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Il lato oscuro dell’IoT, l’Internet delle Cose

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Le nuove tecnologie ci stanno proponendo un mondo in cui tutto funziona automaticamente, o meglio ancora da remoto, vale a dire controllando il processo tramite smartphone. Non dobbiamo preoccuparci più di nulla?
Il lato oscuro dell’IoT, l’Internet delle Cose
Pensate di essere sulla strada di ritorno dal lavoro. Quando mancano 2 km al vostro arrivo, il riscaldamento di casa si accende, e pure il forno, in cui il vostro frigo intelligente ha messo uno dei piatti precotti che ha ordinato su Amazon. Da solo, visto che conosce i vostri gusti meglio di voi stessi. Questo mondo vi spaventa un po’?
Eppure è proprio su questa retorica della comodità che il sistema industriale sta puntando per accalappiare consensi e promuovere la sua Internet delle Cose (Internet of Things, IoT).
Il problema maggiore è che le macchine non saranno controllate da noi, ma dai server delle multinazionali che le hanno prodotte, che si faranno mandare tutti i dati per il loro funzionamento. Questo è il vero business che sta dietro all’IoT. Il business non si farà più con smartphone e tablet, ma con tutto il resto degli apparecchi, che diventeranno vere miniere di estrazione di dati personalissimi di tutti. E permetteranno ai proprietari di questi dati di avere dei profili precisissimi sulle nostre abitudini, paure, debolezze, per spremerci fino all’ultimo quattrino.

Privacy e ambiente sotto scacco

È uno scenario che desta molte preoccupazioni dal punto di vista della riservatezza, ma anche dal punto di vista ambientale non c’è molto da stare allegri. Già, perché la storiella che ci viene raccontata è quella degli elettrodomestici del futuro che, essendo all’ultimo grido della tecnologia, dovrebbero essere estremamente efficienti. Il nuovo mondo sarà quindi compatibile con l’ambiente?
La realtà, purtroppo, è ben diversa. Ogni salto tecnologico impone una sostituzione di massa dei prodotti, anche se quelli vecchi sono ancora in grado onorevolissimamente di svolgere le loro funzioni. Pensate a cosa è successo per le Tv quando è stato introdotto il digitale terrestre o, ancora prima, con gli schermi piatti. Milioni, miliardi di apparecchi funzionanti gettati in discarica, senza controllo. La produzione di apparecchi nuovi consuma risorse ed energia, spesso molto più di quanto non riescano a consumarne i dispositivi durante l’intero ciclo di vita. Lo apprendiamo da uno dei nostri documenti preferiti: il rapporto dell’European environmental bureau (Eeb)1 sui costi della tecnologia di sostituzione. L’articolo dimostra ciò che già intuivamo: la riparazione è sempre meglio della sostituzione. Questo vale per tutte le macchine elettriche, elettroniche, a benzina, ad aria compressa, a carbonella e a trazione animale (compresa quella umana), con pochissime eccezioni, come i vecchi prodotti particolarmente inefficienti.

Produttori al potere

Ma come sempre, la fregatura maggiore viene dalla delega in bianco che lasceremo ai produttori. Questi avranno il potere di controllare, ed eventualmente fermare, i nostri elettrodomestici da remoto. Immaginate questo dialogo all’interno di una fabbrica di lavastoviglie: «Ehi, capo, abbiamo un calo di vendite di ricambi, questo mese». «Ok, inviamo il segnale di guasto alle pompe dell’acqua di 5000 clienti, e recuperiamo un po’ di cash!».
Se tutto il potere è nelle mani dei produttori, sarà ben difficile che prevalgano le logiche ambientaliste rispetto a quelle del profitto. E il profitto si fa con le sostituzioni e l’obsolescenza programmata. Saremo ripetitivi, ma è bene sottolineare che il dispositivo più ecologico è quello che già possediamo. Questo a maggior ragione se questo dispositivo non è IoT, e quindi è ancora sotto il nostro controllo.
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Articolo tratto dalla rubrica #Ecologia informatica

Leggi la rubrica sul mensile Terra Nuova Giugno 2020
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