Ma alla fine, perché fare il pane in casa? Quando ho scritto la prima edizione del libro era piuttosto difficile trovare in commercio pani fatti con farine di qualità a lievitazione naturale ma ora non è più così.
Soprattutto nei grandi centri urbani, o nelle loro vicinanze, sono fioriti negozi che vendono alimenti biologici, i quali si riforniscono anche di pane fresco da panifici vicini che, oltre ad impiegare la pasta acida come lievito, utilizzano ottime farine del territorio, ed è importante sostenerli.
E allora? Beh, ci sono tutta una serie di motivi che sono rimasti validi. Quelli citati nel libro sono: che è buono, che fa bene, che costa poco, che non avanza, che permette un controllo totale degli ingredienti, che coinvolge tutta la famiglia nella preparazione di uno degli elementi fondamentali dell’alimentazione quotidiana, che è rivoluzionario. Qui mi concentro sull’ultimo punto: il pane fatto in casa è rivoluzionario.
«Nei secoli scorsi i panettieri erano guardati con sospetto dai tutori dell’ordine pubblico, perché il loro lavoro notturno era occasione per riunioni “sediziose”. Anche oggi fare il pane in casa può essere un atto di “disobbedienza” e di autonomia, di riacquisizione della libertà di gestione del proprio tempo e della propria alimentazione fuori da schemi che sembrano obbligati.
In un’epoca di continua delega per ogni aspetto della nostra vita, prendersi l’impegno di fare da sé sistematicamente, con regolarità e buoni risultati un alimento basilare come il pane ha un che di stupefacente. Me ne accorgo dagli sguardi attoniti di molti che mi chiedono: “E tu in casa mangi solo il tuo pane?”. Lo stupore non viene tanto dal fatto che il pane mi riesca bene, molti fanno in casa cibi anche straordinari, quando si concedono il tempo di farlo. Ciò che stupisce è la regolarità, il mancato affidarsi al sistema produttivo industriale, il “trovare il tempo” per qualcosa che con pochi soldi (ultimamente nemmeno più tanto pochi) puoi comprare già fatto».
Questa cosa del trovare il tempo è un fattore cruciale ed è una delle domande che mi vengono poste più spesso quando presento il libro. La mia risposta in genere è qualcosa di simile a questo: «La pasta acida è molto più adattabile, paziente e affettuosa di come la dipingono. Innanzitutto dimentichiamoci il mito dei rinfreschi ogni due giorni, mantenerla in vita è molto più semplice e meno impegnativo, ma farei prima un passo indietro. Fare il pane non è solo un’attività che permette di creare qualcosa di buono da mangiare o da regalare, è la possibilità di aprire un orizzonte simbolico di atti personali e comunitari, con tutta una serie di ricadute che possono essere molto diverse a seconda dei propri desideri. Posso voler fare il pane perché ho saputo che quello fatto con farina di grano Verna tiene basso il colesterolo cattivo e non trovo in giro nessuno che me lo vende, oppure perché quando torno a casa con mia figlia mi diverto di più a fare il pane con lei che a giocare alle Barbie, oppure perché non riesco a trovare in giro un pane che duri una settimana, oppure perché altrimenti non riesco a trovare altre scuse per andarmene una giornata in Casentino a girare per i boschi (eh, che ci vuoi fare, la farina di popolazioni evolutive la trovo solo lì), oppure perché voglio essere sicura di mangiare un pane fatto con farina molita di fresco, oppure perché mi diverto un sacco ad usare il forno a legna e invitare gli amici, e altrimenti cosa ci cuocio? Viviamo in tempi difficili in cui trovare il tempo per sé e per la soddisfazione dei propri desideri è una sfida giornaliera. Infilarci anche il pane fatto in casa può essere un’ulteriore complicazione, non c’è dubbio, ma ci sono diversi modi per trovare accordi con i batteri che popolano la nostra pasta acida, per ottenere il meglio da loro pur mantenendo il ritmo di vita e di impegno che scegliamo ogni giorno. La pasta acida può essere un’amica, non una schiavitù, basta solo conoscerla bene e magari anche volerle e volerCI bene».
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IL LIBRO
Nel 2008 usciva la prima edizione di questo libro dedicato al
pane a lievitazione naturale, seguito da ben undici ristampe. In poco più di un decennio la
pasta acida è diventata la padrona incontrastata di innumerevoli blog, siti web, gruppi Facebook, tutorial e corsi. Allora perché impegnarsi nel difficile compito di aggiornare questo manuale? Perché senza dubbio ci sono ancora misteri da svelare, azzardi da non lasciare intentati, miscugli da provare e un sacco di ricette che, semplicemente, non funzionano e meritano di essere messe in discussione.
L’autrice, insieme a un gruppo di “spavalde avventuriere della pasta acida”, si è buttata quindi a capofitto in nuove sperimentazioni, che troviamo qui ben documentate e raccontate: pani con farine deboli di grani antichi, pani con una riduzione della pasta acida per compensare quando il metabolismo rallenta, pani con farine di mulini specifici e così via.
Il risultato è un manuale ancora più completo, arricchito con la descrizione di nuove tecniche, informazioni e ricette, con una nuova sezione sui pani delle feste e una rinnovata attenzione per le esperienze e la salute di tutti gli attori della filiera, da chi coltiva le farine a chi le lavora e le consuma. Un libro scritto sia per chi si avvicina alla pasta acida per la prima volta, sia per chi se l’è fatta amica da tempo.
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