Possiamo affermare che la sostenibilità è una necessità impellente. Ma non ci siamo arrivati per primi. Non siamo noi, che osserviamo gli ultimi vent’anni con occhio critico, i pionieri della sostenibilità.
La sostenibilità è una necessità da decenni per non dire da secoli, una preoccupazione che un tempo era per i pochi che erano in grado di vedere molto avanti. Adesso se ne fa un gran parlare, è diventata una parolina magica con la quale cercano di venderci qualsiasi cosa tacitando la nostra coscienza verde, ma in realtà è storia vecchia.
Inutile dire che siamo già molto in ritardo. Avremmo dovuto iniziare a pensare in termini di sostenibilità già da molto tempo.
Da quanto secondo voi?
Questa è una domanda interessante.
Da quanto tempo pensate che l’essere umano abbia iniziato a pensare agli effetti delle sue azioni sul Pianeta?
Se pensate che l’attenzione alla sostenibilità delle attività umane rispetto alla natura e lo studio delle relazioni tra modifiche dell’ambiente e clima siano recenti, siete fuori strada.
Infatti, per capire in che situazione ci siamo messi è molto importante sapere che già due secoli fa importanti studiosi si stavano preoccupando delle modifiche apportate all’ambiente dalle attività umane che diventavano sempre più impattanti, a seguito anche del progresso tecnologico connesso alla prima rivoluzione industriale.
Pensate, infatti che già nel 1864 un certo George Perkins Marsh (1801-1882), considerato il primo ecologista americano, scrisse un libro dal titolo L’uomo e la natura, ovvero la superficie terrestre modificata per opera dell’uomo, nel quale affrontava il tema degli effetti delle attività dell’uomo sull’ambiente. Nel testo, oltre a tante altre questioni molto interessanti, scriveva: «L’argomento del mutare dei climi, prendendo in considerazione o no l’azione dell’uomo come causa, è stato molto discusso (…)»1.
Sì, perché già nel XIX secolo studiosi e scienziati di varie discipline avevano iniziato a capire che le attività dell’uomo, che diventavano sempre più intense a seguito del progresso tecnologico e dell’aumento della popolazione con tutto ciò che ne conseguiva, avevano un impatto negativo sull’ambiente.
Un’altra figura straordinaria per la sua comprensione del fenomeno e per la sua lungimiranza è Alexandre Von Humboldt.
Von Humboldt è stato un geografo, esploratore e naturalista tedesco vissuto tra il 1769 e il 1859. Agli inizi del 1800 effettuò una lunga spedizione in America del Sud e, arrivato al lago Valencia in Venezuela, osservò che le acque erano calate e che i terreni circostanti erano stati bonificati per impiantare coltivazioni di canna da zucchero e di tabacco. Mise quindi in relazione l’intervento dell’uomo con un cambiamento climatico che aveva avuto impatto sull’ambiente. Le acque erano diminuite perché l’uomo aveva eliminato la vegetazione nei dintorni del lago2.
Tutto ciò sembra sorprendente. Stiamo subendo gli effetti devastanti del cambiamento climatico che minaccia la nostra sopravvivenza, stiamo cercando di porre rimedio a enormi devastazioni ambientali e scopriamo che già due secoli fa c’era chi metteva in guardia rispetto a un’attività umana che sembrava modificare troppo l’assetto ambientale.
Questo ci potrebbe anche indurre a ritenere che duecento anni fa il rispetto per la natura dovesse essere molto più forte e la sensibilità verso le modifiche dell’ambiente molto più profonda, se pensiamo quali potevano essere i “danni” causati dal livello tecnologico di allora. Di certo noi abbiamo tollerato interventi molto più pesanti senza farci troppi problemi. Pensiamo solo alla cementificazione selvaggia che ha distrutto immense aree verdi.
In Italia, già nel 1846 agronomi e naturalisti si preoccupavano della “sfrenata libertà della recisione degli alberi” e argomentavano tesi riguardo all’influenza dei boschi sul clima, così come cercavano i modi migliori per rimboschire le montagne della Lombardia3. Insomma, era già noto allora che tagliare gli alberi non è bene. Pensate che nel 1834 era già stato statisticamente provato che il clima in Francia era mutato dopo grandi distruzioni di foreste per ottenere campi da dissodare4.
Perché fare questo excursus storico?
Prima di tutto perché risulta sempre sorprendente come l’essere umano non voglia mai prendere in considerazione le voci fastidiose di chi lo mette in guardia dai comportamenti sbagliati, soprattutto se queste voci potrebbero ostacolare il suo comodissimo e insalubre stile di vita.
Inoltre, è auspicabile che ormai nessuno abbia bisogno di conferme o di illustrazioni scientifiche per comprendere che siamo vicinissimi al punto di non ritorno.
Chi è nato negli anni Sessanta ha vissuto stagioni climatiche di cui nostri figli non conoscono nemmeno l’esistenza. Tutti gli anni viene in mente una frase trita e ritrita che veniva ripetuta negli anni Settanta: “non ci sono più le mezze stagioni”. Non si poteva certo immaginare che quelle che sembravano sporadiche bizzarrie climatiche sarebbero diventate una consuetudine. Così come non si sarebbe mai potuto immaginare di anelare a un bianco Natale o di pensare con malinconia alle nebbie padane che impedivano di uscire da adolescenti.
Qual è l’assunto da cui partiamo? È che il Pianeta sta gridando di dolore, che gli animali ci chiedono aiuto e che i nostri figli meritano un grande sforzo per poter avere un futuro degno di questo nome.
Questo significa che le mamme 2030 possono giocare un ruolo fondamentale nella lotta per l’ambiente, senza togliere nulla ai papà ovviamente.
In ogni caso, nella gestione della famiglia i genitori possono fare la differenza, dirottando gli acquisti verso prodotti che rispettino (davvero) l’ambiente e la salute, educando i propri figli al rispetto per la natura e per gli altri, stimolandoli a ragionare con la loro testa.
Questo percorso però richiede prima di tutto una grande consapevolezza, che sarà la fonte della nostra forza quando ci sembrerà di essere salmoni che nuotano controcorrente.
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Nessuno ci regalerà la soluzione per
salvare l’ambiente e il Pianeta senza sforzo. Siamo noi, insieme alle nostre famiglie che dobbiamo capire cosa sia la
sostenibilità, per iniziare ad agire e acquistare in modo diverso. Come spendiamo i nostri soldi e come modifichiamo i nostri comportamenti quotidiani può fare un’enorme differenza.
Iniziamo dal carrello della spesa, mettendoci prodotti a minore impatto ambientale; convinciamo i nostri figli a ridurre il consumo di bevande gassate e cibo industriale, dannosi per la salute e l’ambiente; lasciamoci alle spalle gli abiti usa e getta e scegliamo di comprare meno ma meglio.
Tutto ciò, però, farà di noi delle «mamme (in)sostenibili», che lottano per la sostenibilità, ma diventano insostenibili per il loro figli, adolescenti e ribelli. Sarà dura, ve lo dico fin da ora. Verremo messe in discussione, ma dovremo andare avanti a testa bassa, forti e consapevoli del fatto che il cambiamento immediato del nostro stile di vita è necessario per la difesa dell’ambiente e dell’uomo e per provare a garantire un futuro alle nuove generazioni.
L’educazione dei figli è un investimento a lungo termine. Arriverà il momento in cui si ricorderanno di quello che abbiamo insegnato loro e capiranno i nostri sforzi, diventando, a loro volta, esempio per gli altri.
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