il sistema convenzionale si sta dando una verniciata di verde, per mascherare impatti che, tra energia elettrica mal prodotta e batterie al litio, sono ancora molto rilevanti.
Si parla tanto di auto elettriche, ma la vera sfida riguarda i camion. Far circolare qualche sgargiante vettura elettrica, a suon di svariate decine di migliaia di euro a pezzo, può sembrare complicato, ma rifornire quotidianamente di merce miliardi di persone lo è molto di più. I bestioni che solcano le strade di tutto il mondo hanno bisogno di tanta energia, ed equipaggiarli di pesanti batterie fa diminuire la loro portata. In più, non possono fermarsi a ricaricare troppo spesso, né per troppo tempo. Sta quindi tornando di moda l’idrogeno, attraverso la tecnologia delle celle di combustibile.
La situazione attuale
Il motore del camion è elettrico in entrambi i casi: nel primo l’energia viene da una batteria al litio, nel secondo invece c’è un dispositivo elettrochimico, chiamato appunto cella di combustibile, che produce energia elettrica consumando idrogeno, emettendo solo acqua. L’obiettivo è superare gli 800 km di autonomia, ma con il rifornimento (di idrogeno) ridotto a circa 15 minuti. Aziende come General Motors oggi sono pronte a fornire celle per i camion elettrici1. Manca solo, e non è un particolare da poco, una rete di stazioni di idrogeno, capillare in tutto il mondo.
La sfida è rivolta a Tesla che, invece, con il suo camion chiamato Semi, punta decisamente sulle batterie per la trazione elettrica nell’autotrasporto.
La questione è assai più complessa di quanto non appaia. Prima di tutto, occorre specificare che la propulsione elettrica non è a carbonio zero: sia le batterie che l’idrogeno che alimenta le celle di combustibile sono vettori energetici, per cui richiedono energia per essere ricaricate. Questa energia avrà un impatto più o meno grande in termini di CO2 a seconda del mix energetico del territorio in cui viene prodotta. Per cui non è, e non sarà mai, a impatto zero.
La seconda considerazione è che Tesla sferrerà un attacco frontale all’industria di produzione di autocarri, non tanto e non solo per la sua proposta di alimentazione elettrica, ma soprattutto per la sua guida autonoma.
Grazie all’operato gratuito di migliaia di utenti paganti (gli acquirenti delle sue vetture), Tesla sta perfezionando i suoi algoritmi di guida autonoma a un ritmo molto superiore rispetto alla concorrenza2. Questo comporterà la soppressione degli autisti, fino a ora rimasti immuni dalle maggiori tendenze che interessano il lavoro: la globalizzazione e, fino a ieri, l’automazione.
Cosa succederà
Le Tesla non sono solo auto elettriche, sono soprattutto auto in grado di guidarsi da sole. Sono dotate di un dispositivo, chiamato Autopilot, che da qualche tempo è in grado di condurre la macchina da sé, grazie all’intelligenza artificiale e a continui aggiornamenti software. È già oggi in grado di guidare come e meglio di un essere umano. Senza stancarsi, distrarsi o ubriacarsi, ed è solo in attesa che le leggi consentano il transito sulle nostre strade. In questa gara, Tesla è nettamente favorita. Ecco perché gli operatori di Wall Street stanno finanziando questa azienda, che non produce utili, senza porle limiti di spesa.
Quella dei camion autopilotati è una rivoluzione che comporterà grandi vantaggi per le aziende, ovviamente a scapito di milioni di disoccupati. Ma questo renderà ancora più economico il trasporto su gomma, favorendo la delocalizzazione delle fabbriche. Con gravi conseguenze ambientali.
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Articolo tratto dalla rubrica
#Ecologia informatica
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