Come la quinoa, l’amaranto (Amaranthus spp.) proviene dalle Americhe, anche se è diffuso più che altro nell’America centrale, quindi molto più a nord rispetto alla sua conterranea. Conobbe il massimo splendore sotto gli Aztechi, quando era chiamato “grano degli Dei”.
Lo caratterizzano minuscoli chicchi tondi di colore beige, contenuti in una spiga che fa seguito a una vistosa e coloratissima infiorescenza.
Kiwicha, il “piccolo gigante”
Così lo chiamavano le popolazioni precolombiane, che gli attribuivano un grande valore per le elevate proprietà nutrizionali a loro ben note. Gli Aztechi non lo usavano solo a tavola: considerandolo sacro, lo impiegavano nelle cerimonie religiose, impastandolo con farina di mais per realizzare statuine degli dei che poi venivano mangiate alla fine del rito. Anche per la dieta dei Maya l’amaranto era fondamentale. Quanto agli Inca, questi ne apprezzavano il potere curativo.
Come avvenne anche per la quinoa, l’arrivo dei conquistadores comportò un declino delle coltivazioni.
Da una parte, gli spagnoli desideravano sradicare la cultura religiosa locale per dominare le comunità e costringerle a convertirsi al cattolicesimo; dall’altra, il loro obiettivo era sostituire colture poco redditizie dal loro punto di vista con altre più familiari e remunerative.
Per fortuna la tradizione non scomparve completamente.
Così nel XX secolo l’amaranto tornò lentamente a diffondersi, anche grazie a nuovi studi che ne mostravano le qualità alimentari. Cominciò allora a essere coltivato in Messico, Sudamerica e Stati Uniti, ma anche oltreoceano (in particolare Cina, Austria e Polonia).
Botanica e coltivazione
La famiglia comprende ben 60 specie. A seconda della cultivar, questa pianta erbacea annuale può avere un’altezza variabile da 0,5 a 3,5 m. Le foglie possono essere ovali e lanceolate. Le infiorescenze sono lunghe sino a 90-100 cm, di colore rosso intenso (per la presenza di betacianine), oppure verde o giallino. Quelle dalla tipica tinta amaranto sono particolarmente ornamentali e diffuse anche nei giardini. La fioritura va da metà estate ai primi freddi, e i semi maturano in autunno.
A differenza della quinoa, l’amaranto è molto più adattabile e quindi più facile da coltivare. Richiede un clima caldo, un’esposizione in pieno sole e un suolo ben drenato; non necessita di molta acqua (bastano un paio di innaffiature alla settimana); se queste condizioni sono rispettate, la pianta è piuttosto produttiva. Le specie commestibili sono tre: caudatus, cruentus e hypochondriacus. Quest’ultima è ritenuta la più facilmente coltivabile.
Uno sguardo nel seme
Ciò che maggiormente caratterizza l’amaranto è la ricchezza di proteine dall’elevato valore biologico, che possono arrivare ben al 16%; tra gli amminoacidi essenziali contenuti spicca la lisina, il cui tenore è doppio rispetto a quello di molti cereali (che per lo più ne sono carenti). Ben attestate sono pure le fibre, che svolgono molte funzioni indispensabili per l’organismo. Anche dal punto di vista dei minerali l’amaranto è ben piazzato, grazie alla presenza di calcio, fosforo, magnesio e ferro.
Nel campo delle vitamine spiccano la niacina o B3 (utile per la respirazione cellulare, il metabolismo dei grassi, dei carboidrati e delle proteine, oltre che per la circolazione) e la piridossina o B6 (necessaria per la sintesi metabolica e per la formazione dei globuli bianchi e rossi) e dalla E, importante antiossidante. I lipidi sono ben rappresentati e composti prevalentemente da grassi polinsaturi, seguiti dai monoinsaturi e in minor misura dai saturi.
Buon regolatore intestinale, l’amaranto fornisce approssimativamente le stesse calorie dei cereali integrali.
Nel complesso, è un pseudocereale ben digeribile, adatto al consumo da parte dei celiaci per l’assenza di glutine; per questo motivo è idoneo anche nella fase dello svezzamento.
Impieghi diversi
Chicchi: sono utilizzabili asciutti o in brodo, meglio se mescolati con altri cereali o legumi. Poiché sono molto piccoli possono essere aggiunti direttamente all’impasto del pane o dei biscotti, cui conferiscono una piacevole consistenza croccante. Se ne può ricavare anche un ottimo latte.
Il latte, per le proprietà nutritive, è particolarmente adatto per i bambini, per chi soffre di intolleranze, per i diabetici e per chi soffre di colesterolo alto. É semplice da realizzare in casa, ma è importante conservarlo in frigorifero e consumarlo subito.
Per 100 g di chicchi di amaranto sono necessari 1,5 litri d’acqua e un cucchiaio di dolcificante a scelta. Ammollate i chicchi per un’ora e mezza circa. Quindi cuoceteli per circa 30 minuti, fino a quando i chicchi si disfano e formano una massa lattiginosa. Lasciate raffreddare e colate il liquido attraverso un telo molto fine.
Farina: di odore gradevole, è adatta per la preparazione di prodotti da forno quali biscotti e gallette; se associata con farine di frumento, kamut o farro nella percentuale di circa il 30% può servire anche per fare il pane. È anche possibile trasformarla in gustose crespelle. Mischiandone una parte con tre di farina gialla se ne ricava un’ottima polenta.
Foglie: se vi cimenterete nella coltivazione della pianta potrete usarne anche le foglie, che d’altronde sono reperibili anche allo stato selvatico nei campi (e sono considerate infestanti dagli agricoltori).
Gustose, ricche di ferro, di vitamina A e C, possono essere cucinate proprio come gli spinaci o le bietole.
Chicchi soffiati: si possono acquistare già pronti, oppure realizzare in casa. Come il mais, infatti, l’amaranto cotto in padella con un filo d’olio scoppia in modo simile ai pop corn; è possibile consumarlo come questi ultimi o utilizzarlo come ingrediente per muesli, barrette e pasticcini.
Idee in cucina
Il chicco di amaranto ha un sapore dolciastro e, da cotto, assume una consistenza gelatinosa non sempre gradita. Perciò è bene mescolarlo con riso o orzo nella proporzione di 1:3 risultando così più gradevole.
In alternativa può essere cucinato con verdure.
Per consumarlo asciutto l’ideale è cuocerlo per assorbimento.
L’amaranto può essere frullato insieme a ortaggi già cotti per la preparazione di vellutate e di passati.
Lo si può inoltre usare come base per le pappe dei bebè o per valorizzare minestre di verdura per convalescenti e anziani.
I chicchi già cotti possono essere mescolati con ingredienti diversi, come fiocchi di cereali o patate e carote ridotte in purea, in modo da formare un composto adatto alla realizzazione di crocchette e burger vegetali.
Infine è possibile far germogliare i semi, che poi costituiranno un gradevole arricchimento per le insalate.
Quinoa, amaranto e grano saraceno sono alimenti privi di glutine e ricchi di nutrienti, soprattutto di proteine di grande valore biologico. E, fondamentale per tutti coloro che amano cimentarsi ai fornelli, sono facili da cuocere e molto versatili in cucina: entrano nella preparazione di piatti salati e dolci, sono ottimi in chicco o soffiati, trasformati in farine e germogli.
Accantoniamo quindi le reticenze che possono nascere da una scarsa informazione e facciamoci guidare dall’autrice, cuoca professionista, alla realizzazione di oltre 100 ricette suddivise in tre sezioni dedicate ciascuna a quinoa, amaranto e grano saraceno.
Nel libro convivono preparazioni più semplici e altre più ricercate per le occasioni speciali. Gli ingredienti propongono combinazioni rigorosamente stagionali e non mancano mai verdure, erbe aromatiche e semi oleosi, presenze fondamentali per una cucina sana e saporita. Le fotografie che accompagnano i piatti sono un piacere per gli occhi e una premessa al godimento del palato.