Uno studio dell’Università di Bologna ha messo in evidenza un legame tra inquinamento da particolato atmosferico e velocità di incremento dei casi di contagio.
Un position paper presentato dal professor Leonardo Setti dell’Università di Bologna, insieme a un gruppo di colleghi, ha evidenziato1 una correlazione tra i superamenti dei limiti di PM10 nelle centraline di alcune città e il numero di ricoveri da Covid–19.
Lo studio non ha mancato di sollevare qualche critica, ma è vero che il fenomeno alla base – il particolato fine come vettore per altri inquinanti – è noto e provato. Nella conclusione del documento si legge: «Si evidenzia come la specificità della velocità di incremento dei casi di contagio che ha interessato in particolare alcune zone del Nord Italia potrebbe essere legata alle condizioni di inquinamento da particolato atmosferico che ha esercitato un’azione di carrier (vettore, N.d.r.) e di boost (incremento, N.d.r.). Come già riportato in casi precedenti di elevata diffusione di infezione virale in relazione ad elevati livelli di contaminazione da particolato atmosferico, si suggerisce di tenere conto di questo contributo sollecitando misure restrittive di contenimento dell’inquinamento».
Fabrizio Bianchi, capo dell’Unità di epidemiologia ambientale e registri di patologia all’Istituto di fisiologia clinica del Cnr ha commentato così2: «Ho letto con interesse il lavoro di Setti e collaboratori […]. I risultati […] richiedono di essere confermati e approfonditi mediante un disegno di studio più evoluto che tenga conto anche della disomogeneità territoriale del tempo di propagazione virale; tuttavia, concludere con il supporto a favore di misure restrittive di contenimento dell’inquinamento ritengo sia un monito su cui concordare».
Comunque la presenza di elevate concentrazioni di inquinanti in aria è ritenuta responsabile di mortalità in eccesso. L’Agenzia europea ambiente (Eea) già da alcuni anni include nel rapporto annuale sulla qualità dell’aria3 PM2.5, NO2 e O3. L’ultima stima per l’Italia (dati 2016) riporta un totale di 76.200 morti dovuti a questi parametri, la maggior parte (77% circa) legati al particolato fine (PM2.5).
A individuare una possibile correlazione tra inquinamento ed elevata mortalità in Lombardia ed Emilia Romagna è poi uno studio pubblicato su Environmental Pollution4 condotto dalle università di Siena e Aarhus. Gli esperti hanno valutato i livelli di inquinamento nelle regioni italiane usando i dati del satellite Nasa Aura e sostengono come sia probabile che le persone che hanno contratto il virus fossero già indebolite a causa dell’esposizione prolungata allo smog.
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Brano tratto dall’articolo Un virus ha fermato il mondo. Ora si cambi paradigma
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