Google Maps ha ormai sostituito i vecchi navigatori Gps, ma sappiamo cosa si nasconde dietro la sua sofisticata tecnologia?
Utilizziamo sempre più spesso sistemi di navigazione come Google Maps per i nostri viaggi, ma anche per le nostre camminate all’aria aperta, al posto degli ormai desueti navigatori Gps.
Quando questi ultimi entrarono nel mercato, crearono anche a me un po’ di (paradossale) disorientamento. Questi strumenti rendevano obsolete le nostre amate mappe. Ma il loro dominio è durato lo spazio di un decennio o poco più: oggi basta installare sul telefonino l’app di Google Maps ed ecco attivate le funzioni di navigazione. Ma non ci domandiamo mai cosa c’è dietro queste sofisticate tecnologie, né se esistono dei sistemi meno impattanti.
Sprechi energetici e riservatezza
Tra il Gps classico, il vecchio TomTom o Garmin, per capirci, e le mappe di Google, le differenze sono sostanziali, sia in termini di spreco energetico, che di riservatezza. I satelliti Gps che circondano il nostro pianeta non hanno la possibilità di ricevere dati e non fanno altro che trasmettere la propria posizione sulla Terra. Per questo motivo il navigatore classico è un attrezzo abbastanza complicato: deve tradurre questi segnali, calcolare la propria posizione, confrontarla con il percorso segnato nella mappa, confrontarlo con la posizione precedente e dare le nuove disposizioni. Ma questa tecnologia era alla portata di un dispositivo tascabile già dieci anni fa. Perché mai non è stata inserita negli smartphone di adesso?
Semplice: perché a Google non conviene. Al gestore del 90% degli smartphone mondiali conviene elaborare (a casa sua!) il vostro percorso, così può conoscere, tra una miriade di vostri dati personali, anche la vostra posizione geografica. In ogni momento.
Il processo è più o meno questo: voi impostate la destinazione e il vostro smartphone invia a Google la vostra posizione. Il server a Mountain View (California) calcola il vostro percorso e vi invia la direzione, voi inviate la vostra nuova posizione, il server calcola la nuova direzione, e ve la ri-invia. Il meccanismo si ripete ogni secondo del vostro viaggio, fino a destinazione raggiunta. È evidente che dal punto di vista energetico e tecnologico questo andirivieni di bit tra il vostro cellulare, i satelliti Gps e Mountain View abbia un costo non indifferente sia in termini di energia che di inquinamento elettormagnetico, testimoniati dal consumo della batteria.
Chi paga tutto questo, visto che anche questo servizio, tra mille altri, è assolutamente gratis? Ma Google, naturalmente. E che cosa chiede in cambio?
I nostri dati in pasto a Google
Nei server di Mountain View c’è un dossier su ciascuno di noi, con i nostri gusti, gli acquisti, le chat, i nostri hobby, le debolezze, le opinioni e così via… Quindi l’uso di Google Maps presenta una serie di problemi: inquina il mondo, consuma la vostra batteria e ci traccia. C’è qualcosa che possiamo fare, in alternativa? Fortunatamente sì.
L’app Osmand (Open- StreetMmaps – Automated Navigation Directions) trasforma il vostro smartphone in un vecchio, ma modernissimo, navigatore Gps.
Una soluzione a portata di mano
Scaricando le mappe offline è possibile utilizzare il proprio dispositivo Android come un navigatore satellitare senza alcuna connessione a Internet. Non si necessita di connessione nemmeno per il calcolo del tragitto più breve per raggiungere più punti intermedi. Tutto rimane nel vostro smartphone, preservando dati personali e riducendo il vostro impatto ambientale.
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Articolo tratto dalla rubrica
#Ecologia informatica
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