Autosufficienza e autoproduzione sono due parole che ritornano sempre di più in questi mesi e sono ciò che ha dato la possibilità a molti di affrontare più preparati la situazione di emergenza che si è andata configurando nei mesi scorsi. Una sorta di alternativa autocostruita alle leggi imperanti del consumismo, della dipendenza dalle fonti di approvvigionamento, una modalità in cui ci si rende più autonomi, si risparmia e si riduce notevolmente il proprio impatto sull’ambiente. E sono sempre di più gli economisti, gli ecologisti ma anche i comuni cittadini che vi scorgono un modello per il prossimo futuro.
Abbiamo voluto dar voce a un centro pressoché unico nel suo genere in Italia, dove non solo da quindici anni si studiano e si sperimentano tutte le
soluzioni per l’autosufficienza energetica e alimentare e per l’autoproduzione, ma dove tutto ciò è stato anche messo in pratica. È il
PeR, Parco dell’energia Rinnovabile, struttura sulle colline umbre dove il team guidato da Alessandro Ronca, direttore scientifico del centro, lavora e accoglie i visitatori e dove vive lo stesso Ronca con la famiglia.
Ora che tutti guardano a queste scelte come a una risorsa in tempi di grande difficoltà, ecco che il PeR, dove peraltro è stata lanciata quella che Ronca ha definito la Fair Tech Revolution, è diventato una sorta di punto di riferimento nazionale, studiato, raccontato dai media mainstream, tra cui la Rai, emulato e cercato.
Alessandro, raccontaci innanzitutto come avete realizzato la vostra formula di autosufficienza. Su quali fronti e aspetti l’avete raggiunta, e come?
All’inizio del progetto del
PeR, circa quindici anni fa, ci siamo concentrati prima di tutto sull’autosufficienza reale attraverso la
tecnologia sostenibile e l’agricoltura. Poi abbiamo ulteriormente allargato la nostra prospettiva e abbiamo adottato un più ampio concetto di autonomia, praticamente inesplorata dal mondo occidentale: l’autosufficienza e l’autonomia «nella testa», cioè quella culturale, che abbatte ogni muro e di cui la tecnologia è uno degli ingredienti.
Mi spiego meglio. Il progresso, le scoperte, le invenzioni non sono altro che il risultato di un cocktail tra intelligenza e risorse naturali; ora, dipende come vengono «miscelate». Stiamo vivendo un’
emergenza climatica globale che ha una causa chiara e inequivocabile: l’
indiscriminato uso di risorse naturali, oltre la soglia rigenerabile dal nostro Pianeta, a causa dell’avidità economica. Viviamo in quello che ci appare come benessere, tra le comodità, ma sono questi «vantaggi» che ci stanno «cuocendo». Pensate a cosa significa aprire il rubinetto e sapere che esce acqua piovana recuperata: l’acqua c’è perché la natura mi ha permesso di averla ed è così che si acquisisce la consapevolezza che dipendiamo proprio dalla natura. Se c’è il sole, raccolgo energia elettrica e calore dai collettori; se c’è vento la mia microturbina produce elettricità e così accetto ciò che accade in natura e lo rispetto, non lo compro.
La natura non è in vendita, è un dono: questa è l’autosufficienza a cui mi riferivo prima. E distaccandosi dalla natura, ecco che scattano i problemi.
Per quanto riguarda ciò che abbiamo effettivamente raggiunto, ebbene, relativamente all’autosufficienza energetica, otteniamo acqua calda sanitaria al 100% dal solare termico; il riscaldamento riusciamo a produrlo con un 35% di solare termico, un 10% di compostaggio termico sperimentale e il rimanente 55% con caldaia a fiamma inversa alimentata a biomassa di legna. Per quanto riguarda l’elettricità, copriamo il 20% del nostro fabbisogno con il connesso in rete, il 60% con il fotovoltaico a isola, il 10% con una microturbina eolica e un altro 10% con un gruppo elettrogeno di emergenza o dalla rete. Siamo punto di riferimento anche per l’autosufficienza idrica, grazie a un efficacissimo sistema di recupero, filtraggio e riciclo dell’acqua piovana, senza dubbio una delle soluzioni tecniche che non possono essere trascurate nelle scelte abitative.
Al di là degli aspetti tecnici che possono avere diverse declinazioni a seconda della tipologia abitativa e dello studio del fabbisogno idrico specifico, direi che recuperare le acque meteoriche porta i seguenti vantaggi, che riepilogo di seguito.
• Totale gratuità della risorsa ottenuta.
• Aumento dell’indipendenza dal sistema e della personale resilienza a eventi imprevisti.
• Creazione di un legame fortissimo con la natura. Riusciamo così a vedere una giornata di pioggia non come una «brutta giornata» ma come una bella giornata di pioggia, poiché le cisterne si riempiono.
• Aiuto per attuare comportamenti di risparmio e prevenzione, poiché il fatto che non piova per un certo periodo ci mette già in allerta e non veniamo colti alla sprovvista dalle eventuali ordinanze di razionamento dell’acqua.
• L’acqua piovana è priva di sali minerali e quindi non ha calcare; ciò riduce le incrostazioni e, nell’uso, consente di ridurre di oltre il 50% l’uso di detergenti e saponi con conseguenze positive sull’ambiente e per le nostre tasche.
• Questa assenza di calcare evita la formazione di incrostazioni all’interno degli elettrodomestici. Tali depositi li danneggiano e li rendono più energivori dal punto di vista elettrico, poiché sono un isolante e riducono l’efficienza energetica gradualmente e silenziosamente, fino a sfociare nel non funzionamento.
• La sua «leggerezza» garantisce al nostro corpo un effetto idratante ed emolliente che molti ottengono con creme che non sono così più necessarie.
• La sua lieve acidità la rende perfetta per la conservazione in cisterne senza l’uso di additivi, poiché l’ambiente acido non facilita la proliferazione batterica.
• L’acqua piovana è la migliore scelta per l’irrigazione delle nostre piantine e per l’orto, poiché è quella a cui le piante sono maggiormente abituate. Ci sono poi altri usi secondari per impiegarla, meno significativi ma utili. Ad esempio sostituisce l’acqua demineralizzata per il ferro da stiro, evitandoci di acquistarla; oppure è utile per i tergicristalli dell’auto o all’interno delle batterie.
In questo momento di difficoltà, ansia, necessità di rivedere radicalmente il nostro modo di vivere, qual è il messaggio che ti sentiresti di condividere?
Mi auguro che le persone, una volta razionalizzata la paura legata all’allarme per il Coronavirus, mettano a frutto il tempo per pensare, per riflettere seriamente. La frenesia schizofrenica del mondo occidentale scoraggia il pensiero; i ritmi dell’oggi costituiscono un guscio che abbiamo creato per evitare di pensare, attività che però è essenziale per uscire dal circolo vizioso in cui ci troviamo. Spero che possa diventare chiaro ai più come questa infrastruttura che oggi chiamiamo modernità ci abbia portato verso una china pericolosa. Quindi, occorre ripensare il nostro stile di vita.
Sostieni da tempo che prima o poi ci troveremo tutti di fronte a un forzato cambio radicale di paradigma e che, proprio per questo, al PeR vi siete organizzati per non farvi cogliere impreparati. Vedi veramente come realistico pensare che il paradigma cambierà?
Lo auspico e me lo auguro. Così come mi auguro che il momento sia ora. Se per cambiare aspettassimo ulteriori sconvolgimenti, direi proprio che arriveremmo definitivamente tardi. Al
PeR abbiamo dedicato alla gestione delle situazioni impreviste anche parte della formazione che facciamo. Per esempio, uno dei corsi che promuoviamo si chiama
YOUseful, l’imprevisto previsto, per la gestione degli imprevisti familiari e la realizzazione di un piano di analisi dei rischi e di sicurezza nella nostra abitazione e nel luogo in cui viviamo. Un corso profetico, che pone l’accento sull’imprevisto non come qualcosa a cui non pensare perché ci fa preoccupare inutilmente, ma come qualcosa da considerare per preparare la propria casa e i propri familiari a una situazione di emergenza. Basti pensare che al PeR abbiamo attuato un piano di riruralizzazione e questo ci ha aiutato moltissimo nel periodo di
quarantena legato al virus.
Comunque, in realtà, l’autosufficienza viene normalmente praticata da oltre due miliardi di persone sul Pianeta, senza che sia considerata straordinaria: è semplicemente l’unica cosa sensata per ridurre l’esigenza di denaro e vivere quanto più possibile in armonia con la natura, perché è da essa che dipendiamo.
Quasi profetico il lancio di quella che hai definito Fair Tech Revolution, quindi. Non trovi? Qualche mese fa hai annunciato che l’approccio del PeR alla sostenibilità si era evoluto in questo concetto. Spiegaci cosa intendi.
La
Fair Tech Revolution non è altro che una revisione bioeconomica del nostro modo di vivere. La cieca ed esclusiva fiducia nel progresso tecnologico futuro e futuribile che ci salverà è un’idea da abbandonare o meglio da reinterpretare. Vanno recuperate la competenza e la conoscenza concrete, a misura di uomo e di Pianeta; vanno rivalorizzate anche conoscenze low tech, che possano aiutarci a costruire una dimensione di vita a impatto positivo. E non va visto affatto come un passo indietro. Abbiamo bisogno di «sfidare» il progresso e farlo ragionare. Altriemnti l’estinzione è garantita.
Possiamo combinare tecnologie passate, nuove conoscenze e materiali; applicare concetti antichi e conoscenze tradizionali alla tecnologia moderna. Per procedere in questa direzione non servono necessariamente microprocessori ultraveloci, mezzi di trasporto da 200 cavalli, connettività all’ennesima potenza e schermi video da 8k di risoluzione. Occorre una vera rivoluzione «giusta per il Pianeta» e noi pensiamo di averla iniziata. Occorre porre limiti e confini allo sviluppo, in modo che sia proporzionato alle risorse disponibili e rigenerabili; consolidare i traguardi raggiunti sfruttando la collaborazione e l’intelligenza collettiva; creare connessioni partecipative tra le molteplici realtà nel nostro Paese, in Europa e nel resto del mondo come nella gestione delle emergenze che verranno.
La rivoluzione che intendiamo è prima di tutto democratica, fondata su cinque pilastri da ripensare e ri-coniugare: il trasporto, il cibo, la casa, l’educazione e la salute. L’accessibilità economica di tutto ciò è di primaria importanza. Non sto dicendo che il denaro non serve, bensì che occorre investirlo come un mezzo per fare in modo che, una volta investito, serva poi il meno possibile. So che per alcuni può sembrare un’utopia, ma è così che nascono le rivoluzioni! In questa, però, nessuno morirà, anzi probabilmente in molti si salveranno e forse vivranno un po’ più felici.
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