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Biodinamica e scienza. Mettiamoci al lavoro

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Intervista a Cesare Pacini, professore associato del Dipartimento di scienze e produzioni agroalimentari e dell’ambiente, Università di Firenze.
Sicuramente c’è un crescente interesse, che nasce però in un contesto di diffuso disinteresse. Abbiamo fatto un’analisi della letteratura estensiva utilizzando il database più robusto a disposizione, analizzando tutte le pubblicazioni dal 1985 al 2018 sulle riviste più autorevoli.
Ebbene, dal 1985 ad adesso sono comparsi solo 73 articoli: siamo a un livello piuttosto basso. E teniamo conto che le prime pubblicazioni sono recenti, successive agli anni ’90. Le ricerche precedenti sono «letteratura grigia», pubblicazioni su riviste secondarie.
Forse il mondo dell’agricoltura biodinamica per lungo tempo è stato chiuso all’interesse scientifico, ma si potrebbe pensare che anche il mondo scientifico sia stato per molti anni
miope rispetto al metodo. Certo è che quando un ricercatore oggi dice che il metodo biodinamico non è scientifico si assume una gran bella responsabilità.
La maggior parte delle ricerche (il 36%) è stata eseguita nel Nord e nel Centro Europa, in quei paesi del mondo verso i quali volgiamo spesso lo sguardo quando diciamo che una cosa va perseguita ed è di interesse. Perché continuare a prendere spunto dai paesi più evoluti solo per alcune cose e non per la biodinamica?
Uno studio approfondito sulle micorrize potrebbe spiegare molte cose ed essere interessante non solo per l’agricoltura biodinamica ma anche per l’agronomia e la microbiologia in genere. Eppure queste cose non vengono studiate se non in misura molto ridotta.
Lo studio più famoso è quello dell’istituto svizzero FiBL pubblicato su Science. Per quello che riguarda la qualità del suolo l’agricoltura biodinamica ha dimostrato di produrre delle prestazioni migliori anche rispetto all’agricoltura biologica per la stabilità degli aggregati, il pH, la formazione di humus, la presenza di calcio nel suolo, la biomassa microbica e la fauna del suolo. Altri studi ci dicono che i preparati biodinamici hanno un impatto positivo sulla biodiversità del suolo, ma è difficile generalizzare. Non vorrei si volesse tirare la giacca alla scienza. C’è un estremo bisogno di finanziare nuova ricerca. Se abbiamo questa posizione di leader nel mercato del bio e del biodinamico sarebbe il caso di approfittarne.
Se fossero stati investiti nell’agricoltura biologica tutti i soldi investiti negli ogm saremmo più avanti nel dire cosa è giusto o sbagliato, nel dire cosa si può fare e cosa no. Ma per il momento non esiste la volontà di andare a fondo sull’argomento.
Non credo, oggi abbiamo gli strumenti per fare analisi approfondite. Se dietro l’agricoltura biodinamica c’è una componente antroposofica e filosofica che mette l’uomo al centro, cosa c’è di sbagliato? Se ci presenta un aspetto importante perché non dovremmo studiarlo a livello scientifico? Quello che a noi interessa sono i fenomeni naturali su cui si basano le tecniche dell’agricoltura biodinamica. Vogliamo capire se davvero questi preparati hanno la capacità, come sembra, di attivare processi enzimatici della sostanza organica del suolo.
Una delle cose che abbiamo notato è che la quantità di azoto disponibile nel terreno, nel confronto tra convenzionale e biologico, nell’arco di quasi trent’anni non è cambiata. L’inserimento in successione delle leguminose è sufficiente a rendere disponibile l’azoto alle piante. Se si guarda al fosfato, invece, questa quota, laddove non si usano concimi, si è dimezzata. Eppure la quota di fosforo totale è diminuita solo di poco.
Ecco, ci interesserebbe capire se i preparati biodinamici siano in grado di mobilizzare quel fosforo che non è disponibile per le piante. Per noi, adesso, questo è il punto chiave. Il potassio è disponibile, l’azoto si può rigenerare, ma il fosforo non può essere rigenerato.
Laddove non si utilizza letame, viene a mancare. Forse l’agricoltura biodinamica potrebbe risolvere il problema attivando quella sostanza organica che può renderlo disponibile, nella forma cioè in cui le piante possono utilizzarlo.
È proprio così! Non vogliamo fare ricerca parcellizzata, vogliamo produrre risultati che abbiano un senso per gli agricoltori. Se poi qualcuno volesse sostenere la nostra ricerca, ci darebbe una grossa mano. Entro la fine dell’anno intanto usciremo con ben quattro pubblicazioni su riviste scientifiche da primo quartile.
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Brano tratto dall’articolo Biodinamica e scienza: nuovi orizzonti di intesa

Leggi l’articolo completo sul mensile Terra Nuova Novembre 2018
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