È boom di infusi e decotti sugli scaffali di supermercati e discount. Ma l’abbondanza di offerta impone una scelta attenta alla qualità e alla provenienza. Tutti i consigli per scegliere e assaporare le tisane migliori, libere da pesticidi, alcaloidi pirrolizidinici e confezioni poco ecologiche.
Calmanti, depurative, balsamiche, energizzanti, dimagranti, afrodisiache: le tisane spesso promettono miracoli. E forse è anche merito del marketing aggressivo se sono sempre più presenti nella nostra vita quotidiana. Secondo la Coldiretti ben 7,8 milioni di italiani utilizzano piante o estratti di piante per la cura o per il mantenimento del benessere psicofisico.
Quello delle tisane è un settore in pieno fermento che incontra il favore delle nuove generazioni.
Sul piano dei consumi si tratta di un cambiamento epocale. Bisogna infatti ammettere che gli italiani non hanno mai avuto un gran feeling per infusi e decotti. Siamo conosciuti come un popolo gioviale e chiassoso, poco incline al raccoglimento, gente che ha sempre fretta e prende il caffè in piedi, senza sorseggiarlo. Fino a poco tempo fa il tè era un prodotto per gente sofisticata, insegnanti in pensione o stranieri in vacanza. E la tisana era concepita come roba per gente malaticcia, per i deboli di stomaco, o i «fissati» con la salute e i rimedi della nonna. Dietro la tisana, in effetti, c’è uno stile di vita rilassato e meditabondo, che si addice poco al nostro carattere nazionale. Ma da un po’ di tempo a questa parte le abitudini degli italiani sono cambiate. La tisana è diventata qualcosa da consumare insieme agli amici, in famiglia, nelle sale da tè e persino nei più sperduti bar di periferia.
La crescita delle bevande calde condiziona le scelte e muove gli investimenti dei giganti del settore, non solo per quelli insediati in erboristerie o negozi specializzati del biologico, ma soprattutto per i marchi presenti nei supermercati e nei discount, che ci presentano miscele sempre più ricercate. Accanto alle tisane più tradizionali, come camomilla, melissa e finocchio, fanno il loro ingresso trionfale nella grande distribuzione zenzero, curcuma, cannella, cardamomo e altre spezie più o meno esotiche per dei preparati detox, energizzanti o rilassanti. I nomi stampati sulle scatole, rigorosamente in inglese, sono tutto un programma: detox, energy time, purity, immunity time, superfood.
Da prodotto povero, la tisana si è trasformata in un prodotto su cui proiettare aspettative, desideri di evasione e aspettative per un elisir di lunga vita. Ma cosa si nasconde dietro la bustina? Infusi e decotti sono prodotti davvero così salutari e innocenti?
Il problema degli alcaloidi
Le immagini della pubblicità sono spesso ingannevoli. Credete davvero che la camomilla che comprate al discount sia stata raccolta sui prati erbosi di zone incontaminate? Pensate che la menta o il finocchio selvatico siano stati appesi alla trave per asciugare dall’umidità? La realtà è che la maggior parte delle piante officinali utilizzate dalle industrie europee provengono per circa il 75% dai paesi cosiddetti emergenti, mentre i tre quarti della produzione comunitaria arrivano da coltivazioni, molte delle quali sono trattate con concimi di sintesi ed erbicidi.
La maggior parte della materia prima da raccolta spontanea proviene da Albania, Macedonia, Montenegro, Ungheria, paesi con standard produttivi non sempre all’altezza, a cui si aggiunge il problema dei trasporti: il prodotto che arriva sui nostri mercati è rimasto per lunghi mesi nelle stive delle navi, nei magazzini dei porti extra-europei e nei container.
Le note dolenti però non vengono solo dai pesticidi o dalla mano dell’uomo, ma dalla stessa natura. Non tutto ciò che è naturale è da considerarsi buono. C’è un ragionamento semplice da fare: nel corso dell’evoluzione, diverse specie vegetali si sono dotate di strategie per difendersi da erbivori e insetti. Sprigionano cioè sostanze che purtroppo sono pericolose anche per l’uomo. Il fulmine a ciel sereno è stato scagliato per la prima volta nel 2011 dall’Efsa, Autorità europea per la sicurezza alimentare, che metteva in guardia i consumatori di miele e tisane per il potenziale cancerogeno degli alcaloidi pirrolizidinici (PA). Si tratta di sostanze naturali prodotte non dalle piante che generalmente coltiviamo, ma da alcune infestanti che incidentalmente potrebbero contaminare il raccolto. Il parere scientifico degli esperti dell’Efsa è piuttosto severo: i PA di una certa classe, noti come PA 1,2-insaturi, possono agire sull’uomo da cancerogeni genotossici, cioè possono provocare il cancro e causare danni al DNA, il materiale genetico cellulare, con danni soprattutto a carico del fegato.
Se in Italia la questione è rimasta in sordina, in Germania ha letteralmente squarciato lo schermo, soprattutto dopo che l’Istituto tedesco per la valutazione del rischio (Bundesinstitut für Risikobewertung) nel 2013 ha pubblicato i risultati di un’ampia analisi sui prodotti reperibili in commercio. La ricerca su ben 221 tisane di camomilla, finocchio, menta, ortica e melissa ha evidenziato un’alta concentrazione di PA in un ampio numero di prodotti. In alcuni casi, secondo l’istituto tedesco, un consumo ripetuto equivalente a cinque tazze al giorno poteva causare seri problemi al fegato. La raccomandazione, tutt’altro che rassicurante, è stata quella di limitare l’uso per bambini sotto i tre anni, donne in gravidanza o in stato di allattamento.
Nel 2014 fu la rivista di consumatori Wiso a commissionare analisi a un laboratorio indipendente, trovando contaminazione in quattro prodotti per bambini. (…)
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