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Apicoltura biologica. Ecco il nuovo libro di Terra Nuova Edizioni

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Le api appaiono sempre più indifese di fronte all’inquinamento, al clima impazzito, ai nuovi parassiti, ai trattamenti e ai ritmi produttivi. E questo riguarda tutti molto da vicino, perché questi delicati insetti sono indispensabili per l’impollinazione e la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra. Scopriamo come invertire la tendenza e produrre miele di qualità con il libro di Marco Mantovani, Apicoltura biologica con arnie Warré e Top bar.

Il biologico e il problema delle distanze

La sopravvivenza delle api è messa sempre più a dura prova dall’utilizzo massiccio di pesticidi e fertilizzanti, che causano l’impoverimento del suolo, la distruzione degli ambienti naturali e la conseguente riduzione della biodiversità, di cui le api hanno estremamente bisogno. A questo si aggiungono i cambiamenti climatici, che danneggiano in modo sistematico la vita delle api.
Dobbiamo allora chiederci se sia ancora possibile oggi fare apicoltura. La necessità di una svolta si manifesta su diversi livelli, a cominciare da una drastica riduzione dei pesticidi in agricoltura, ma senza escludere un approccio più sostenibile e lungimirante nelle stesse tecniche di apicoltura. La prima risposta è indubbiamente quella del biologico, con una specifica normativa di riferimento del settore, basata sul regolamento n. 834/2007 del 28 giugno 2007 che disciplina la produzione e l’etichettatura dei prodotti biologici. Tuttavia, tra tutti i prodotti commercializzati con il marchio bio, il miele è quello che presenta più aspetti critici, soffrendo della forzata coesistenza tra coltivazioni biologiche, coltivazioni convenzionali e ogm. La causa, neanche a dirlo, è la connaturata volatilità della forza lavoro principale, che spetta alle api. Un aspetto critico di cui si discute da anni, e sul quale conviene fare una riflessione.
Partiamo dunque dalla legge. Secondo la normativa europea gli alveari devono essere posizionati in luoghi lontani almeno tre km da fonti di inquinamento; tuttavia le api possono scegliere le fioriture in un raggio ben più ampio, fino a 10 km, senza sapere se tali colture sono state irrorate di pesticidi o se le fioriture spontanee sono sottoposte ad agenti inquinanti derivati dal traffico o da altre fonti.
Ci sentiamo di poter dire che quello che proviene da paesi non Eu, per seguire la dicitura imposta dalla normativa europea sul biologico, non riesce a garantire la stessa qualità e presenta l’ulteriore rischio di essere contaminato da residui di pollini transgenici. Un rischio molto diffuso, reso evidente da prove di laboratorio effettuate in Germania (vedi Oko-test 11/2016), in particolar modo per i mieli d’oltreoceano, provenienti da luoghi in cui le produzioni di colture ogm raggiungono estensioni enormi e pervasive.
Per questi motivi è da preferire il miele italiano, biologico, regionale, prodotto in località lontane da campi coltivati con metodi convenzionali, e con marchio Dop, oppure quello di piccoli apicoltori del territorio che conosciamo di persona.
Per chi acquista sugli scaffali dei negozi sarà facile individuare in etichetta la provenienza del paese di origine. Purtroppo queste regole non valgono per i trasformatori che utilizzano il miele come ingrediente, nei prodotti dolciari ad esempio, dove la dichiarazione sull’origine non è obbligatoria.

Le regole del bio

Al di là dei limiti insiti all’apicoltura, bisogna tuttavia riconoscere che tra apicoltura convenzionale e apicoltura biologica la differenza c’è eccome: la certificazione biologica richiede regole più stringenti e pratiche che riducono l’impatto ambientale.
Il miele biologico viene prodotto secondo standard codificati: nella Comunità europea gli standard di riferimento sono i regolamenti CE 834/07 e CE 889/08. I punti salienti della normativa, rispetto all’apicoltura convenzionale, riguardano, oltre alla collocazione delle arnie lontano dalle fonti di inquinamento, il divieto di utilizzo di antibiotici e acaricidi di sintesi. I fogli cerei, inoltre, devono essere di provenienza certificata biologica. L’utilizzo di zucchero, esclusivamente biologico, nell’alimentazione delle api è invece ammesso solo in caso di minaccia alla sopravvivenza della famiglia a causa di condizioni fortemente avverse.

Che negli ultimi anni, purtroppo, sono diventate sempre più comuni.
Riccardo Sanesi, apicoltore dell’Officina degli aromi – Il Bellini sul Pratomagno aretino, si dice convinto che il biologico garantisca standard superiori. «Lo vedo ogni giorno con i miei occhi. Posso anche dire che i controlli sono diventati molto più severi.
Forse proprio per via della scarsità di produzione, c’è rischio che si verifichino delle truffe. Riceviamo controlli dall’organismo di controllo due volte all’anno. Vengono a verificare quanto miele produciamo e quanto ne vendiamo. Ci chiedono le analisi e da quest’anno vogliono vedere tutti gli alveari che abbiamo disseminato sul territorio. Dobbiamo fornire loro le coordinate per permettergli di verificare la distanza da fonti inquinanti. Se è vero che le api volano dove vogliono, i controllori sanno esattamente dove si trovano le singole arnie».
Il controllo della cera, secondo Sanesi, è un altro aspetto di fondamentale importanza che segna una grossa differenza rispetto al convenzionale.
«Nel biologico possiamo riutilizzare la nostra cera, ma partendo da una base pulita, senza residui.
La cera tiene in memoria, anche per settant’anni, tutto quello che ha inglobato. Il nutrimento artificiale, invece, è una pratica secondo me inevitabile, se vogliamo che le api sopravvivano. Utilizziamo sciroppo con zucchero di canna biologico, limone bio e acqua, tutto qua. E per quanto riguarda la varroa posso dire che è un pericolo sempre presente, ma anche che viene trattata ingabbiando le regine e utilizzando l’acido ossalico, con in media due trattamenti all’anno».
L’azienda toscana, con una cinquantina di arnie nell’area del Pratomagno, fino allo scorso anno produceva sui 6-700 kg di miele, ma quest’anno la produzione si è dimezzata, arrivando a 350 kg circa. Il principale responsabile, secondo Riccardo Sanesi, è stato il caldo. «I fiori erano secchi, non avevano nettare. E le api hanno sofferto tanto. Per fortuna il nostro miele è molto gradito e si vende bene. La clientela è sempre più consapevole e sa che il biologico può fare la differenza.
Certo, bisogna fare degli sforzi, lavorare in famiglia, per cercare di contenere i costi».

Apicoltori in via di estinzione?

Il biologico, tuttavia, pur garantendoci un prodotto più sano, non risolve tutti i problemi dell’apicoltura, a cominciare proprio dagli operatori che vivono a contatto con le api. «Noi apicoltori siamo come i tamburini del reggimento che nelle guerre dell’Ottocento stavano davanti al plotone armato. L’apicoltore è davanti che suona, ma è il primo che prende le cannonate». Sono le parole di Marco Mantovani, autore di Apicoltura biologica (Terra Nuova Edizioni), apicoltore di lunga data che abita a San Vincenzo, nella costa degli Etruschi tra Livorno e Piombino. Marco ha iniziato il lavoro di apicoltore nel lontano 1977 e può vantare grande esperienza e conoscenza della materia. «Sono praticamente cresciuto con le api» racconta. «Ho sempre fatto transumanza con gli alveari in un raggio massimo di 150 km per fare i monofora.
Adesso tendo a rimanere nei dintorni con dei buoni millefiori.
Dagli anni Settanta i tempi sono cambiati, e parecchio. Tutti gli anni si registrano perdite medie intorno al 50%. C’è stato un peggioramento progressivo del substrato sul quale la famiglia prosperava, formato dalla flora spontanea. Cosa significa? Vuol dire che è peggiorato il mondo. Ci sono stati degli anni in cui si raccoglievano fino a 100 kg di miele per arnia, oggi si può arrivare a 9 kg ad arnia, ed è già un bel risultato».
Tra i motivi di questo brusco calo delle produzioni, Marco Mantovani ci ricorda che le fioriture spontanee si sono ridotte all’osso.
Tutti fanno il diserbo con gli erbicidi (principalmente il glifosato), uccidendo la flora. Sono i coltivatori che usano mezzi convenzionali, ma anche gli operatori del verde in parchi, margini di strade e giardini. Gli ecosistemi sono sempre più fragili.
E le sentinelle alate sono le prime a farne le spese. «Essendosi impoverito l’apporto nutritivo, le api sono diventate facile preda di tutti i malanni» spiega l’apicoltore. «La globalizzazione, con il traffico di merci veloce da un continente all’altro ha fatto il resto, favorendo il proliferare di parassiti. Oltre alla varroa, hanno fatto ingresso nel nostro paese la Vespa velutina e ultimamente anche l’Aethina tumida, uno piccolo coleottero: due nuovi nemici delle api, in grado di causare gravissimi danni agli alveari. Il tracollo è avvenuto circa cinque, sei anni fa, con il risultato che continuare a fare l’apicoltore oggi è diventato molto difficile».
Ma se le cose vanno male per il pianeta e per i piccoli apicoltori, c’è sempre qualcuno che invece ci guadagna.
Marco Mantovani ci parla di una tendenza diffusa che porta all’accentramento degli interessi economici a danno del piccolo produttore, non lasciando il minimo spazio all’autonomia. È un po’ quello che è avvenuto con il latifondo. Un apparato economico-finanziario che ha interesse ad accerchiare i singoli e a creare dipendenze più stringenti.
Nel caso dell’apicoltura, oltre alle pratiche burocratiche e alle ispezioni di routine, si promuove ad esempio l’acquisto dei materiali standard come cassette, attrezzature varie e trattamenti che richiedono un costo iniziale elevato. Ed è questa la ragione per la quale, davanti ai primi inevitabili insuccessi, i neofiti abbandonano tutto privando l’apicoltura del ricambio generazionale.
«La risposta dell’apicoltura industriale e delle multinazionali dell’agribusiness è sempre la stessa» tuona Mantovani. «Si vuole spingere l’apicoltore a utilizzare nuovi prodotti, con molecole chimiche di contrasto contro le parassitosi e le virosi. Si tratta però di metodi che rinforzano la resistenza dei parassiti e che inseriscono variabili incontrollabili negli ecosistemi, a scapito della biodiversità.
Succede, invece, che le esperienze maturate sul campo da parte degli apicoltori vengono spazzate via dalle normative e represse dal Servizio sanitario come pratiche illegali». Un tema, questo, affrontato nei dettagli nel suo libro dedicato alla conduzione delle api con le arnie Warré, Tbh e Veuille, particolarmente rispettose delle esigenze etologiche delle api e soprattutto facili da realizzare utilizzando pallet riciclati, bidoni, gesso e segatura. «Per l’apicoltore c’è tutto un percorso in salita» spiega Marco.
«Tuttavia, se posso sembrare pessimista per il futuro dell’apicoltura, rimango fiducioso per quello delle api. Credo che, malgrado tutto, riusciranno a sopravvivere».
Brano tratto dall’articolo La rivoluzione dell’alveare

Leggi l’articolo completo sul mensile Terra Nuova Ottobre 2017

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IL LIBRO

Forte della lunga esperienza di apicoltore, l’autore propone un metodo molto innovativo basato sull’adozione di arnie di facile costruzione e di ancora più semplice gestione. Un’apicoltura «estensiva» che, a differenza di quella convenzionale intensiva, riduce al minimo lo stress a carico delle api, limitando allo stretto necessario gli interventi sulle arnie.
È un’apicoltura a basso costo perché può essere praticata con arnie autocostruite realizzate con legname riciclato (come quello ricavato da pallet), ed ecologica perché non ricorre all’impiego di farmaci di sintesi nella cura delle malattie e rispetta le esigenze etologiche delle api.
Le numerose illustrazioni che corredano il libro aiutano il lettore a fare propria una tecnica millenaria che ancor prima di rappresentare una possibile attività economica, costituisce una chiave unica per entrare in stretta sintonia con i cicli naturali e l’affascinante mondo delle api.

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Il libro che avete tra le mani non è l’ennesimo manuale di apicoltura, né tanto meno un trattato animalista. È più semplicemente la testimonianza di un grande amore per le api e la presentazione di un nuovo approccio all’apicoltura, un approccio profondamente ecologico e rispettoso dell’organismo alveare.
Negli ultimi anni, a causa delle continue morie di api, dei cambiamenti climatici in corso e dei numerosi trattamenti contro i parassiti vecchi e nuovi, il lavoro dell’apicoltore è diventato difficile e poco remunerativo. La proposta provocatoria e rivoluzionaria di Mauro Grasso parte da un principio semplicissimo: proviamo a mettere le mani nell’arnia il meno possibile e lasciamo fare alle api. Ispirandosi al metodo ideato da Oscar Perone, ideatore della permapicoltura, l’autore suggerisce una pratica apistica a basso impatto ambientale, basata su un nuovo modello di arnia in grado di soddisfare a pieno le esigenze etologiche dell’organismo alveare, in modo da offrire alle api le condizioni migliori per sviluppare strategie per sopravvivere ai nuovi parassiti e a un ambiente sempre più contaminato.
Questo libro è una sfida e insieme un invito, rivolto a tutti gli apicoltori, professionisti o alle prime armi, a mettersi in gioco per trovare insieme nuove strade.

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