Mettiamo in discussione le nostre abitudini mentali e i nostri pregiudizi, per tutelare i confini planetari.
Quando un amico cerca di aprirci gli occhi su qualcosa che va a nostro svantaggio e di cui non riusciamo a renderci conto, la nostra prima reazione è solitamente quella di opporre resistenza. Si innescano quelli che sono dei veri e propri meccanismi di sopravvivenza. La sopravvivenza della nostra identità come la conosciamo, la nostra personalissima fortezza, che abbiamo iniziato a costruire fin da quando ci siamo affacciati su questo mondo.
Le fondamenta le abbiamo ereditate, e su quelle poggiano molte delle nostre scelte: lavoro, dieta, svago, comunicazione con gli altri e così via.
Non è molto diverso il meccanismo che si innesca di fronte agli allarmi lanciati da chi, nel proprio piccolo, cerca di essere «amico del Pianeta».
Qui in redazione, nel programmare il numero ogni mese si pone la questione del difficile equilibrio tra buone e cattive notizie: se da una parte diamo ampio spazio a tutto quello che c’è di positivo e che non si trova nei media mainstream, dall’altra siamo convinti che la costruzione di un mondo migliore debba partire anche da un esame talvolta impietoso della realtà, per quanto ci possa non piacere o produrre sentimenti di sconforto, di smarrimento, di rabbia.
È sicuramente il caso dell’ampia analisi di Pietro Greco, giornalista scientifico e conduttore di Radio3 Scienza, che nell’articolo di copertina del numero di novembre 2018 ci mette in guardia dal pericolo concreto rappresentato dal superamento da parte dell’uomo dei dieci planetary boundaries, i confini planetari oltre i quali gli equilibri che consentono la vita come la conosciamo oggi vengono stravolti in maniera irreversibile.
I segni di questo stravolgimento sono sotto gli occhi di tutti, anche se i primi a non tenerne conto sembrano essere proprio coloro le cui decisioni potrebbero avere un impatto determinante: i nostri governanti. A loro sembra premere di più incitarci alla difesa della nostra fortezza piuttosto che abbassare il ponte levatoio per far entrare nuove idee e stimoli per il cambiamento.
«Abbiamo analizzato con attenzione la possibilità di salvare il Pianeta, ma siamo giunti alla conclusione che purtroppo la cosa non è economicamente realizzabile»: è l’amara ironia dell’attore satirico inglese John Fortune nel ruolo di un fantomatico membro del G7.
In questa sua frase è racchiusa la contraddizione di fondo che viviamo oggi e che dobbiamo assolutamente superare. Da dove iniziare?
Se vogliamo tutelare i confini planetari, la prima cosa da mettere in discussione sono i confini delle nostre abitudini mentali e dei nostri pregiudizi. Dopo il recente successo dei Verdi in Germania ha fatto il giro del web la scritta sulla maglietta di Katharina Schulze, leader del partito: «Mi Heimat es su Heimat», la mia patria è la tua patria.
Abbassiamo il ponte levatoio.
_____________________________________________________________________________________________________________________
SFOGLIA UN’ANTEPRIMA DELLA RIVISTA