Sono sempre più numerose le evidenze scientifiche che attestano l’efficacia di alte dosi di vitamina D nella prevenzione e nel trattamento delle malattie autoimmuni, compresa la sclerosi multipla. Ce ne parla il dottor Paolo Giordo.
Sono sempre più numerose le evidenze che attestano l’efficacia di alte dosi di vitamina D nel trattamento e nella prevenzione delle malattie autoimmuni e negli ultimi tempi la letteratura scientifica ha pubblicato innumerevoli studi sull’argomento.
Assai significativi appaiono i risultati delle ricerche del neurologo brasiliano Cicero Galli Coimbra (1), che già anni fa cominciò a somministrare ai suoi pazienti alte dosi di vitamina D, pro-ormone regolatore del sistema immunitario presente negli organismi viventi da oltre 500 milioni di anni.
Oggi in Italia non sono molti i medici specializzati che applicano questi
protocolli terapeutici; uno di questi è il dottor
Paolo Giordo, neurologo e omeopata, che ha appreso il razionale della terapia, metodologie e protocolli di cura direttamente dal professor Coimbra. Giordo è anche autore dell’utilissimo libro
“Vitamina D. Regina del sistema immunitario”, che trovate
QUI.
Gli studi del dottor Coimbra
“Nelle malattie autoimmuni il sistema immunitario è talmente sgretolato da scatenare una reazione contro gli stessi componenti del nostro organismo” spiega Giordo. “Negli ultimi vent’anni si è osservato che, mano a mano che ci si allontana dall’equatore, le popolazioni presentano molto spesso diffusi stati di carenza di vitamina D, e che ciò è statisticamente collegato all’aumento dell’incidenza delle malattie autoimmuni e degenerative“.
Osservazione e conoscenza hanno trovato una perfetta fusione quando il dottor Coimbra, insieme ai suoi collaboratori, iniziò a somministrare 10.000 UI (2) di vitamina D al giorno alle persone affette da sclerosi multipla e altre malattie autoimmuni. “Si tratta della dose che il corpo è in grado di produrre da sé dopo 20-30 minuti di esposizione solare” continua Giordo. “Nei pazienti si attenuarono molto l’astenia e l’affaticamento, oltre agli altri sintomi neurologici. Poi si iniziò ad utilizzare un dosaggio più elevato senza che ci fosse ripercussione alcuna sul metabolismo del calcio; quindi Coimbra e i suoi collaboratori aumentarono le dosi sino al punto in cui l’escrezione del calcio urinario superò la norma. Tutto ciò era accompagnato da una serie di misure precauzionali tali da eliminare il rischio di un eccesso di calcio nei reni. Negli anni, poi, il dottor Coimbra in Brasile e il dottor J.T. Bowles negli Stati Uniti hanno somministrato elevate quantità di vitamina D nei pazienti affetti da malattie autoimmuni arrivando anche a 30, 40, 50 o 60 mila UI al giorno, senza riscontrare quei problemi di sovradosaggio che vengono paventati dalle linee guida e dalle RDA, le dosi raccomandate giornaliere, ancora in uso. In molti casi sono stati ottenuti risultati spettacolari con remissioni dei sintomi in oltre il 90-95% dei pazienti”.
Un numero sempre maggiore di medici si sta esprimendo favorevolmente sull’uso di dosaggi più elevati di vitamina D nelle malattie correlate alla sua carenza. Uno studio canadese sulla sclerosi multipla ha dimostrato la sicurezza dell’impiego di alte dosi: “Gli effetti positivi dopo 6-12 mesi sono stati di tipo immunomodulatorio, inclusa una riduzione persistente delle cellule T che ha portato a una netta diminuzione delle ricadute”, spiega sempre Giordo.
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