L’artiglio del diavolo è un rimedio naturale fitoterapico che può risultare molto utile soprattutto contro i dolori articolari. Scopriamo insieme le sue proprietà terapeutiche.
La pianta appartiene alla famiglia delle Pedaliaceae
Parte usata: Radici laterali
Indicazioni
• dolori articolari e reumatici associati a dismetabolie come ipercolesterolemia e iperglicemia
• artrite, artrosi
• gotta, osteoartrite
• fibrosità, artrite reumatoide
Controindicazioni e avvertenze
Controindicato ovunque ci sia un’ipersecrezione gastrica, ulcera gastrica o duodenale, reflusso gastroesofageo. Cautela in caso di calcoli alla cistifellea e in caso di depressione o disordini neurologici. Non va preso insieme ad altri analgesici potenti o insieme all’anticoagulante warfarina perché può aumentarne l’effetto. È controindicato in gravidanza e nell’allattamento.
Posologia
Estratto Secco: titolato in arpagoside da un minimo di 1,5% a un massimo di 8%, se ne assume a seconda della percentuale da 500 mg a 1800 mg al dì.
Estratto Fluido: 6 ml al dì in acqua in due somministrazioni.
Uso domestico
Per via interna
Decotto delle radici: 4-6 g al dì, si lasciano bollire 400 ml d’acqua per 5 minuti; da consumare preferibilmente la sera dopo il pasto.
Dinamica dei costituenti
La sola ed unica parte ricca di principi attivi, è quella delle radici secondarie ed è bene ricordare che l’adulterazione con le altre parti della pianta può compromettere l’efficacia del rimedio.
I costituenti principali che caratterizzano l’Harpagophytum procumbens sono quindi gli iridoidi, i flavonoidi e gli acidi fenolici. La famiglia più importante è quella degli iridoidi e nello specifico la molecola dell’arpagoside che ne rappresenta l’80%.
Sono stati fatti numerosi studi sull’efficacia di questi componenti e, come spesso accade, la forza della pianta sta proprio nel fitocomplesso e non nel singolo componente; quindi si è osservato che la somministrazione del solo arpagoside non ha la stessa efficacia dell’estratto fitoterapico complesso.
L’attività principale degli iridoidi è quella di essere ottimi antinfiammatori, analgesici e antiartritici.
Tra le sperimentazioni più interessanti fatte sull’uomo, quella sui pazienti artrosici ha dato buonissimi risultati: c’è stata una riduzione del dolore dal 42 all’85% a seconda della localizzazione dell’artrosi. Il beneficio maggiore lo hanno ottenuto le persone con artrite alla colonna vertebrale e alle articolazioni maggiori. Il dosaggio in questi studi andava dai 600 ai 1200 mg al giorno, corrispondenti a 50-100 mg di arpagoside, per periodi di 60 o 90 giorni.
Se in un primo momento si è pensato che il meccanismo di queste sostanze fosse simile a quello degli antinfiammatori cosiddetti FANS, si è poi dimostrato che non è così; si è osservato che l’uso di Artiglio del diavolo non modifica la quantità dei fattori dell’infiammazione in modo diretto e quindi non provoca gli stessi effetti collaterali dei farmaci sopracitati.
Insieme alla Genziana è uno dei vegetali con più alto potere amaricante dato, appunto, dagli iridoidi: l’indice di amaro è compreso tra 5.000 e 12.000. Questa peculiarità conferisce alla droga una qualità disintossicante, colagogo (favorisce lo svuotamento della cistifellea) e coleretica (aumenta la produzione di bile nella cistifellea).
Da altri studi, eseguiti da ricercatori italiani, pare che le sostanze attive dell’Artiglio del diavolo abbiano anche un’azione ipotensiva sull’apparato cardiovascolare, diminuendo il ritmo cardiaco (effetto cronotropo negativo) e aumentando la forza di contrazione (effetto inotropo positivo).
Il rimedio fra storia e tradizione
Pianta dell’Africa Sud-occidentale e diffusa soprattutto nel deserto del Kalahari, nella Namibia, nel Botswana e nel Madagascar, deve il suo curioso nome alla particolarità della sua forma. Il nome latino Harpagophytum procumbens sta a indicare le escrescenze che, snodandosi dal frutto ovoidale, sono riccamente uncinate. Questi robusti artigli spesso si attaccano alle zampe degli animali che possono rimanere imbrigliati e bloccati procurandosi importanti ferite, se non addirittura la morte; di conseguenza, diventa facile capire l’origine del nome volgare.
Amante dei suoli ricchi di ossido di ferro nelle savane semidesertiche, l’Artiglio del diavolo si presenta come una piccola piantina in superficie, mentre nel terreno nasconde la parte più interessante terapeuticamente e più estesa: dalla grossa radice centrale dipartono lunghe radici laterali con piccoli tuberi che possono ricoprire grandi spazi alla ricerca di acqua.
Nella medicina popolare da sempre si usa la radice per varie problematiche infiammatorie.
Le popolazioni locali come i Bantu, i Khoikhoin e le tribù Boscimani, lo utilizzano nelle infiammazioni articolari (uso confermato nella moderna fitoterapia), contro la febbre, nelle problematiche del parto, come analgesico e digestivo; viene applicato come lenitivo anche su piaghe e ulcere.
L’Harpagophytum venne scoperto nei primi anni del Novecento e solo negli anni Cinquanta diventò oggetto di studi approfonditi. Ciò che desta la curiosità dei ricercatori di quel periodo è la presenza nella pianta di una sostanza molto interessante come antinfiammatorio, conosciuta fino a quel momento solo come componente animale. Infatti nel 1958 gli studi del professor Zorn dell’Istituto Friedrich-Schiller di Iena, dimostrarono quanto l’Artiglio del diavolo fosse ricco di iridoidi, quei principi attivi presenti in grande quantità nel veleno delle formiche Iridomirnez da cui prendono il nome. Non a caso nella medicina omeopatica il veleno di formica e di ape è utilizzato proprio come antinfiammatorio.
Medicina popolare e tradizionale, dunque, si sovrappongono ancora una volta e attualmente gli studi confermano la grande capacità antinfiammatoria di questa pianta.
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