Sono sempre di più le persone che hanno almeno un tatuaggio, ma prima di avvicinarsi a questa pratica è utile sapere quali sono le norme che la regolamentano.
Tatuarsi è diventato ormai un fenomeno di massa, tanto che circa il 13% degli italiani ha almeno un tatuaggio1 (ma le percentuali triplicano se si guarda a paesi come gli Stati Uniti), a cui si aggiungono anche le persone che si sottopongono al trucco permanente.
In Italia, la normativa in materia prevede che i tatuaggi vengano eseguiti da mani esperte, in uno studio professionale e nel rispetto di precise norme igienico-sanitarie. La legislazione però risulta carente. Il Ministero della salute ha varato delle linee guida2 che riguardano i requisiti igienici, le autorizzazioni e le licenze per l’esercizio della professione di tatuatore.
Per la composizione e l’etichettatura degli inchiostri per tatuaggi invece, vige la risoluzione ResAP del Consiglio d’europa3 sulla valutazione della sicurezza, che vieta l’utilizzo di sostanze cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione umana e stabilisce le massime concentrazioni di impurezze come mercurio, nichel, cromo e idrocarburi policiclici aromatici.
È richiesta inoltre al produttore una scheda dati sulla sicurezza degli inchiostri che comprende la lista degli ingredienti, la garanzia di sterilità, le proprietà chimico fisiche e i dati tossicologici.
Ma, per quanto sia fondamentale che il tatuatore acquisti inchiostri da distributori che forniscano chiaramente queste informazioni, il problema rimane la scarsità dei dati a disposizione.
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Brano tratto dall’articolo Tattoo, la prudenza non è mai troppa
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