Brassica rapa sp. Nipposinica
Esposizione: sole
Esigenze nutrizionali: moderate
Esigenze idriche: medie
Propagazione: semina
Periodo di semina: da febbraio ad aprile e da agosto a ottobre
Parti utilizzate: foglie
Oltre alla rucola classica che tutti conoscono nelle due varianti “coltivata” e “selvatica”, perché non introdurre nell’orto e in cucina un’altra insalatina simile e per certi aspetti ancora insolita? Stiamo parlando della mizuna, una specie da foglia di origine orientale, che si coltiva in modo semplice, data la sua ampia adattabilità ai nostri ambienti.
In cucina si presta come ingrediente di diverse insalate, pietanze cotte o anche solo come elemento decorativo di piatti ricercati o semplici a cui dare un tocco di raffinatezza.
La pianta di mizuna, il cui nome botanico è Brassica rapa sp. Nipposinica, è di taglia piccola e ricorda molto la rucola, da cui si distingue per la forma delle foglie, che hanno margini molto più seghettati. Proprio come la rucola appartiene alla vasta famiglia delle Brassicacee o Crucifere, da cui prende il sapore amarognolo-piccante.
La varietà di mizuna più comune è di colore verde con steli centrali bianchi, ma la si trova anche nella sua variante dal colore rosso-violaceo, chiamata per l’appunto Red Mizuna.
Per coltivare la mizuna possiamo usare come termini di riferimento la coltivazione della rucola, visto che sussistono parecchie similitudini tra le due specie. Il loro ciclo biologico è infatti analogo: inizia con la germinazione delle plantule, che hanno il tipico aspetto di tutte le brassicacee appena nate, prosegue con la crescita delle foglie, che in qualche settimana raggiungono l’altezza di 20 cm circa, infine si va verso la fioritura e la successiva disseminazione.
I semi di mizuna possono essere ordinati in rete da vari siti web specifici, soprattutto quelli legati alla coltivazione biologica, ma ormai anche i comuni vivai sono sempre più attrezzati nel fornire sementi di specie “esotiche” come questa, destinata sicuramente ad avere grande diffusione nei prossimi anni. Inoltre, se non si dispone di un semenzaio o non si ha voglia o tempo di seguirlo, è possibile trovare anche le piantine già pronte per il trapianto in contenitori alveolati o vaschette nere.
LA MIBUNA
Stretta parente della mizuna, è la mibuna (Brassica campestris var. laciniifolia), molto simile di sapore ma diversa nella forma delle foglie, che hanno margini lisci e non dentellati. La sua coltivazione è del tutto analoga. Si consiglia di provare entrambe le varianti, per ricavare così un misto molto ricco di specie da insalata e da decorazione.
ESIGENZE DELLA PIANTA
Terreno, posizione e clima. Il terreno ideale per la mizuna è quello di medio impasto, che è una buona via di mezzo nell’unire i pregi dei terreni argillosi e quelli dei terreni sciolti. In realtà, con le dovute accortezze, anche suoli molto argillosi o, al contrario, molto sciolti, possono ospitare senza problemi questa specie, purché ben lavorati e costantemente ammendati.
Poiché la mizuna ama la luce, dedichiamole una posizione abbastanza soleggiata, preferendo invece la mezzombra se si intende coltivarla in tarda primavera. Il clima temperato italiano è ottimo per questa specie, che ci impone però di evitare il periodo invernale di freddo intenso, in cui le piante morirebbero, e quello estivo centrale, che le farebbe salire precocemente in semenza prima di aver differenziato delle belle foglie.
TECNICHE DI COLTIVAZIONE
Preparazione del terreno e concimazione. La lavorazione del terreno è analoga a quella richiesta dalla maggior parte degli ortaggi e prevede un’accurata preparazione del letto di semina, che consiste dapprima in una lavorazione principale del terreno, nell’affinamento successivo delle zolle e, infine, il livellamento della superficie.
Come regola generale, nella coltivazione biologica si dà priorità alla salute del terreno in quanto tale, senza un obiettivo strettamente finalizzato alla resa: una buona cura dell’ecosistema suolo porta anche ad ottenere ortaggi sani e rigogliosi.
Se decidiamo di concimare ricordiamo di usare ammendanti ben maturi e di incorporarli nei primi 20 cm di profondità. Altrimenti è il caso di provvedere prima di seminare questa coltura, che però se ne avvantaggia solo parzialmente: la sostanza organica infatti impiega tempo a cedere nutrienti, mentre la crescita della mizuna è rapida. Per compensare l’effetto ritardato della concimazione di fondo, possiamo effettuare irrorazioni ripetute di macerati diluiti di ortica o di consolida, che apportano azoto e ferro prontamente disponibile, elementi di cui una coltura da foglia è avida. Anche manciate di farine di roccia o di alghe, così come spolverate di cenere di legna, sono sempre utili aggiunte ai primi strati di terreno.
Semina e sesti di impianto. La semina della mizuna può essere eseguita indifferentemente a file o a spaglio. La prima modalità prevede di tenere distanze di circa 20 cm tra le file e consente di praticare le consociazioni, alternando quindi una fila di questa specie con altri ortaggi. In questo modo avremo un’aiuola variegata e ricca. La gestione della coltura seminata a file è inoltre notoriamente più efficiente perché permette anche un controllo migliore dell’erba spontanea, oltre a una nascita delle piantine più uniforme.
Al contrario, la semina a spaglio può generare una disomogeneità nella densità di semina, ma è la tecnica consigliata quando si coltiva in spazi ridotti, situazioni in cui è meglio ottimizzare praticamente tutta la superficie disponibile.
In entrambi i casi, la profondità di semina deve essere proporzionata alle dimensioni del seme, che in questo caso non raggiunge il centimetro. Al seme basta una copertura leggera, data da un sottile velo di terra. Se è interrato troppo, la plantulina che nasce consuma le proprie riserve di energia prima di vedere la luce e non riesce ad emergere.
Come periodi migliori per la semina consigliamo le prime fasi primaverili, a partire dalla fine dell’inverno se le temperature sono miti e se si coltiva sotto tunnel, e poi l’inizio dell’autunno, ovvero settembre e ottobre. La semina estiva trova nella precoce salita a seme, dovuta al caldo, un inconveniente molto frequente , che impone la raccolta delle piantine quando ancora sono piccole e tenere, cosa però non del tutto negativa, visto che si compensa una minor produzione con miglior qualità.
Infine, citiamo il trapianto, che prevede cioè di iniziare la coltivazione della mizuna partendo da piantine già pronte. Questa scelta è senza dubbio più costosa rispetto alla semina diretta, ma trova giustificazione in certi casi, come quelli di grandi produzioni professionali nelle quali zappettare tra le file risulta impegnativo, e si preferisce impiegare teli neri da pacciamatura, meglio se di amido di mais o di altro materiale biodegradabile. In questo caso, si stendono preventivamente i teli sull’aiuola, già predisposta con i tubi dell’irrigazione a goccia, poi si creano i fori su più file, e infine vi si trapiantano i ciuffi di piantine. Di solito in ogni panetto di terra ne crescono almeno 3-4 insieme. Si tratta di un modo razionale di gestire la coltura, che si può provare anche nell’orto di casa, ma ricordando che i teli neri biodegradabili in realtà non sono tali al 100% e che contengono una piccola frazione che resta indecomposta nel suolo.
Operazioni colturali. Man mano che la coltura nasce e si sviluppa, noteremo che anche le erbe spontanee crescono parallelamente, spesso anche con ritmi più rapidi, mostrando una vigoria che a noi sembra dispettosa e che è legata alla loro maggiore rusticità e capacità di adattamento. La semina a file consente di differenziare subito la coltura dalle infestanti, sapremo quindi cosa togliere e cosa lasciare. Tra le file è utile passare un tridente, che svolge la funzione di sarchiatura, eliminando le piantine infestanti appena nate e rompendo le eventuali croste di terra o le crepe che si formano dove il terreno è argilloso, con un’azione benefica di ossigenazione.
L’irrigazione deve essere assidua nelle prime fasi di crescita, poi una volta che le piantine raggiungono la fase adulta possiamo diminuirne l’intensità. L’ideale è predisporre un impianto ad ala gocciolante, e nel metterlo in funzione bisogna sincerarsi che la diffusione dell’acqua interessi omogeneamente tutta la coltura, altrimenti bisogna completare con l’annaffiatoio le zone non raggiunte.
Coltivazione in vaso. Trattandosi di una specie di cui si scarta praticamente solo la radice, e che produce fino a 5 tagli circa ogni ciclo, questa pianta rende bene anche coltivata sul balcone in vasi, fioriere o cassoni. Come dicevamo, per gli spazi ristretti è forse più conveniente la semina a spaglio, che consente di ottenere una sorta di piccolo tappeto erboso di insalatina. In questo caso bastano contenitori di altezza di 20 cm circa, nella loro scelta conviene privilegiare la larghezza e la lunghezza.
RACCOLTA E CONSERVAZIONE
Quando le foglie raggiungono i 12-15 cm, dopo poche settimane dalla semina, possono essere recise con delle forbici o un coltello ben affilati. L’importante è mantenere intatto il cuore vegetativo della pianta, in modo tale da consentirne un nuovo ricaccio e quindi un’ulteriore produzione.
Allo scopo, dopo ogni taglio è importante irrigare per stimolare la pianta a riattivarsi per la crescita. Indicativamente da 1 metro quadrato di mizuna possiamo raccogliere circa 1 kg di foglie.
UTILIZZO
L’uso più comune della mizuna è in insalata mista, per il suo aspetto così decorativo si presta anche per adornare le più svariate pietanze, a cui può fare da cornice.
La si può anche cucinare lessata o stufata in padella come semplice contorno o come ingrediente di ricette orientali.
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Più
biodiversità nell’orto e più
varietà a tavola: è questo l’invito lanciato dagli autori di
Ortaggi insoliti, dedicato alla
coltivazione biologica di piante di elevato valore nutrizionale e grande interesse culinario, ma poco presenti nei nostri orti. I casi più eclatanti sono quelli dello
zenzero, delle
bacche di goji e della
stevia, diventati negli ultimi anni molto popolari per le loro
riconosciute virtù, eppure ancora poco coltivati in Italia.
Meno noti al grande pubblico, ma non per questo privi di interesse, sono la
cicerchia, il
lampascione e la
portulaca, da sempre coltivati e consumati solo in alcune zone molto ristrette.
Nella lunga lista degli ortaggi insoliti ritroviamo anche verdure di pregio d’origine asiatica, africana o sudamericana, ma che ben si adattano anche al nostro clima, come il pak choi, l’okra, la mizuna, il kiwano o il chayote. Non poteva mancare il lungo elenco di ortaggi nostrani, come la pastinaca, la scorza nera, il topinambur, l’erba di San Pietro, il farinaccio, che per secoli hanno rappresentato una preziosa fonte di nutrimento, ma che oggi sono caduti nell’oblio perché soppiantati da specie più produttive o semplicemente più richieste dal mercato.
In totale nel libro vengono presentati 36 tra ortaggi, piccoli frutti e tuberi, a ognuno dei quali è dedicata una scheda approfondita con tutte le informazioni necessarie per la coltivazione. Un modo semplice e concreto per rendere i nostri orti più variegati e contrastare il processo di impoverimento della biodiversità e della nostra stessa dieta.
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