Vi ricordate la rivolta dei Sioux negli Stati Uniti, culminata nell’accampamento di Standing Rock? Non è il solo fronte aperto sulle questioni ambientali in Nord America.
In Canada, i nativi americani hanno un fronte aperto di contestazione importante. Si stanno infatti battendo contro la realizzazione dell’oleodotto che partendo dal Canada arriverà fino al Texas. «Per oltre dieci anni, il progetto da 8 miliardi di dollari è rimasto sulla carta, ma con la pandemia potrebbe essere arrivata la svolta» scrive l’associazione Re:Common (la situazione è aggiornata a luglio).
Il governatore dell’Alberta, la regione canadese da cui dovrebbe partire l’oleodotto, ha approvato un investimento di 1,5 miliardi di dollari e stanziato ulteriori 6 miliardi in garanzie pubbliche. Sono iniziati i lavori nel Montana, a ridosso del confine canadese.
Intanto, «il governatore del South Dakota, snodo cruciale dell’oleodotto, ha approvato una legge che inasprisce fortemente le pene per chi protesta contro le pipelines, ri-classificate come infrastrutture critiche. A preoccupare è il pericolo di una nuova rivolta come quella dei Sioux contro la Dakota Access Pipeline, culminata nell’accampamento di Standing Rock, dove migliaia di persone hanno fronteggiato per mesi, fra il 2016 e il 2017, le truppe dell’Army Corps of Engineers», spiega Re:Common. «L’oleodotto dovrebbe trasportare il petrolio estratto dalle sabbie bituminose canadesi fino alle raffinerie del Golfo del Messico. Il tragitto prevede che la conduttura passi al di sotto del fiume Missouri in Montana, unica fonte idrica per le comunità della riserva di Fort Peck. In Nebraska attraverserebbe per 400 chilometri la falda acquifera Oagalla, una delle più grandi al mondo. I danni di una fuoriuscita di petrolio sarebbero incalcolabili, specialmente per le già marginalizzate comunità indigene che non dispongono di alternative per l’approvvigionamento di acqua».
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Brano tratto dall’articolo Il risveglio dello spirito Pellerossa
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