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Pema Chödrön: «Come meditare»

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Nel suo libro “Come meditare”, Pema Chödrön, insegnante di buddismo, monaca e scrittrice, propone e illustra i principali insegnamenti che ha sperimentato, fornendo le basi per praticare la meditazione e conoscere la propria mente.  
Pema Chödrön: «Come meditare»
Nel suo libro “Come meditare”, Pema Chödrön, insegnante di buddismo, monaca e scrittrice, propone e illustra i principali insegnamenti che ha sperimentato, fornendo le basi per praticare la meditazione e conoscere la propria mente.  
Ecco un passaggio tratto dal libro “Come meditare”.
«La mente è davvero inarrestabile. Nell’esperienza umana abbondano l’imprevedibilità e il paradosso, le gioie e i dolori, i successi e i fallimenti. Nel dispiegarsi della nostra esistenza, non possiamo sfuggire a nessuna di queste esperienze. Fanno parte di ciò che rende grande la vita, e sono anche il motivo per cui i viaggi della mente sono così tortuosi. Se con la meditazione riusciamo a esercitarci a essere più aperti, più accondiscendenti rispetto all’ampiezza spalancata dello spettro dell’esperienza, se riusciamo ad addentrarci in profondità nelle nostre difficoltà e nel funzionamento degli scatti fulminei della nostra mente, possiamo maturare un approccio più stabile e rilassato alle cose della vita.
Ci sono tanti modi per lavorare con la mente. La meditazione seduta è uno degli strumenti più efficaci. La meditazione seduta ci apre a ogni singolo momento della vita. Ciascun momento è in tutto e per tutto unico e ignoto. Il nostro mondo mentale può sembrarci prevedibile, comprensibile. Passiamo in rassegna tutti gli eventi della vita e le cose da fare convinti che possano offrirci sicurezza e una base solida per la nostra esistenza. Ma non sono altro che fantasie: questo preciso momento, una volta rimosse tutte le nostre stratificazioni concettuali, è da ogni punto di vista unico. È assolutamente ignoto. Non abbiamo mai vissuto questo momento prima d’ora, e il momento successivo non sarà uguale a quello in cui ci troviamo adesso. La meditazione ci insegna ad avere a che fare direttamente con la vita, permettendoci di sperimentare appieno il momento presente.

Se volgiamo lo sguardo al Dharma – ovvero gli insegnamenti del Buddha, la verità di ciò che è – vediamo che attraverso la pratica della meditazione si intende rimuovere la sofferenza. Forse è per questo che tante persone sono attratte dalla meditazione, è raro che ci si avvicini a questa pratica se non c’è qualcosa che ci turba. Secondo gli insegnamenti buddhisti, però, il punto non è rimuovere solo i sintomi della sofferenza: si tratta in realtà di rimuovere la causa, o la radice, della sofferenza. Il Buddha ha detto: «Io insegno soltanto una cosa: la sofferenza e la cessazione della sofferenza».

In questo libro vorrei mostrare soprattutto che la radice della sofferenza è la mente: la nostra mente. E che questa nostra mente è anche la radice della felicità. Nelle pagine del Bodhicaryavatara dedicate a questo tema, il saggio Shantideva, per illustrare il modo in cui cerchiamo di alleviare la nostra sofferenza, ricorre a una famosa analogia. Dice che se ti fanno male i piedi quando cammini, potresti coprire di cuoio tutta la terra, in modo da non dover mai soffrire il dolore del contatto col suolo. Ma dove trovare una tale quantità di cuoio? Oppure, puoi semplicemente avvolgere un po’ di cuoio intorno ai piedi: così sarai protetto come se tutto il mondo fosse coperto.
In altri termini, si può andare avanti all’infinito cercando di far cessare la sofferenza affrontando le circostanze esteriori, e di solito è così che facciamo tutti. È l’approccio convenzionale: non fai altro che cercare di risolvere per l’ennesima volta il problema là fuori. Ma il Buddha ha detto qualcosa di rivoluzionario, anche se la maggior parte di noi continua a non dargli retta fino in fondo: se lavori con la mente, potrai alleviare tutta la sofferenza che sembra provenire dall’esterno.
Quando qualcosa ti dà fastidio – una persona ti dà noia, una situazione ti irrita, o il dolore fisico ti assilla – devi lavorare con la mente: la meditazione ti permette di farlo. Lavorare con la mente è il solo modo che abbiamo per cominciare a sentirci felici, contenti del mondo in cui viviamo. Riguardo alla parola “sofferenza”, c’è una precisazione importante da fare. Quando il Buddha dice «L’unica cosa che insegno è la sofferenza e la cessazione della sofferenza», la parola che usa per indicare la sofferenza è dukkha. Dukkha è qualcosa di diverso dal dolore. Il dolore è un aspetto inevitabile della vita umana, come lo è anche il piacere. Il dolore e il piacere si alternano in chiunque abbia un corpo e una mente, e sono parte integrante della vita di chi è nato in questo mondo.
Il Buddha non intendeva dire: «L’unica cosa che insegno è il dolore e la cessazione del dolore». Piuttosto, dice che il dolore c’è, e che devi fartene una ragione, rilassarti rispetto al fatto che nella tua vita ci sarà dolore. Non si tratta di raggiungere uno stato in cui, se muore qualcuno a cui vuoi bene, non provi dolore. O se cadi da una rampa di scale, non ti riempi di lividi. Con l’età potrai avere il mal di schiena o le ginocchia doloranti. Sono cose che capitano. Anche il praticante più avanzato ha i suoi cambi di umore. La qualità dell’energia che ci attraversa può essere pesante e opprimente, nel qual caso parliamo di depressione, paura o ansia: sono energie umorali che percorrono tutti gli esseri, non diversamente dal meteo, che cambia di giorno in giorno. Allo stesso modo cambia anche il nostro meteo interiore, e lo fa di continuo, in chi è pienamente illuminato come in chi non lo è. La vera questione, allora, diventa: come ci poniamo rispetto a questo? Dobbiamo identificarci completamente e lasciarci trascinare oppure sprofondare?
Dukkha si traduce anche come insoddisfazione, non essere mai soddisfatti. Quel che mantiene in vita dukkha è l’essere costantemente insoddisfatti della realtà della condizione umana, del fatto che le situazioni piacevoli e quelle spiacevoli sono parte integrante della vita. Così c’è una forte tendenza, da parte di tutti gli esseri viventi, a desiderare che la sfera del sentire sia sempre e soltanto dominata da cose gradevoli, che trasmettono un senso di agio e sicurezza. Se c’è dolore, in qualsiasi forma si presenti – sgradevolezza, disagio, insicurezza – vogliamo allontanarcene, vogliamo evitarlo. È per questo che ci rivolgiamo alla meditazione.
Perché meditare?
Non meditiamo per sentirci a nostro agio. In altre parole, non meditiamo per stare bene sempre e comunque. È possibile che questa frase vi lasci di stucco, perché sono in tanti ad arrivare alla meditazione col semplice obiettivo di “stare meglio”. Per altri versi, vi solleverà sapere che lo scopo della meditazione non è neppure quello di stare male. Piuttosto, la meditazione ci offre l’opportunità di rivolgere un’attenzione aperta e compassionevole a tutto ciò che accade. Lo spazio meditativo è ampio come il cielo, abbastanza vasto da accogliere tutto ciò che si manifesta. Nella meditazione, i nostri pensieri e le nostre emozioni possono essere come nuvole che rimangono per un po’ e poi vanno via. Buono, confortevole e piacevole o difficile e doloroso, sono tutte cose che vanno e vengono. Quindi l’essenza della meditazione è esercitarsi in qualcosa di decisamente radicale, che di certo non coincide con gli schemi abituali della nostra specie: rimanere presenti a noi stessi qualunque cosa accada, senza etichettare tutto come buono o cattivo, giusto o sbagliato, puro o impuro».

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