«Quando ho deciso di scrivere un libro sulla corsa e la meditazione sapevo che non sarei rimasta entro i confini di queste due discipline. Per dire tutto quello che ho da dire, mi dicevo, dev’essere un libro sulla libertà, sul benessere e la gioia del movimento; sulla mente e sul corpo, e sulla loro interrelazione»: così Vanessa Zuisei Goddard, scrittrice e insegnante zen.
«Quando ho deciso di scrivere un libro sulla corsa e la meditazione sapevo che non sarei rimasta entro i confini di queste due discipline. Per dire tutto quello che ho da dire, mi dicevo, dev’essere un libro sulla libertà, sul benessere e la gioia del movimento; sulla mente e sul corpo, e sulla loro interrelazione»: così Vanessa Zuisei Goddard, scrittrice e insegnante zen che insegna la corsa come forma di meditazione in movimento e come strumento per sviluppare la consapevolezza e la presenza. Suo il libro
“Mindful running. Quando correre diventa meditazione”.
«La mia premessa è semplice. Credo che sia più appagante vivere la vita da svegli che da addormentati. Intendo “svegli” sia in senso concreto che spirituale. Siamo svegli quando siamo presenti in ogni momento, e rispondiamo con abilità a ciò che abbiamo di fronte. Ma risveglio è anche l’illuminazione o la liberazione, cioè la realizzazione di chi siamo veramente e di com’è fatta la realtà. Secondo 2500 anni di tradizione buddhista, la via principale alla liberazione è la meditazione, o come viene chiamata nello Zen, zazen, la meditazione seduta – scrive Vanessa – Il mio primo maestro Zen, Daido Roshi, diceva: «Zazen non è contemplazione, non è meditazione, non è concentrazione. Non è calmare la mente o focalizzare la mente. Zazen è un modo di usare la mente. È un modo di vivere, e di farlo insieme ad altre persone».
«Il punto è che zazen non significa starsene tranquilli. Non si tratta di concentrarsi o anche di raggiungere delle intuizioni solo sul cuscino di meditazione. Zazen è qualcosa che deve funzionare nella vita di tutti i giorni, perché se non funziona lì, vuol dire che non funziona davvero. Io stessa ho praticato personalmente questa forma di meditazione seduta per più di due decenni, e posso attestarne l’efficacia. Al contempo, però, ho constatato che, da solo, lo zazen non conduce necessariamente a una vita risvegliata. Perché, per quanto possa essere difficile stare seduti fermi e tranquilli per lunghe ore, non è niente in confronto alla sfida di prendere quella stessa calma, concentrazione e intuizione e applicarla a tutto ciò che fai: il modo in cui lavori, ti occupi della famiglia o curi le tue relazioni. Ecco perché bisogna imparare a passare dall’immobilità al movimento, dall’essere al fare. Bisogna innanzitutto imparare a muoversi nell’immobilità per entrare in contatto con la chiarezza e la saggezza di fondo che abbiamo. Poi, da quella immobilità, bisogna passare all’attività, lasciando che quella chiarezza pervada il nostro modo di vivere giorno per giorno. È così che funziona la compassione. Non voglio certo dire che fare jogging per qualche chilometro al giorno possa portare all’illuminazione o alla compassione, ma la meditazione della corsa mi sembra una via d’accesso straordinaria all’esplorazione profonda della natura del corpo e della mente nella vita quotidiana. Attraverso lo zazen della corsa, che io chiamo still running, possiamo vedere che fondamentalmente non c’è differenza tra quiete e movimento, corpo e mente, sé e altro da sé. E questa, come dice il Buddha, è la realizzazione che porta alla fine della sofferenza».
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Esecuzione come auto-apprendimento
«Da trentacinque anni a questa parte, la corsa è stata la mia principale forma di esercizio – si legge ancora nel libro di Vanessa Zuisei Goddard – Ho iniziato a correre quando avevo dieci anni, e nel corso del tempo le mie motivazioni sono cambiate come sono cambiata io stessa. Ho corso per fare esercizio, per comodità, per fuggire e per la gloria. Ho corso per paura, per gioia e per il mio bisogno di vedermi come una fondista e un’atleta. Il più delle volte l’ho fatto con piacere, ma mi è anche capitato di provare un rifiuto che sconfinava nel disgusto. Ho corso da addormentata e ne ho sofferto le conseguenze. Ho corso da sveglia e ho sentito la meraviglia di un corpo sano in movimento. In rare occasioni, mi sono persino sentita scomparire nel movimento. Ma più corro, più vedo l’immensa potenzialità di quest’arte, che può insegnarci la natura fondamentale del sé. Vorrei chiarire, però, che gli insegnamenti che offro in questo libro non si limitano alla corsa. Anche camminare, nuotare e andare in bicicletta possono essere forme eccellenti di zazen in movimento, grazie alla loro natura ripetitiva e meditativa. Anche chi usa una carrozzella e può applicare gli stessi principi di concentrazione, consapevolezza, lavoro con il corpo e lavoro con la mente a questa forma di pratica corporea. Più che il tipo di movimento, conta il modo in cui si utilizzano il corpo e la mente. Uno dei motivi principali per cui ho scelto di concentrarmi sulla corsa è che è un’attività accessibile. Tutto quello che serve è un paio di scarpe da corsa, una salute relativamente buona e la volontà. Ai miei workshop di corsa hanno partecipato persone con diversi tipi di capacità e di tutte le età (il più vecchio aveva quasi ottant’anni)».
«Quindi, se ti stai chiedendo se la corsa fa ancora per te, ti basta ricordare quello che ha detto una volta Martin Luther King: “Se non puoi volare, corri; se non puoi correre, cammina; se non puoi camminare, striscia; ma in ogni caso continua a muoverti”. Non c’è dubbio che, come forma di esercizio, la corsa può contribuire a mantenere la mente fresca e il corpo sano. Ma con un po’ più di impegno può anche insegnarti qualcosa su chi sei».