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Città e campagna: due mondi sempre più vicini

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La città ha sempre avuto paura della gente di campagna. Ne ha temuto le intemperanze e le numerose rivolte che, fin dall’epoca romana, hanno squassato il «mondo civile».
Un radicato pregiudizio che persiste tutt’oggi individua nella gente di campagna la retroguardia e la Vandea più nera, il vero ricettacolo di ogni conservatorismo dei più beceri. Nel linguaggio delle principali lingue europee, il contadino, l’abitante del contado, colui che vive «fuori» dal centro, dal borgo, è dipinto come il diverso, il non affidabile, l’elemento folcloristico, il clown, oppure il selvaggio, lo zotico, il bifolco, il villano, il terrone e via elencando.
Le lingue sono state codificate dalla gente di città; il borghese ha eletto se stesso come esempio di equilibrio e saggezza, e i suoi costumi sono i soli rispettabili. Chi sgarra è, naturalmente, «un cafone». Attraverso questo pregiudizio antirurale, questo predominio assoluto, abbiamo elevato la
città a modello di buon vivere e la campagna a una sorta di nonluogo.
La dicotomia città-campagna è stata una costante della nostra storia. L’introduzione delle logiche della produzione e della sovrapproduzione capitalistica ha originato poi la sistematica spoliazione delle campagne. Boschi, foreste, fiumi, laghi vengono distrutti, eradicati, prosciugati, deviati, letteralmente risucchiati per le esigenze della città.
Eppure oggi, in maniera sempre più diffusa, sempre meno invisibile e sempre più scoperta, in Europa e in altre parti del mondo migliaia di giovani decidono di ritornare alla campagna, abbandonando le città, alla ricerca non di paradisi nostalgici mai esistiti, ma di un nuovo paradigma esistenziale.
Ecovillaggi, coordinamenti città-campagna, gruppi d’acquisto solidale, cooperative biologiche di giovani: si tratta di una rete che interloquisce positivamente tra città e campagna, irrompendo nella scena e rovesciando, in un colpo solo, ogni pregiudizio, ogni falsità.
La rivoluzione rurale è una rivoluzione vera, totale, che abbatte e cancella millenni di menzogne. Il nuovo contadino, quello consapevole, introduce nella città altre conoscenze, altre abilità. Le tematiche della difesa del suolo e del paesaggio, la spinosa ed essenziale questione della biodiversità rurale, la rinascita di balli e canti, il recupero di una quotidianità che prevede il ritorno all’autoproduzione: tutto questo contribuisce ad avvicinare questi mondi così distanti.
Così, la città migliore va in campagna e la campagna va in città, in un incontro fecondo che porta verso un sentire e un vivere diversi: fuori dal frastuono, dalla corsa all’ultimo gadget, dall’ennesimo acquisto futile indotto dalla pubblicità. Un sentire e un vivere che ci permettono di riscoprire, fra le altre cose, le infinite possibilità delle relazioni umane aperte al dono e al baratto.
Chi vive in città oggi è molto più attento al cibo prodotto in modo sano e questo comporta automaticamente, per la nuova campagna, un vantaggio evidente: meno veleni, più fertilità dei suoli, meno spreco di acqua, di terreno, meno sprechi in assoluto. Se il cittadino capisce che la mela non deve essere per forza lucida e tonda, che le carote non sono solo arancioni, se la lotta per la messa al bando dei perniciosi ogm viene condivisa e combattuta sia in campagna che in città, allora si potrà andare verso una nuova ruralità libera, autodeterminata, consapevole e lungimirante.
Davide Ciccarese, nel suo Manifesto per l’agricoltura contadina, lo dice esplicitamente: «Per un giovane, oggi, il ritorno alla campagna rappresenta
un futuro molto più certo, pregno anche di stabilità economica, rispetto al ridursi a Co Co Co o Co Co Pro e svariate condizioni precarie di nuova schiavitù urbana».
Il precariato avvilisce e tanti giovani hanno cominciato a prendere in considerazione un cambio di vita radicale. Una rivoluzione rurale, anche nel nostro Paese, può determinare mutazioni sociali e antropologiche notevoli. Tutto questo, conoscendo quanto siano pervasive le fonti della propaganda consumista odierna e quanto a fondo abbiano eradicato la «naturalità» dalla mente dei giovani, è quanto mai felice fonte di speranza, che si concretizza nell’immagine di un possibile uturo fatto di campagne liberate e di città rese più umane proprio grazie alla convivenza tra cittadini e nuovi contadini.
Articolo tratto dalla rubrica Spunti di vista pubbicata sul mensile Terra Nuova Aprile 2013, anche come eBook.

 

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