Linee guida per una corretta pianificazione delle rotazioni
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Come è facilmente comprensibile, un pomodoro messo per due anni su tre sullo stesso appezzamento presenta un consumo di nutrienti maggiore rispetto a 6 cicli d’insalata ripetuti in tre anni. In linea generale, possiamo dire che piante della stessa specie (Solanacee, Cucurbitacee, Leguminose) presentano consumi di macro e microelementi e avversità simili. Conoscere le potenzialità dei nostri terreni attraverso delle analisi chimiche e predisporre un accurato piano di letamazione, compostaggio e sovescio, è un ottimo punto da cui partire per capire anche con quale intensità coltivare i principali ortaggi da reddito.
Uno dei principali problemi da affrontare quando si ripete una coltivazione sullo stesso terreno è la suscettibilità delle piante a malattie causate principalmente da marciumi a livello radicale e del colletto causati da Fusarium, Rhizoctonia, Pythium, Sclerotinia, Phytopthora. Oltre a questi temibili funghi è necessario considerare anche da quali insetti terricoli possono essere attaccate le nostre colture sia a livello radicale che fogliare. Se ad esempio notiamo la presenza di nematodi o più semplicemente un attacco iniziale di elateridi (più comunemente conosciuti come ferretti) sulle patate, sarà opportuno non trapiantare ortaggi dalle radici carnose, come cipolle o porri, negli anni successivi.
Le rotazioni svolgono anche l’importante ruolo di interrompere i cicli delle infestanti. Impostando gli avvicendamenti colturali in maniera corretta, dovremo riuscire a lavorare il terreno prima che l’infestante vada a seme. Anche il ricorso a sovesci con piante che soffocano altre infestanti o l’utilizzo di false semine possono dare ottimi risultati.
In molti casi, anche su superfici relativamente limitate è possibile notare il variare della tessitura del terreno. Una conoscenza approfondita dell’area di coltivazione è dunque fondamentale per identificare quali zone presentano una tessitura più leggera, e quindi sono più adatte a colture da tubero e quali sono più idonee a colture da frutto o foglia. All’interno degli appezzamenti esistono sempre aree più produttive, o aree soggette a ristagni idrici. La conoscenza esatta di queste specificità, può essere molto utile nella scelta del piano colturale.
L’esposizione è un aspetto molto spesso sottovalutato. Ritengo che i valori di temperatura che ormai si raggiungono nei mesi di luglio e agosto stiano diventando sempre più critici per il corretto sviluppo delle piante coltivate, soprattutto in fase di allegagione. La scelta di creare delle barriere con fagiolini, cetrioli o pomodori, l’incremento di densità di pomodori sula fila e la scelta di incrementare la superficie fogliare sono tecniche che consentono di evitare pericolose scottature, favorendo l’ombreggiamento sia per le piante principali che per le vicine. Anche l’impostazione delle file in direzione nord-sud o est-ovest può essere molto utile nel favorire l’ombreggiamento.
Per consociazione si intende la possibilità di condividere, nello stesso momento, la stessa area di produzione tra due o più colture. Se questa relazione è ben impostata, la consociazione apporta vantaggi a entrambe le colture o almeno a una di esse senza compromettere il corretto sviluppo dell’altra.
Il riposo è una tecnica utilizzata da migliaia di anni, conosciuta anche con il termine di “maggese”. Consiste nel lasciare incolte determinate particelle di terreno per uno o più anni in modo da ripristinare il tappeto erboso autoctono e l’equilibrio microbiologico. Personalmente, sono molto scettico su questa pratica perché nel momento in cui decidiamo di coltivare un terreno, anche nella maniera più sostenibile possibile, andiamo comunque ad alterarne l’equilibrio. Considero una perdita di potenzialità lasciare i campi senza copertura, aspettando che si riformi il cotico erboso, se poi andremo nuovamente a lavorare il terreno nel ciclo successivo. Più che il maggese, è consigliabile inserire colture da sovescio che oltre a coprire il suolo possono incrementare la fertilità e l’attività microbiologica in tempi molto più rapidi. Esistono sovesci mirati che possono portare a un incremento della fertilità, al suo mantenimento o alla risoluzione di problemi, come nel caso dei nematodi o di altre avversità (vedi capitolo sovescio). Nel caso in cui una parcella di terreno rimanga incolta per alcuni mesi e abbia già raggiunto un livello sufficiente di sostanza organica, la cosa migliore che possiamo fare è seminare un miscuglio di essenze mellifere (anche se non produciamo miele), che in poco tempo coloreranno il nostro terreno, fornendo un’importante fonte di cibo a tantissimi insetti utili (i pronubi, come api e bombi, sono fondamentali per l’impollinazione di molte specie orticole).
Per quanto riguarda le rotazioni, i vari manuali di orticoltura suggeriscono decine e decine di pianificazioni, schemi e consociazioni possibili, ma alla fine a decidere è sempre quello che il mercato richiede. Sono ormai patrimonio diffuso alcuni concetti basilari come le leguminose che migliorano il terreno attraverso processi di azoto-fissazione, le insalate che sono piccole consumatrici della fertilità e che possiamo mettere un po’ ovunque, oppure i daikon che lavorano il terreno in profondità in maniera simile a una rippatura. Quello che si produce al di là del nostro fabbisogno per l’autoconsumo è ovviamente perseguito con l’obiettivo della vendita e quindi di assicurare la sostenibilità economica delle nostre aziende. Da questo punto di vista, ho imparato negli anni a far apprezzare molti ortaggi inusuali. Penso di essere stato uno dei primi agricoltori a vendere nel mercato del mio paese il basilico viola, i pomodori zebrati, i pomodorini gialli a pera, le zucche Red Kury, le arachidi prodotte in provincia di Siena, le pa- tate viola e tanto altro, suscitando la curiosità di tantissimi clienti che però hanno impiegato molto tempo prima di consumarli abitualmente e darmi la possibilità di inserirle stabilmente nelle rotazioni.
L’errore più frequente, soprattutto nella fase iniziale di avvio di un’attività agricola, sostiene l’autore, è quello di sposare pedissequamente uno di questi modelli senza conoscere in dettaglio il metodo stesso, le potenzialità e le caratteristiche del terreno a disposizione.