Esposizione: sole
Esigenze nutrizionali: medie
Esigenze idriche: medie
Propagazione: semina
Periodo di semina: da giugno a luglio
Parti utilizzate: foglie
Il pak choi è un ortaggio di origine orientale, ancora poco conosciuto in Italia, ma molto diffuso nella cucina cinese e giapponese.
Imbattendosi in questa pianta, un occhio distratto potrebbe scambiarlo per una varietà di bietola: infatti si presenta come un cespo di foglie libere, dotate di una spessa costa centrale e raggiunge le stesse dimensioni della bieta da coste. Avvicinandoci però possiamo notare le differenze: le foglie sono di un verde più chiaro rispetto allo smeraldo delle bietole, le coste di un verde molto tenue, non bianco puro.
Per identificare la vera famiglia di appartenenza del pak choi non serve un botanico esperto: potete basarvi sull’odore e sul gusto delle sue foglie: questa pianta orientale ha decisamente un sapore di cavolo! Si tratta quindi di una pianta brassicacea, che in italiano si chiamerebbe “cavolo sedano”, appellativo usato però molto raramente.
Il nostro clima permette la coltivazione di questa insolita varietà di cavolo, che regalerà soddisfazioni tanto in campo quanto in cucina.
Il pak choi (Brassica rapa spp. chinensis) appartiene, come altri cavoli, alla famiglia delle Brassicacee o Crucifere, piante che devono il nome alla forma del loro fiore: 4 piccoli petali e 4 sepali disposti a croce. Nella vasta famiglia rientrano ortaggi coltivati ma anche molte specie spontanee, che grazie alla loro grande adattabilità pedoclimatica si trovano diffuse in tutto il mondo.
La radice del pak choi è fittonante e non molto lunga, da essa si sviluppano numerose radici secondarie. Dopo la fase vegetativa per la pianta inizia quella riproduttiva, con l’emissione di uno stelo fiorale che genera molte infiorescenze. Coltivato tra estate e autunno, il pak choi fiorirebbe nella primavera successiva, se non venisse raccolto prima. Nelle coltivazioni primaverili invece il nostro cavolo sedano fiorisce più precocemente grazie a luce e temperature.
Dopo la fioritura si forma il frutto: una siliqua, ovvero una sorta di capsula allungata e stretta, che a maturità rilascia i semi.
L’intero ciclo di coltivazione del pak choi ha una durata dai 60 agli 80 giorni.
Reperibilità della semente
Molti vivai oggi vendono piantine di pak choi e anche le bustine di semi si trovano con relativa semplicità, anche grazie alla possibilità di ordini online con rapida consegna. Una volta messo nell’orto il primo anno è consigliabile autoriprodurre la semente, lasciando andare a frutto qualche pianta particolarmente bella e sana e prelevando accuratamente i semi dalle silique mature. Bisogna evitare di scegliere allo scopo le piante eventualmente prefiorite per caldo e siccità.
ESIGENZE DELLA PIANTA
Terreno, posizione e clima
La pianta non presenta esigenze vincolanti e si rivela piuttosto adattabile, sia per quanto riguarda il clima, sia per il terreno. La coltivazione si può svolgere all’aperto in piena terra oppure in contenitori, su terrazze o balconi.
Come gli altri cavoli, anche il pak choi predilige un pH del suolo neutro o leggermente alcalino, a differenza di molti altri ortaggi comuni, che desiderano un suolo dal pH sub acido.
Per quanto riguarda la stagione di coltivazione, un aspetto assolutamente positivo è la grande versatilità della pianta, che ne consente una presenza prolungata nell’orto. Possiamo coltivarlo tutto l’anno, escluso il pieno inverno, con più cicli di trapianti e raccolti. Si tratta infatti di una specie che non teme i freddi moderati, pur essendo meno resistente della verza e del cavolo nero. Piuttosto rifugge il caldo quando è accompagnato da assenza di precipitazioni, situazione che rende indispensabile irrigare con costanza.
Un rischio che si corre coltivando il pak choi tra primavera ed estate è la salita a seme: la pianta è longidiurna e con un’illuminazione di almeno 12 ore si riproduce. Diventa importante esser tempestivi nel raccolto per evitarlo. Coltivando invece per l’autunno, questo inconveniente non si presenta e la raccolta può essere quindi più dilazionata nel tempo, caratteristica preziosa in un orto famigliare.
TECNICHE DI COLTIVAZIONE
Preparazione del terreno e concimazione
Il terreno ottimale per accogliere il pak choi deve essere ben lavorato e ammendato con tanta sostanza organica, nell’ordine di 3-4 kg al metro quadrato. Possiamo usare compost o letame ben maturi, aiutandoci eventualmente con moderate dosi di stallatico pellettato, farina di legna, di roccia o di alghe, tutte preziose fonti di macro e micro nutrienti. Naturalmente l’entità degli apporti dipende da quanto nutrimento era stato distribuito alle coltivazioni precedenti, e quindi bisogna regolarsi di conseguenza. Il suolo deve essere reso soffice, ben drenato e strutturato con una buona lavorazione profonda, in modo che il fittone radicale possa espandersi in profondità senza ostacolo. Le lavorazioni restano analoghe a quelle che si praticano per le altre specie da orto, poiché non ci sono particolari accortezze aggiuntive da rispettare.
Semina e sesti di impianto
La semina di questa pianta di norma avviene in semenzaio e quando le piantine sono alte circa 10-15 cm è possibile eseguire il trapianto in serra o all’aperto. I sesti di impianto sono inferiori rispetto a quelli che si rispettano per altri cavoli e si aggirano attorno ai 40 cm tra le singole piantine. In termini pratici significa che, su una classica aiuola larga 1 metro, possono essere formate 3 file di pak choi, adottando il sistema a quinconce, ovvero sfalsando la fila in mezzo in modo da ottimizzare gli spazi vuoti e non infittire troppo la coltura. Così facendo possiamo avere una sufficiente produzione di questo ortaggio particolare anche in un appezzamento di ridotte dimensioni.
Le coltivazioni autunnali, che sono le più classiche e frequenti, prevedono una semina delle piantine in giugno, con trapianto in luglio-agosto.
Se non è possibile seminare in proprio le piantine, possiamo acquistarle già pronte per il trapianto, evitando quelle troppo cresciute, perché in questo caso lo stress da trapianto potrebbe essere maggiore.
Operazioni colturali
Durante il ciclo di coltivazione di questa specie è necessario intervenire con irrigazioni frequenti, ma mai troppo abbondanti. Due tubi per l’irrigazione a goccia tra le 3 file di pak choi sono l’ideale per assicurare un quantitativo irriguo equilibrato, da dosare anche secondo il clima, la stagione e la natura del terreno. Se la tessitura del suolo è molto sciolta, l’acqua tende a scendere in profondità, il tempo di apertura dei rubinetti dovrà essere più esteso, mentre nel caso di suolo argilloso l’espansione dell’acqua interessa anche il senso orizzontale, consentendo un tempo più breve di apertura del rubinetto.
Il controllo delle infestanti
Le erbe spontanee possono essere eliminate manualmente, con sarchiature o zappature, ma anche prevenute mediante la pacciamatura. A mano si tolgono quelle che crescono proprio vicine alle piante, dato che con la zappa rischieremmo di colpire l’ortaggio, mentre tra le file l’ideale è un attrezzo tipo tridente, che smuove la terra superficialmente ossigenandola ed estirpando le infestanti appena nate. Riserviamoci di usare la zappa invece nel caso in cui le infestanti ci siano sfuggite e quindi siano già grandicelle.
Se intendiamo, come è consigliabile, proteggere la coltura mediante pacciamatura, possiamo scegliere tra un materiale naturale come la paglia, oppure i teli neri (possibilmente in amido di mais biodegradabile).
Nel caso della paglia, questa deve essere sistemata dopo il trapianto, mentre i teli neri devono essere stesi prima del trapianto e forati nei punti esatti in cui mettere le piantine.
Coltivazione in vaso
Questa brassicacea cresce bene anche sul balcone, impiegando un contenitore di medie dimensioni. Il pak choi anche in campo richiede una costante fornitura d’acqua, a maggior ragione in vaso.
PRINCIPALI MALATTIE E PARASSITI
Per quanto riguarda gli aspetti fitosanitari, il pak choi può essere colpito dalle stesse avversità degli altri cavoli, in particolar modo da altiche o pulci di terra. Si tratta di minuscoli insetti di colore nero e aspetto lucido, che tendono a saltare quando ci si avvicina alle piante. Il danno provocato dall’altica è un insieme di piccoli fori sulle foglie, e può essere anche molto consistente. Pare che queste pulci siano favorite dal terreno asciutto, per questo irrigare può almeno in parte scoraggiarle. Per difendere la pianta da un’intensa invasione è possibile effettuare qualche trattamento a base di Azadiractina (olio di neem) o piretrine naturali, anche se ufficialmente i prodotti commerciali sono registrati per altri parassiti dei cavoli e di altre piante e almeno per l’uso professionale bisogna rispettare questi vincoli.
I trattamenti, da ripetere al bisogno, devono essere effettuati nelle ore più fresche della giornata.
RACCOLTA E CONSERVAZIONE
Al momento della raccolta, una pianta di pak choi può raggiungere teoricamente anche il peso di 1 kg, ma è molto più frequente che sia inferiore e che si aggiri intorno a qualche etto, soprattutto se non l’abbiamo troppo spinta con le concimazioni e se la coltura era stata piantata particolarmente fitta. C’è anche chi coltiva fitto appositamente per ottenere tanti piccoli cespi di consistenza più tenera, ma questa è una scelta personale.
Il periodo del raccolto delle coltivazioni autunnali è tra ottobre e novembre, prima dell’avvento delle gelate, a cui il pak choi non resiste bene. Le piante devono essere recise alla base con un coltello seghettato, poi l’ortaggio si sciacqua e può essere conservato qualche giorno in frigorifero prima del suo utilizzo. Potendo, conviene raccoglierlo proprio quando si intende cucinarlo. Coi primi tepori della primavera, se non si è ancora provveduto a lavorare il terreno, si può assistere ad un certo ricaccio dalle radici delle piante ancora presenti.
UTILIZZO
Il sapore di questa verdura è delicato rispetto a quelli dei cavoli più noti e utilizzati. Lo si cucina comunemente in Cina, Giappone e Corea, i paesi di origine di questo ortaggio, dove viene utilizzata soprattutto la pianta ancora piccola, aggiunta alle insalate miste e a diverse preparazioni che prevedono di sbollentarla.
Le piante più sviluppate possiamo utilizzarle esattamente come si prepara la verza, in contorni, minestre, risotti.
Il pak choi è ricco di principi nutritivi, come la vitamina C, caroteni e sali minerali quali potassio, ferro, calcio e fosforo. Il sulforafano è la sostanza contenuta in tutti i cavoli, che conferisce odore e sapore tipici. Presenta un certo effetto antitumorale, rendendo il pak choi, come gli altri cavoli, un toccasana a cui non rinunciare.
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Più
biodiversità nell’orto e più
varietà a tavola: è questo l’invito lanciato dagli autori di
Ortaggi insoliti, dedicato alla coltivazione biologica di
piante di elevato valore nutrizionale e grande interesse culinario, ma poco presenti nei nostri orti. I casi più eclatanti sono quelli dello zenzero, delle bacche di goji e della stevia, diventati negli ultimi anni molto popolari per le loro
riconosciute virtù, eppure ancora poco coltivati in Italia.
Meno noti al grande pubblico, ma non per questo privi di interesse, sono la cicerchia, il lampascione e la portulaca, da sempre coltivati e consumati solo in alcune zone molto ristrette.
Nella lunga lista degli ortaggi insoliti ritroviamo anche verdure di pregio d’origine asiatica, africana o sud americana, ma che ben si adattano anche al nostro clima, come il pak choi, l’okra, la minzuna, il kiwano o il chayote. Non poteva mancare il lungo elenco di ortaggi nostrani, come la pastinaca, la scorza nera, il topinambur, l’erba di San Pietro, il farinaccio, che per secoli hanno rappresentato una preziosa fonte di nutrimento, ma che oggi sono caduti nell’oblio perché soppiantati da specie più produttive o semplicemente più richieste dal mercato.
In totale nel libro vengono presentati 36 tra ortaggi, piccoli frutti e tuberi, a ognuno dei quali è dedicata una scheda approfondita con tutte le informazioni necessarie per la coltivazione. Un modo semplice e concreto per rendere i nostri orti più variegati e contrastare il processo di impoverimento della biodiversità e della nostra stessa dieta.
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