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Come affrontare la negatività

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In un’epoca che celebra l’ottimismo e il pensiero positivo assistiamo alla rimozione totale della negatività, che invece ha bisogno di essere vissuta e ascoltata in modo profondo, prima che prenda una brutta piega. Perché le emozioni negative possono fiorire…
Viviamo in una società che ci ha imposto l’ottimismo forzato, il sorriso sempre stampato in faccia, il pensiero positivo a tutti i costi. Ma tutto questo accento sulla libertà, i buoni sentimenti, la carriera e la famiglia perfetta assomiglia a un’immagine un po’ edulcorata, per non dire artefatta, della nostra realtà. Potremo mai avere accesso a quell’idillio perfetto, ben raffigurato nelle pubblicità televisive?
Sui danni dell’ottimismo c’è un accademico inglese, David Collinson, autore del fortunato saggio Prozac Leadership, che ha scritto pagine memorabili. «In molte aziende americane premiando l’ottimismo e scoraggiando il pessimismo» scrive Collison «si è indebolita la capacità di pensare criticamente. Si è creata una vera e propria dittatura dell’ottimismo che ha anestetizzato la sensibilità al pericolo».
La cultura del successo a tutti i costi, nata all’ombra di Wall Street, ha creato un clima di insofferenza verso il pensiero divergente, verso qualsiasi forma di tensione politica o psicologia che voglia scalfire con un’unghia sotto lo smalto in superficie. Quelli che protestano sono dei disadattati. Il dubbio e la ragion critica sono ricacciate negli angoli più bui, spazzati sotto il tappeto.
Ma ogni polarizzazione richiama il suo opposto, e così il negativo si insinua nelle nostre vite in modo strisciante, insidioso, prendendo pieghe indesiderate e spesso pericolose, finendo per fomentare la violenza o atteggiamenti autodistruttivi.
Sicuramente nel pensiero positivo ci sarà del buono, ma tutta questa positività in fin dei conti non ha reso il nostro mondo migliore. E forse non ha nemmeno migliorato di molto le nostre vite personali. Il sonno della ragione genera mostri, ma anche il suo sogno di dominio freddo e raziocinante. Il lume della ragione ci ha accecati rendendo più confuse le nostre notti. Dietro i paraventi della nostra convivenza civile affiorano di continuo i retaggi di un passato arcaico, i nostri istinti più ferini. Gli stessi istinti che ci hanno consentito di sopravvivere, permettendoci di reagire a situazioni di stress o di pericolo, e che oggi continuiamo a utilizzare come se fossimo nell’età della pietra. Poi ci sono i modelli di comportamento appresi dai nostri genitori, o dai nostri nonni, di cui non abbiamo ancora saputo sbarazzarci, forse perché non ne abbiamo più avuti di nuovi.

L’unione tra positivo e negativo

Globalizzazione, libero mercato, digitalizzazione sono parole che fanno pensare al superamento dei confini, a una società libera dai limiti e dalle pastoie oppressive del passato.
Ma in realtà il mondo è molto più frammentato, e molto più feroce, di quanto si pensi. Viviamo nella società del conflitto e della separazione. Non riusciamo ancora a superare il nostro dualismo: da una parte ci sono i buoni, i giusti, che siamo sempre e solo noi ovviamente, e dall’altra i selvaggi, gli ignoranti, i cattivi.
Le peggiori guerre sono sempre nate da questa contrapposizione, piuttosto pretenziosa in verità, di un bene in lotta contro il male. Una guerra che continua dentro di noi.
Quante volte ci odiamo, ci sentiamo in colpa o reprimiamo le nostre emozioni negative? Quante volte reagiamo in modo scomposto o fuggiamo inorriditi di fronte allo stress del quotidiano? Siamo davvero così consapevoli e positivi? Si può ancora continuare a lungo nel negare la negatività?

Il nuovo libro di Pino De Sario, Manuale anti-negatività, ci aiuta a riconsiderare il negativo non solo come dolore e sofferenza, ma anche come una risorsa e un’opportunità.
De Sario, consulente in facilitazione di esperienza pluriennale che, non dimentichiamolo, è stato il primo storico direttore di Terra Nuova, ci dice una cosa molto semplice: negativo e positivo sono due facce della stessa medaglia. «La prevalente attitudine separatrice delle nostre culture e dei nostri cervelli ci fa invece perdere la capacità di collegare, di osservare gli accadimenti in un “anello intero” o dentro un continuum, tanto presente quanto naturale. Siamo assillati dalla cultura della disgiunzione, della separazione e della divisione. Possiamo invece far crescere una cultura del collegamento, dell’insieme e dell’unione».

Non c’è dubbio, si tratta di un appello particolarmente intrigante per chi ha scelto di impegnarsi con i temi della sostenibilità. Come si fa a definirsi ecologisti, a sperare in un mondo migliore, se finiamo per non occuparci di noi stessi e delle nostre relazioni? Si può amare l’ambiente in tutte le sue forme e continuare a ignorare la propria natura?
Come primo passo potremmo proprio cominciare a rispettare quello che siamo, la nostra biodiversità, i nostri lati meno addomesticati.
Iniziare a capire come funzioniamo e a trovare anche qui delle buone pratiche, per una vita più piena. Siamo fatti di luce e siamo fatti di buio. La psicologia junghiana ci insegna che «fare anima» non significa aspirare in verticale alle più alte vette dello spirito. L’anima la si ritrova nelle zone d’ombra, nelle profondità del vivente, nei reami degli istinti. È inutile far finta di niente, le frustrazioni sono sempre dietro l’angolo. L’amarezza, la rabbia, le angosce esistenziali si affacciano spesso nelle nostre giornate, se finiamo per ricacciarle indietro spesso è perché non sappiamo bene come affrontarle.
I nostri comportamenti, e i nostri pensieri, seguono schemi rigidi e preconfezionati, da cui non riusciamo bene a uscire. Invece di ingaggiare guerre contro il negativo che affiora potremmo cominciare a viverlo e a integrarlo nella nostra vita.

Dal letame nascono i fior

Ci piacerebbe chiudere questo articolo in modo splendido, come fa Fabrizio De André alla fine di Via del campo, una delle più belle ballate del cantautore genovese. La celebre metafora «dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior» non potrebbe essere più azzeccata. Ma c’è bisogno di qualche spiegazione. E, attenzione alle scorciatoie, qua non si tratta di dispensare buoni consigli.
Sarete sicuramente tentati di prodigare facili ricette per risollevare voi e i vostri amici dal contatto con il fetore del letame. Ma come ci spiega De Sario saremmo sulla cattiva strada, perché i ragionamenti e i giudizi, anche se sensati, non potranno mai avere effetto sul mondo della negatività.
Continueremmo a riempire il mondo di belle parole che girano a vuoto. Le ricette provengono infatti dalle aree alte del cervello, quelle logiche e ragionatrici, che non hanno nessuna presa sulla negatività, che di suo brulica di sensazioni corporee ed emotive. La negatività dell’altro, e quella che scorgiamo in noi, è semmai da accogliere, recepire, ricondurre all’universo dei bisogni. Dalla negatività si possono trovare ponti verso soluzioni costruttive. Ma attenzione, perché anche dal positivo si cade facilmente nel negativo.
«Prendiamo per esempio rabbia e soddisfazione» scrive De Sario. «Sono entrambe condizioni per così dire mobili, che possono entrambe traslare: la rabbia generare vitalità e grinta, la soddisfazione può regredire in presunzione e superbia». Se scorgiamo in noi e nei contesti intorno a noi rabbia, paura, tristezza, non conviene abbandonarci al loro peggioramento, bensì considerare che in quelle forme di «letame» ci può essere un germe floreale. Nel letame di fatto c’è un potenziale fertilizzante per ogni pianta o terreno.
Possiamo abbracciare meglio e di più la negatività personale e delle situazioni con frasi del tipo «mia cara negatività so che esisti, mi posso prendere cura di te». Un modo per esplorarla e contenerla; per poi tentare di trasformarla.
Siamo in una società che si fonda sul perseguimento della positività, del piacere, della soddisfazione a tutti i costi. È una continua gara a chi trattiene di più il fiato, a chi è più teso come un tamburo e paonazzo come una barbabietola. Letame e fiori annunciano un’impostazione che possiamo denominare «ecologica», in cui più componenti interagiscono tra loro in ambienti complessi, con più fattori in gioco, come sono quelli di ogni nostra giornata. Come un buon agricoltore biodinamico possiamo cominciare proprio dal letame per innescare il processo di crescita delle piante. Ma non dimentichiamoci di tutte le accortezze che servono per arrivare ad avere un ottimo cibo.
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Gennaio 2019

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IL LIBRO

Viviamo in un’epoca che incessantemente celebra l’ottimismo e il pensiero positivo, e rimuove totalmente la presenza della negatività, che invece ha bisogno di essere vissuta e ascoltata in modo profondo per non trasformarsi in energia distruttiva.

Questo testo, frutto di una lunga esperienza nel campo della facilitazione, ci aiuta a riconsiderare la negatività non solo come dolore e sofferenza, ma anche come risorsa e opportunità, sia in ambito personale, sia in ambito lavorativo o di gruppo.
Pino De Sario ci insegna che la buona gestione di emozioni, pensieri, atteggiamenti e sentimenti negativi consente di costruire ponti verso soluzioni costruttive. Siamo assillati dalla cultura della disgiunzione, della separazione e della divisione. Possiamo invece far crescere una cultura che rivaluti la collaborazione, l’unità e la solidarietà.
 

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