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Cabine

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«Mi si è rotto il cellulare. Ne ho trovato uno vecchio, ma non sono riuscita a recuperare la rubrica. In questo isolamento telefonico, mi sono tornate in mente le vecchie cabine…»: la riflessione di Michela Baccini, dalla rubrica “Spunti di vista” di Terra Nuova di giugno.
Quando ero una ragazzina non avevo il telefono a casa e le cabine erano per me un po’ come varchi verso luoghi lontani, la mia unica possibilità di essere altrove senza muovermi dal mio paese.
Ricordo le telefonate ai fidanzati sotto il sole estivo, il sudore, le palpitazioni, le aspettative. A volte preparavo il discorso in camera per ottimizzare la comunicazione, per far stare i concetti e i sentimenti nel minor numero di parole possibile. Il risultato era che le emozioni saturavano quel parallelepipedo trasparente di pochi metri cubi, tanto che forse le potevano respirare anche gli utenti successivi.
Ricordo il rito di inforcare la bici e pedalare fino alla cabina vicino al cimitero del paese, le tasche piene di gettoni e, qualche anno dopo, di spiccioli per la telefonata. Di solito non parlavo alla cornetta stando in piedi, ma mi sedevo sugli elenchi telefonici che erano appesi a una struttura in metallo vicino all’apparecchio.
Quando era troppo caldo facevo equilibrismi per tenere contemporaneamente le porte aperte e la concentrazione.
La concentrazione, ecco cosa permetteva la cabina. Permetteva di telefonare telefonando. Si entrava nella cabina quando era il momento giusto per farlo, quando la motivazione a telefonare era matura. A volte arrivata lì davanti sentivo di dover tornare indietro e così facevo.
Ripassavo dopo qualche ora o il giorno dopo.
Perché non si potevano passare giornate intere dentro la cabina a snocciolare una moneta dietro l’altra per parlare senza parsimonia.
A volte accadeva che si creasse una piccola fila di persone che aspettavano di telefonare. Di solito si attendeva un po’ distanti, per non sentire discorsi imbarazzanti, per non impicciarsi degli affari degli altri.
Dopo che gli apparecchi telefonici ci hanno colonizzato, la concentrazione, la parsimonia e l’intimità non sono più concetti legati alla telefonata. Si telefona facendo tutt’altro, anche se c’è poco da dire, anche in un treno affollato. Magari ci sono lati positivi in questo, ma è andata perduta la magia di entrare in una scatola e da quella piccola solitudine percorrere con la voce chilometri e chilometri lungo un filo per incontrare un amico.
A me piaceva.

Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Giugno 2018
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