Lycium barbarum, Lycium chinense e Lycium ruthencium
Esposizione: pieno sole
Esigenze nutrizionali: medie
Esigenze idriche: moderate
Propagazione: trapianto di piantine
Periodo di messa a dimora: autunno o primavera
Parti utilizzate: frutti
Il goji è una pianta che si trova allo stato spontaneo in Cina e in Tibet, mentre nel nostro paese è stato introdotto solo di recente. Nel mondo viene chiamato con diverse denominazioni, la cui più diffusa è wolfberry (letteralmente “bacca del lupo”): il termine gou in lingua cinese significa appunto “lupo” ed evidentemente anche in inglese è stata ripresa questa associazione.
Questo arbusto di origine esotica viene chiamato anche “pianta dell’eterna giovinezza”, in virtù del suo valore nutrizionale: queste bacche sono entrate ormai a far parte della cerchia dei superfood, alimenti particolarmente ricercati per le loro proprietà nutrizionali.
Non si tratta di una semplice moda: gli effetti antiossidanti del goji sono comprovati.
Considerando l’alto prezzo di questi piccoli frutti è sicuramente conveniente imparare a coltivarli in autonomia, anche perché non è per niente difficile. Nonostante pochi in Italia abbiano presente come è fatta la pianta e come si coltiva, in realtà la pratica si rivela molto semplice ed essendo poco soggetta ad avversità si tratta anche di una coltura particolarmente indicata per l’agricoltura biologica. Possiamo quindi introdurre nel nostro orto-frutteto domestico qualche esemplare di goji, insieme ai piccoli frutti più conosciuti, come more, lamponi e mirtilli, ai quali può essere accomunato per il portamento arbustivo e le piccole dimensioni delle bacche, ma non certo per la parentela dal punto di vista botanico.
TIPI E VARIETÀ COLTIVATE
Due sono le specie di goji più diffuse: Lycium barbarum e Lycium chinense, entrambe sono piante decidue arbustive a portamento rampicante, appartenenti alla famiglia delle Solanacee, caratterizzate da frutti ellissoidali di colore rosso-arancio brillante. Le due specie sono molto affini come aspetto: entrambe hanno una lunga tradizione come piante alimentari in Cina e in altri paesi del continente asiatico. La prima, L. barbarum, produce bacche più grandi e pregiate e ha conquistato rapidamente il mercato mondiale degli alimenti salutistici, mentre la seconda, che si distingue oltre che per le bacche, per la maggiore velocità con cui entra in produzione, si è meno affermata nonostante il prezzo di vendita più basso. Negli ultimi anni, si sta anche affermando via via il goji nero, il L. ruthencium, molto rustico ma dalle bacche costose.
Per quanto riguarda il portamento, il L. barbarum raggiunge anche i 3 metri di altezza, mentre il chinense rimane più contenuto di taglia, e questo fattore può essere decisivo nel momento di scegliere quale specie ospitare nel nostro orto.
Tutte le specie presentano fino a 3 fiori all’ascella delle foglie, e come frutto hanno una bacca ovoidale ad apice tendenzialmente acuto, lunga dai 6 ai 20 mm e larga 3-8 mm.
La pianta del goji cresce rapidamente, anche fino a 1,5 metri l’anno, e in assenza di potatura forma un cespuglio vigoroso e disordinato, che ricorda i rovi spontanei.
Reperibilità della semente. Si possono trovare abbastanza facilmente piantine di goji presso molti vivai e centri di giardinaggio. Avviare la coltivazione a partire dalla semina sarebbe un processo troppo lento, visto che il goji richiede diversi anni per entrare in produzione.
ESIGENZE DELLA PIANTA
Terreno, posizione e clima. Il goji si adatta a diversi tipi di terreno, predilige quelli a pH neutro, ben drenati e profondi, che possono garantire uno strato di terra adeguato alle sue radici voluminose. Richiede un’esposizione di sole pieno, mentre si adatta benissimo ai vari climi: fortunatamente resiste sia al freddo invernale intenso che al caldo estivo.
TECNICHE DI COLTIVAZIONE
Preparazione del terreno e concimazione. Per la messa a dimora di piantine di goji valgono regole comuni ad altre specie perenni. Non occorre dissodare completamente l’intera superficie da coltivare, a meno che non si tratti di un terreno molto infestato di gramigna. Risulta più semplice una lavorazione superficiale di tutta l’area e poi lo scavo delle singole buche nei punti esatti in cui vogliamo trapiantare le piantine. È bene che la dimensione delle buche sia generosa, per garantire alle radici un buon volume di terreno smosso in cui svilupparsi. A differenza di altre specie di piccoli frutti, il goji non richiede terriccio acido come substrato.
Messa a dimora e sesti di impianto. Se vogliamo realizzare un piccolo impianto di produzione di bacche possiamo disporre i piccoli arbusti di goji a filari, in un semplice orto o giardino domestico ci si accontenta di cespugli singoli o in associazione ad altre piante.
Il momento adatto per la messa a dimora delle piantine è l’autunno o l’inizio della primavera, dopo le gelate. Alla terra di scavo della buca si miscela una buona quantità di compost o letame maturo come ammendanti, preferibilmente si aggiunge anche qualche manciata di concime tipo stallatico pellettato o sfarinato, ed eventualmente farine di roccia, che possono fornire preziosi micronutrienti. Il sesto d’impianto prevede distanze non inferiori a 2,5 metri tra le file e 1-1,5 metri tra le piante, queste misure consentono una buona esecuzione delle varie operazioni colturali. L’impianto professionale si completa con una spalliera di pali e fili metallici, in una sistemazione simile a quella dei vigneti. I pali saranno distanti 2 metri l’uno dall’altro e vi si devono far passare 3 fili metallici a diverse altezze per creare i palchi fruttiferi. Nel caso di pianta solitaria o di poche piante invece basteranno singoli tutori, come quelli abitualmente predisposti per i pomodori.
Operazioni di coltivazione. Il goji non presenta elevati fabbisogni idrici, ma bisogna essere pronti a intervenire nei periodi caldi e siccitosi. Nei primi 3 o 4 anni, un impianto di irrigazione a goccia è importante: consente di distribuire acqua regolarmente a partire dalla messa a dimora. Piante più anziane sono più indipendenti e richiedono acqua solo in situazioni climatiche estreme.
Durante l’inverno si deve realizzare la potatura, che serve per rinnovare le formazioni fruttifere, contenere lo sviluppo dei cespugli e renderli più gestibili ed ordinati. Le piante di goji fruttificano esclusivamente sui rami dell’anno, quindi l’eliminazione dei rami vecchi deve essere realizzata annualmente. Per ogni palco produttivo si lasciano quindi 4 o 5 rami raccorciati a circa 40-50 cm di lunghezza. In primavera poi bisogna eliminare tutti i rami a portamento verticale: i polloni, emessi dalla base, e i succhioni, sviluppati da rami più in alto. Sono infatti rami inutili e con troppa vigoria: eliminandoli si favorisce l’emissione di quelli produttivi.
Ogni anno bisogna anche intervenire con un po’ di concimazione naturale, da apportare in autunno e alla ripresa vegetativa in primavera, mediante stallatico, pollina, cenere di legna non trattata o farine di roccia.
Coltivazione in vaso. Possiamo coltivare anche in vaso il goji, assicurando alla pianta una posizione soleggiata e un buon volume di terra, quindi un contenitore grande. Le irrigazioni in questo caso dovranno essere più frequenti rispetto alla coltivazione classica a dimora in pieno campo.
PRINCIPALI MALATTIE E PARASSITI
Le piante di goji possono essere colpite da alcuni insetti, tra cui gli afidi, responsabili di accartocciamenti di foglie e germogli, dovuti all’attività di suzione di linfa. L’altro effetto potenzialmente molto negativo degli afidi è la trasmissione di malattie virali, per questo è opportuno non lasciare dilagare l’infestazione. Possiamo sconfiggere questi pidocchi delle piante mediante il sapone di Marsiglia diluito in acqua e distribuito con una pompa a spalla, questo è il prodotto più semplice e che quasi tutti abbiamo sempre in casa.
Per scoraggiare l’arrivo di questi insetti possiamo trattare con prodotti artigianali ad effetto repellente, come i classici estratti di ortica, di aglio e di peperoncino piccante.
Da qualche anno è arrivato dall’oriente anche il moscerino dei piccoli frutti (Drosophila suzukii) un parassita che può danneggiare il goji e le sue bacche. La Drosophila viene catturata mediante apposite trappole con esca alimentare auto prodotta. La ricetta dell’esca è: 250 ml di aceto di mele, 100 ml di vino rosso e un cucchiaio di zucchero di canna. La mistura si versa in una bottiglia dotata di aperture conformate in modo tale da agevolare l’ingresso del il moscerino ma di ostacolarne l’uscita. Esistono in commercio apposite trappole di nome Tap Trap e Vaso Trap, quelle di colore rosso sono pensate appositamente per questo insetto. Si può anche scegliere di ostacolare il moschino con reti escludi-insetto, che si mettono sopra le piante con i frutticini formati per evitare che il parassita possa aggredire le bacche.
Questa protezione è valida anche contro altri parassiti polifagi molto aggressivi e di recente arrivo in Italia, ovvero la cimice asiatica, Halyomorpha halys e la Popilia japonica.
Per quanto riguarda le malattie, il goji può essere soggetto agli attacchi di oidio o mal bianco (Erisiphe spp) patologia fungina che si può trattare mediante irrorazioni di bicarbonato di sodio disciolto in acqua ed eliminando tempestivamente le parti colpite.
RACCOLTA E CONSERVAZIONE
Le bacche di goji si raccolgono tra agosto e novembre, a seconda dell’areale di coltura e delle condizioni pedo-climatiche. La produzione inizia già dall’anno in cui si impianta o da quello successivo, ma è dal quarto o quinto anno che si raggiunge la piena produttività.
Di norma le bacche vengono essiccate in una prima fase all’ombra, fino al raggrinzimento della buccia, e una seconda fase al sole, fino all’indurimento e all’essiccazione completa della sola parte esterna, allo scopo di mantenere la polpa ancora morbida.
UTILIZZO
I frutti del goji si possono consumare freschi, tali e quali, ma sul mercato li troviamo più di frequente disidratati. Possono anche essere trasformati in confetture e succhi.
Si tratta di una bacca dalle spiccate proprietà antiossidanti, per la sua ricchezza in vitamine del gruppo B, vitamina E, C, sali minerali e beta carotene, oltre che amminoacidi.
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Più
biodiversità nell’orto e più
varietà a tavola: è questo l’invito lanciato dagli autori di
Ortaggi insoliti, dedicato alla
coltivazione biologica di piante di elevato valore nutrizionale e grande interesse culinario, ma poco presenti nei nostri orti. I casi più eclatanti sono quelli dello
zenzero, delle
bacche di goji e della
stevia, diventati negli ultimi anni molto popolari per le loro
riconosciute virtù, eppure ancora poco coltivati in Italia.
Meno noti al grande pubblico, ma non per questo privi di interesse, sono la cicerchia, il lampascione e la portulaca, da sempre coltivati e consumati solo in alcune zone molto ristrette.
Nella lunga lista degli ortaggi insoliti ritroviamo anche verdure di pregio d’origine asiatica, africana o sud americana, ma che ben si adattano anche al nostro clima, come il pak choi, l’okra, la minzuna, il kiwano o il chayote. Non poteva mancare il lungo elenco di ortaggi nostrani, come la pastinaca, la scorza nera, il topinambur, l’erba di San Pietro, il farinaccio, che per secoli hanno rappresentato una preziosa fonte di nutrimento, ma che oggi sono caduti nell’oblio perché soppiantati da specie più produttive o semplicemente più richieste dal mercato.
In totale nel libro vengono presentati 36 tra ortaggi, piccoli frutti e tuberi, a ognuno dei quali è dedicata una scheda approfondita con tutte le informazioni necessarie per la coltivazione. Un modo semplice e concreto per rendere i nostri orti più variegati e contrastare il processo di impoverimento della biodiversità e della nostra stessa dieta.
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