Oltre ai pigmenti organici, gli inchiostri per tatuaggi contengono conservanti e sostanze come nichel, cromo, manganese, cobalto e biossido di titanio. Secondo studi e ricerche questi composti possono raggiungere persino i linfonodi e rimanere nel corpo a vita. Con quali conseguenze?
Se è pur vero che l’uomo si tatua la pelle da migliaia di anni, è però altrettanto vero che la chimica di sintesi ha avuto un grande impatto anche su questa pratica, tanto da renderla potenzialmente pericolosa se non si presta grandissima attenzione agli inchiostri utilizzati, oltre che naturalmente alle pratiche di disinfezione e di igiene delle strumentazioni.
L’allarme è arrivato di recente anche dal Ministero della salute e da uno studio pubblicato su Scientific Reports.
Inchiostri ritirati dal mercato
Il Ministero ha disposto, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile scorsi, il ritiro dal mercato italiano di nove pigmenti utilizzati proprio per i tatuaggi: è emerso che contenevano sostanze ritenute pericolose e nomi, dettagli, nonché aziende produttrici sono comparsi, via via, sul sito ministeriale nella sezione chiamata «Allarmi consumatori e reazioni a notifiche di prodotti non alimentari pericolosi»1.
In alcuni casi è stato indicato un rischio «chimico-allergogeno», in altri invece un pericolo «chimico-cancerogeno».
Tutti i pigmenti, prodotti da aziende americane, sono risultati non conformi alla risoluzione europea ResAP del 20082, che stabilisce requisiti e criteri per la sicurezza di questi prodotti.
Nanoparticelle nei linfonodi
L’altro allarme è arrivato da uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports3, i cui risultati hanno attestato come le micro e le nano particelle di sostanze di vario genere contenute proprio negli inchiostri siano in grado di viaggiare attraverso il corpo raggiungendo i linfonodi, dove si depositano. Il processo, benché fosse già in parte noto, non era ancora stato osservato in una scala così infinitesimale e profonda.
La maggior parte degli inchiostri utilizzati sulla pelle contiene pigmenti organici, uniti a conservanti e sostanze come nichel, cromo, manganese, cobalto e biossido di titanio. Proprio su quest’ultimo, sostanza di colore bianco contenuta anche in additivi alimentari e creme solari, si sono concentrate le indagini del team franco-tedesco guidato da Ines Schreiver e Bernhard Hesse.
I ricercatori hanno trovato microparticelle nei campioni di pelle osservati e nanoparticelle, sia di pigmenti organici che di biossido di titanio, nei linfonodi. Tali nanoparticelle potrebbero rimanere nelle ghiandole linfatiche in modo permanente; un altro esame microscopico, la spettroscopia agli infrarossi, ha rivelato cambiamenti strutturali nei tessuti che le circondavano.
Normativa insufficiente
Da più parti si è levata ripetutamente la richiesta di introdurre norme più stringenti riguardo le sostanze utilizzate per i tatuaggi. Non ultimo l’appello della European Academy of Dermatology and Venereology4, che ha ribadito come le leggi e i regolamenti attuali non siano sufficienti per garantire l’assoluta sicurezza.
E già tre anni fa un rapporto europeo metteva in guardia gli Stati membri su tale pratica. È infatti del 2016 il report Safety of tattoos and permanent make-up5, curato dal Joint Research Centre della Commissione europea. In sintesi, quel documento rimarcava il fatto che le sostanze chimiche presenti in inchiostri per tatuaggi e trucco permanente possono restare nel corpo a vita; che sono in aumento i casi di reazioni avverse, come infezioni e allergie; che si sa poco sulle conseguenze a lungo termine dei composti chimici utilizzati.
Nel rapporto si faceva inoltre menzione delle reazioni dovute alla pratica in sé, come dolore, arrossamento, gonfiore, linfoadenopatia, emorragie e vesciche, o a problemi generali come mal di testa, vertigini, febbre e vomito.
Il rischio di infezioni batteriche (o più raramente virali) dovute a un tatuaggio viene stimato tra l’1 e il 5% dei casi.
L’alternativa naturale
L’auspicio, dunque, è quello che approdino sul mercato inchiostri per tatuaggi di comprovata atossicità, ma è anche vero che si può scegliere comunque l’alternativa temporanea, che è possibile realizzare anche con sostanze naturali. Quando si parla di tatuaggi non permanenti, ci sono varie opzioni attualmente disponibili: si va da una sorta di stencil adesivo fino alla decorazione con spray appositi, tutti prodotti che possono avere comunque al loro interno sostanze chimiche di sintesi.
La soluzione probabilmente più naturale (e comunque di breve durata, quindi eliminabile) resta quella che prevede l’utilizzo dell’hennè, ma anche qui occorre prudenza. Se infatti all’hennè naturale (che si ricava dalle foglie di Lawsonia inermis) viene aggiunta una sostanza chiamata parafenilenediamina (PPD), solitamente usata per ridurre il tempo di fissaggio o per ottenere una colorazione più scura, allora possono insorgere problemi6. Tale sostanza, infatti, può determinare la comparsa di reazioni allergiche e di reazioni avverse sistemiche di grado severo.
Il Comitato Scientifico per la Sicurezza dei Consumatori ha comunque sottolineato7 che «non è stato valutato l’uso attuale e tradizionale in enorme espansione dell’Henna Rot (Lawsonia inermis) come pittura per il corpo», mentre come tintura per i capelli è considerato sicuro con un contenuto di Lawsone massimo dell’1,4%, «come indicato nelle indicazioni di utilizzo, ad esempio 100 g di hennè in polvere mescolati con 300 ml di acqua bollente».
Prudenza, dunque, nella decisione e nella scelta, tenendo a mente che è in forte aumento la percentuale dei «pentiti del tatuaggio» e che l’eliminazione non è esente, neppure quella, da rischi.
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