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Cibi barbari

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La nostra pancia invasa dai cibi ultra-lavorati…
Mentre il ministro dell’Interno continua a parlare alla pancia degli italiani annunciando a tamburo battente una – tutta da dimostrare – invasione di migranti, quella stessa pancia sta subendo un altro genere di invasione, questa invece molto reale: quella dei cosiddetti cibi ultra-lavorati o ultra-processed food.
Il concetto è stato definito per la prima volta dal ricercatore brasiliano Carlos Monteiro per indicare tutti quei prodotti alimentari che subiscono pesanti processi di lavorazione e che generalmente includono un notevole quantitativo di additivi, ma poco o nulla in fatto di cibo vero. È evidente che con gli ultra-processed food si vogliono creare prodotti a lunga conservazione, convenienti, appetibili e veloci da preparare, spesso in sostituzione di cibi freschi.
Ci sono paesi che da tempo hanno subito l’invasione di questi non-cibi, che in alcuni casi arrivano a costituire addirittura il 50% delle calorie consumate dalla popolazione. In Italia siamo ancora lontani da queste proporzioni drammatiche, ma il trend è in crescita e siamo già al 13,4%.
Qui non si tratta di fanatismo salutista: non stiamo parlando dell’occasionale patatina al bar. Siamo di fronte a un progressivo stravolgimento della nostra dieta, che nel tempo potrebbe avere conseguenze drammatiche sulla salute pubblica: gli ultimi studi parlano di diabete, obesità, disbiosi intestinale, cancro…
Bisogna correre ai ripari per contrastare questa deriva, partendo da una riflessione profonda sul nostro stile di vita che non ci dà il tempo per prepararci da mangiare e che – cosa ancora più grave – non ci consente di tramandare questa buona abitudine ai nostri figli.
Ma non possiamo per l’ennesima volta addossare tutti gli oneri al singolo e alla famiglia: occorre fare tutto il possibile per coinvolgere anche le istituzioni, a partire da quella scolastica.
Prendiamo atto che stiamo andando nella direzione di un analfabetismo culinario senza precedenti, quindi la prima cosa da fare è portare in tutte le scuole non solo l’educazione alimentare, ma anche l’arte di cucinare, senza discriminazioni di sesso e di ruoli: tutti devono imparare a fare da mangiare, così come a leggere e far di conto.
Se è vero che chi dimentica la storia è destinato a ripeterla (e al nostro ministro una ripassatina gliela suggerirei), chi dimentica l’arte di cucinare mette in pericolo la propria salute, oltre a perdersi uno dei piaceri della vita: quello di mangiar bene.
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Editoriale tratto dal mensile Terra Nuova Ottobre 2018

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