Legature e tecniche del babywearing, un’antica pratica che consente di portare i bambini a stretto contatto con il proprio corpo, per favorire il loro naturale e completo sviluppo e promuovere una serie di benefici anche per mamma e papà.
Ad oggi, due terzi dell’umanità scelgono di portare i bimbi «addosso»: sul fianco, sulla schiena o contro la pancia. Dal Mei Tai in Cina al Podeagi in Korea, dall’Onbuhimo in Giappone al Pagne in Senegal, fino al Rebozo in Messico, questa modalità di accudimento sfrutta supporti differenti e varie tecniche di legatura e di tessuto, che solo negli ultimi anni hanno iniziato a prendere piede anche in Italia. Tra passeggini e sdraiette, dunque, si fa largo il babywearing, un’antica pratica che trova le sue radici addirittura nella cultura del paleolitico.
L’uomo: un mammifero portato
Se osserviamo quello che accade in natura, scopriremo che questa pratica non è solo prerogativa dell’uomo, ma anzi è una delle forme più spontanee di comportamento materno, riscontrabile in molti mammiferi. Nasce dalla necessità di accudire i propri cuccioli continuamente, senza doversene staccare, provvedendo così al loro sostentamento e alla loro protezione.
Dal punto di vista etologico e di biologia comportamentale, il cucciolo d’uomo è un traglinge1, ovvero un «portato»: immaturo dal punto di vista motorio, maturo dal punto di vista sensoriale, con il bisogno di esser nutrito frequentemente e con caratteristiche comportamentali e anatomiche adatte a essere portato addosso, come ad esempio la curvatura delle tibie e della colonna vertebrale. I bambini, quindi, dispongono di riflessi innati che consentono loro di aggrapparsi al corpo del genitore, per un tempo utile al raggiungimento delle competenze motorie che lo renderanno autonomo e capace di sopravvivere.
Fascia: un utero di transizione
Grazia De Fiore, mamma e consulente professionale in allattamento2, suggerisce di considerare la fascia per portare i bimbi come un «utero di transizione»; garantendo alla schiena di assumere una posizione corretta, molto simile a quella che il bimbo ha nella pancia della mamma, soddisfa il bisogno di contenimento del bambino, che sente ancora la necessità di ritrovare i suoni e i movimenti che ha percepito per nove mesi.
Trovandosi in un luogo sicuro e protetto, il bambino sperimenta i primi contatti con il mondo esterno. Tale vicinanza al genitore, che in questo caso funge da vero e proprio filtro, lo aiuta a sviluppare diverse competenze, senza sovraccaricare il suo sistema nervoso, poiché tutti gli stimoli esterni verranno mediati dalla mamma o dal papà.
La funzione contenitiva della fascia, o di un altro supporto adeguato, permette inoltre di soddisfare il bisogno di contatto corporeo del bambino, che lo desidera e lo ricerca in maniera costante, non solo per soddisfare la parte istintiva e atavica del suo cervello, che segnala la situazione di pericolo data dalla lontananza della madre, ma anche per far fronte a un bisogno psicologico di incontrare e relazionarsi con l’altro. «Non c’è alcun motivo per cui gli adulti debbano precludersi o dosare il contatto corporeo con i bambini» scrive Alessandra Bortolotti, psicologa perinatale, nel suo libro E se poi prende il vizio?3. «Si tratta di un atto di comunicazione vero e proprio, che crea i presupposti per un adeguato sviluppo psico-fisico e cognitivo del bambino ed è anche determinante per la sua evoluzione, nell’intero corso della vita». Basti pensare che il contatto pelle a pelle, fatto cioè senza vestiti, è diventato un approccio nella cura per i nati prematuri ed è oggi promosso dall’Organizzazione mondiale della sanità.
«Purtroppo, nel corso dei secoli, nei paesi occidentali questa modalità di cura si è persa» afferma Federica Mattei, psicologa dell’età evolutiva, presidente dell’associazione Bimbinfascia. «Si è lentamente insinuata l’assurda convinzione che portare un bambino addosso sia un modo per viziarlo e per compromettere la formazione del suo carattere e della sua autonomia. Rinunciare a questa possibilità per paura di nuocere al proprio figlio, oltre a non avere un fondamento scientifico, non ha giustificazioni né di natura psicologica, né sociologica; significa soltanto rinunciare ad avere a disposizione un valido strumento di relazione per entrambi».
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