Imporre regole troppo rigide ai bambini è giusto o può rivelarsi controproducente?
«Regolare molto e in maniera rigida può dare sicurezza all’adulto, per questo quando non si riesce a “normare”, o normalizzare, un bambino, può accadere che l’adulto ceda alla tentazione di definirlo “sbagliato”, malato». A parlare è Enrico Nonnis, neuropsichiatra infantile di grande esperienza, membro del direttivo nazionale di Psichiatria Democratica e dirigente dell’Unità operativa dell’area tutela salute mentale e riabilitazione in età evolutiva dell’Asl Roma 3. «Inoltre, un bambino sottoposto a continua “regolazione” esterna avrà una scarsa autonomia e non troverà i sistemi interni per affrontare e gestire le criticità che nel corso della giornata, della settimana, del mese o degli ambienti che frequenta gli verranno poste innanzi. Spesso “imporre la regola” è un bisogno della mamma o dei genitori, della famiglia, della scuola, della nonna, perché la regola dà ordine e quindi se la maestra o la mamma non hanno un buon regolatore interno, quel bambino che per definizione è nel caos sregola immediatamente l’adulto che allora ha bisogno di
rimettere ordine».
«Mettere ordine serve dunque sicuramente all’adulto e non è un male di per sé, ma non dobbiamo mai perdere di vista quello che è lo scopo principale, cioè permettere al bambino in crescita di sviluppare in maniera armonica il suo regolatore interno. Se invece l’obiettivo principale è solo ed esclusivamente quello di tenere tutti zitti e in ordine perché così fa comodo, allora si possono creare qualche volta squilibri pesanti. La cosa importante è non trasformare l’esigenza di regolazione dell’adulto in un abbraccio mortale per il bambino con la conseguente interpretazione patologica di qualsivoglia reazione il piccolo potrà avere».
«Oggi ci sono meno bambini per ogni famiglia – prosegue Nonnis – quindi c’è per forza una maggiore attenzione. Che può voler dire una maggior cura, una maggiore possibilità di intercettare quello che può essere il sentire del bambino; però dall’altro lato ci sono le aspettative del genitore, che sono un aspetto fisiologico che dà motivazione alla crescita. Ma oggi queste aspettative sono concentrate su uno o due figli, non più su otto o dieci, e quindi l’investimento da parte del genitore, relazionale e affettivo, diventa molto più pesante. Prima, quando si mettevano al mondo più figli, c’era un atteggiamento quasi più “guardingo”, come se alla nascita non ci si dovesse affezionare troppo; c’era una mortalità infantile molto più alta, ricordiamoci di questo, e l’adulto era consapevole di questa evenienza. Dobbiamo essere onesti e ammettere che la morte di un figlio, un secolo fa, era nell’ordine delle cose, era purtroppo normale; oggi, con in media 1,4/1,6 figli per coppia, fatichiamo a capirlo. Vogliamo quindi proteggere i figli, ma a volte finiamo per soffocarli. Ad esempio, l’adulto interpreta il fatto di evitare la noia come una sorta di difesa contro il vuoto e la depressione. Per il bambino, invece, la noia potrebbe essere un’esperienza importante, perché gli dà modo di regolare se stesso rispetto al sentirla e a percepire il vuoto; quell’esperienza può essere utile poi per la sua vita adulta perché gli dà la possibilità di ripercorrere, in situazioni similari, strategie che lo “portano via” dalla noia. Non ci si annoia passivamente, di solito i bambini dicono: “Mamma mi sto annoiando!”.
Allora si dà loro un suggerimento: gioca con le macchinine, fai questo, fai quest’altro. Mano a mano, poi, i piccoli lo chiedono sempre di meno semplicemente perché trovano la loro personale strategia, percorrono i sentieri della loro fantasia, cosa assolutamente naturale e giusta; riempiono il tempo in qualche maniera, ognuno nel suo personalissimo modo. Se la strategia diventa, per tutti, solo accendere un videogame o la televisione, allora c’è qualcosa che non va».
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Questo libro racconta la storia di una sfida lanciata da un gruppo di genitori, medici, psicologici, educatori e giornalisti contro il marketing aggressivo delle multinazionali farmaceutiche, responsabili della crescente medicalizzazione dell’infanzia e dell’indiscriminata somministrazione di psicofarmaci a bambini e adolescenti.
Tramite documenti e testimonianze dirette, il libro svela i meccanismi di un mercato miliardario che ha tutti gli interessi ad amplificare i problemi psicologici, comportamentali e di apprendimento dei minori.
Il libro è anche la storia di uomini e di donne che hanno deciso di rompere il velo di omertà su questa pericolosa tendenza. Un invito raccolto da oltre duecento realtà associative in tutto il paese, centinaia di migliaia di medici, psicologi, pedagogisti e altri addetti ai lavori del mondo della salute, nonché da alcuni protagonisti nel mondo dello spettacolo che partecipano alla campagna Giù le mani dai bambini®, nata per evitare che i nostri ragazzi vengano etichettati sin dai primi anni di vita per ipotetici disturbi che nella maggior parte dei casi nascondono una semplice richiesta di ascolto.
Con una prefazione del candidato al Premio Nobel Ervin Laszlo.