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Alghe: una produzione sostenibile?

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In merito alla riflessione sull’impatto ambientale delle produzioni è interessante notare che svariati studi dimostrano come le alghe possano giocare un ruolo di primaria importanza da molti punti di vista.
Alghe: una produzione sostenibile?
In merito alla riflessione sull’impatto ambientale delle produzioni è interessante notare che svariati studi dimostrano come le alghe possano giocare un ruolo di primaria importanza da molti punti di vista: per quanto concerne la cattura della CO2; per la funzione di consolidamento costiero; per la disponibilità di nutrienti ai fini dell’alimentazione umana e animale, e per la fertilità del suolo. Come ha scritto Rita Araùjo (1), le alghe sono una materia prima centrale nella politica europea di protezione delle risorse naturali e di supporto a un’economia circolare e sostenibile a livello dell’intero continente.
Concorda su questo anche Elisa Capuzzo, senior ecosystem scientist, esperta di fitplancton, acquacoltura, alghe e oceanografia, che sulla natura sostenibile delle coltivazioni precisa come «le alghe, soprattutto a quelle marine come il kelp, non richiedono terreno per essere coltivate, né acqua fresca, e in Europa non necessitano di fertilizzanti o antiparassitari. Di conseguenza non sono in competizione con l’agricoltura e la loro produzione può essere meno impattante rispetto alle emissioni di gas serra e di sostanze inquinanti provenienti da altre forme di acqua/agri-coltura. Le alghe possono inoltre fornire dei “servizi eco-sistemici”, per esempio catturando nutrienti e anidride carbonica dall’acqua, fornendo habitat ad altri organismi, riducendo l’intensità di onde e correnti, e contribuendo a proteggere le zone costiere. Non da ultimo, la coltivazione di alghe, soprattutto in zone costiere isolate, può anche rappresentare una possibilità di sviluppo economico per piccole comunità».
Le alghe sono poi fondamentali per l’equilibrio dell’ecosistema: le macro sono specie critiche strutturanti l’habitat marino, mentre le micro, come il fitoplancton, sono alla base della catena alimentare marina e prima fonte di Omega 3 per l’alimentazione umana.
Com’è noto l’Europa si è prefissata di raggiungere entro il 2050 il traguardo del climate neutral. In questo contesto le produzioni di macro e micro-alghe possono costituire una possibilità concreta di affrontare questa sfida sostenendo la bioeconomia e approcci che si fondano sulla sostenibilità e sulla circolarità.
Scarti al minimo
Il concetto di circolarità, fa notare Elisa Capuzzo, si sostituisce qui a quello classico di linearità secondo cui si prevede che un prodotto sia costruito, usato e infine gettato. Diversamente, la produzione di alga punta a minimizzare lo scarto. Attraverso un processo chiamato «bioraffineria» si estraggono i principi bioattivi dell’alga, ma la restante parte può comunque essere utilizzata per la produzione di biometano, biotessuti, bioplastica, mangimi e fertilizzanti. Allo «zero-waste» si affianca poi la questione «zero emissioni», che secondo Rita Araújo è un traguardo a cui la produzione di alghe può avvicinarsi, rappresentando così un esempio virtuoso di attività antropica che non genera un impatto ambientale privativo sul territorio, ma anzi una nuova opportunità per l’utilizzo dello spazio marino sotto molteplici prospettive. Questo a patto che si rispettino alcuni parametri perché, così come per l’agricoltura intensiva, anche l’acquacoltura di alghe può avere dei risvolti negativi sull’ambiente, se non opportunamente monitorata. Ed è pertanto fondamentale che questo mercato in espansione vada di pari passo con l’ottimizzazione delle pratiche produttive, «bilanciando la sostenibilità socio-economica e ambientale dell’attività».
1)    Araújo R. et al, «Current status of algae production industry inEurope: an emerging sector of the blue bioeconomy», Frontiersin Marine Science, vol. 7 (2021).
Articolo tratto dal numero di settembre della rivista Terra Nuova

Leggi qui il mensile  Terra Nuova settembre 2022  

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