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Meditazione e mindfulness: quali sono le differenze?

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Si sente sempre più spesso parlare di mindfulness, ma forse non è molto chiaro a che cosa ci si riferisce. È un’alternativa alla meditazione o ne fa parte? Proviamo a fare chiarezza.
Meditazione e mindfulness: quali sono le differenze?
Gli insegnanti di meditazione tradizionali e contemporanei sono soliti distinguere due principali tipi di meditazione: concentrazione e mindfulness. In Pali, la lingua di molti dei primi testi buddhisti, sono note come pratiche samadhi (concentrazione) e pratiche sati (mindfulness).
La concentrazione è una forma di consapevolezza univoca, in cui per un certo periodo di tempo si presta attenzione a un solo elemento, dentro di noi o al nostro esterno1. Per rivolgere la propria attenzione all’esterno, si potrebbe ad esempio osservare una candela, ammirare un’opera d’arte o semplicemente fissare una macchia sul muro. Per concentrarsi sulla propria interiorità, invece, si potrebbe visualizzare un’immagine, respirare, notare le sensazioni e osservare i movimenti corporei o ripetere un mantra.
Un mantra è una parola semplice ma ricca di significato per la persona che la ripete, come “uno”, “pace” o “amore”, oppure un suono come “om”. “Om” è un suono ricorrente nelle tradizioni orientali, e secondo l’induismo rappresenta l’originaria vibrazione divina dell’universo. Quando sopraggiunge una distrazione mentale o fisica, questa viene messa da parte per poi rivolgere di nuovo l’attenzione verso l’oggetto della concentrazione. Forme comunemente note di concentrazione comprendono lo yoga, il tai chi e il qigong, così come la meditazione trascendentale e altre azioni da svolgere in modo concentrato, tra cui vari tipi di preghiera che potrebbero essere più familiari a molti occidentali. La concentrazione buddhista comprende pratiche come la meditazione di Metta (meditazione di gentilezza amorevole), alcune meditazioni Zen e molte tibetane. La concentrazione sviluppa l’attenzione, libera e calma la mente. È come viaggiare in linea retta verso una meta.
La mindfulness deriva dalla tradizione Zen e dalla tradizione buddhista Vipassana. A differenza della concentrazione, in cui siamo noi a guidare la mente, la mindfulness osserva dove la mente si rivolge spontaneamente2. Se la concentrazione può essere paragonata a una lente d’ingrandimento posta sopra un oggetto, la mindfulness è come un grandangolo che inquadra l’intero orizzonte3. La mindfulness richiama l’attenzione direttamente al momento presente: sulle nostre percezioni e, soprattutto, sulle conseguenti elaborazioni mentali.
La mindfulness implica l’esercizio di una meta-consapevolezza di pensieri, emozioni e sensazioni nel presente. “Meta-consapevolezza” è un termine che si riferisce al fatto di osservare i nostri pensieri senza applicarvi giudizi, analisi o fantasie: semplicemente prendiamo nota delle attività della mente in un dato momento, come pensieri, sensazioni e associazioni in continuo andirivieni4.
Anche se la forma più pura di mindfulness consiste nella semplice osservazione della mente e dei pensieri che si formano e si dissolvono come nuvole nel cielo, è probabile che alla mente capiti di divagare, trasportata da un flusso di pensieri. Per questo motivo, può essere utile ancorare noi stessi attraverso esercizi di concentrazione o di consapevolezza, ad esempio seguendo il nostro respiro o prestando
attenzione alle sensazioni corporee. Così come con la concentrazione, anche nella mindfulness si verificano delle inevitabili distrazioni o divagazioni della mente che dobbiamo mettere mentalmente da parte prima di riconcentrarci.
Quando sperimentiamo la mindfulness in modo ancorato, osserviamo e diamo un nome ai pensieri, alle emozioni o alle sensazioni che distolgono la nostra attenzione, prima di rivolgerla di nuovo all’esercizio di ancoraggio. Ad esempio se, mentre siamo concentrati sul respiro come forma di ancoraggio, ci accorgiamo che la nostra pancia sta brontolando e all’improvviso iniziamo a pensare alla cena da preparare, non appena ce ne rendiamo conto dobbiamo semplicemente prendere atto del fatto che “la pancia sta brontolando” e poi riconcentrarci sul respiro, evitando ogni divagazione sulla preparazione della cena. Osservare
e conoscere la nostra mente con maggiore intimità, ci fornisce delle informazioni sulla sua vera natura e sulle sue abitudini.
Poiché di solito i giovani preferiscono usare, come forma di ancoraggio, delle immagini concrete che sono in grado di vedere o percepire, sono consigliabili pratiche sensoriali, ovvero che usano i cinque sensi per
affinare la consapevolezza, stabilire una connessione col presente e osservare il modo in cui si reagisce. Ciascuno dei cinque sensi (udito, vista, tatto, gusto e olfatto) può rappresentare uno strumento di ancoraggio per la nostra meditazione, e alcune tradizioni psicologiche orientali includono anche un sesto senso: la mente o il pensiero.
Note:
1. Deborah Rozman, Meditating with Children, Buckingham, Integral Yoga Publications, 1974.
2. Christopher K. Germer, Mindfulness and Psychotherapy, New York, Guilford Press, 2016.
3. Jane Wexler, The Relationship Between Therapist Mindfulness and Therapeutic Alliance, Boston, Massachusetts School of Professional Psychology, 2006.
4. Cahn e Polich, Psychological Bulletin 132 cit.
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Articolo tratto dal libro Mindfulness per bambini e adolescenti

Lo scopo della mindfulness non è aggiustare qualcosa di rotto, ma costruire qualcosa sui punti di forza già esistenti.

Vera e propria guida pratica, questo libro mostra a genitori, insegnanti e a tutti coloro che lavorano con i minori come integrare la mindfulness nel proprio percorso educativo con i bambini. Inoltre l’autore si rivolge direttamente agli adolescenti, spiegando loro le basi della consapevolezza mindful.
Numerosi esercizi presenti nel volume traggono ispirazione dagli insegnamenti del maestro zen vietnamita Thich Nhat Hanh.
Mindfulness per bambini e adolescenti aiuta gli adulti a trasmettere ai più piccoli l’importanza della consapevolezza e della presenza mentale, per crescere individui più sereni, felici e sicuri di sé.

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