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Covid-19 e produzione agricola

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Intervista a Salvatore Ceccarelli, agronomo genetista di fama mondiale, coautore del Manifesto Food for Health e fautore del miglioramento genetico evolutivo. Con lui abbiamo parlato di virus, biodiversità agricola e microbiota umano.
Covid-19 e produzione agricola

È possibile rispondere alla propagazione di supervirus e superbatteri coltivando più biodiversità nei campi e nel nostro microbiota?

Dobbiamo farlo, pensando soprattutto al nostro microbiota, visto che dalla sua diversità e composizione dipendono le difese immunitarie di cui si è parlato molto in questi giorni. Da esso dipende anche la nostra salute mentale, utile a contrastare ansia e depressione, fenomeni che si acuiscono quando si è costretti a cambiare abitudini. La diversità e la composizione del microbiota dipendono essenzialmente dalla diversità della nostra dieta, ma la maggior parte del cibo oggi è prodotto da un’agricoltura basata sull’uniformità. Sia inteso, non possiamo dare sempre e solo la colpa alle multinazionali: siamo noi che pretendiamo sapori e odori sempre uguali!

L’agrobiodiversità può dunque essere una strategia applicabile su larga scala? E può essere una risposta sufficiente, considerando la velocità dei cambiamenti climatici in atto?

Per fortuna la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ci dice che le industrie dell’agribusiness producono soltanto il 30% del cibo al mondo. Il rimanente lo produce l’agricoltura familiare. Laddove le multinazionali non sono ancora arrivate l’agroecologia è la sola strategia che assicura resilienza e sostenibilità ed è la sola arma che abbiamo nei confronti del cambiamento climatico. Nessuno, o quasi, ci dice quanto quest’ultimo sia complesso. Insieme a temperature e piovosità, cambia anche la vita di batteri, virus, insetti, piante infestanti, insetti impollinatori e non. C’è un intero ecosistema che cambia in modo imprevedibile e diverso da luogo a luogo. Bisogna provare a chiedere a chi oggi parla di Ogm e di gene editing come pensa di affrontare un problema così complesso con queste metodologie tipicamente riduzionistiche.

Il miglioramento genetico di oggi va in questa direzione o verso l’omologazione?

Purtroppo il miglioramento genetico di oggi va nella direzione dell’uniformità, anche perché la ricerca privata è legata alle multinazionali dei semi e dei pesticidi, che hanno come obiettivo il cibo standardizzato richiesto dall’agroalimentare.
La ricerca pubblica è largamente finanziata da privati e quindi anche questa si muove verso l’omologazione.

Nell’economia globalizzata non c’è il rischio di appiattire la percezione dei gusti e ridurre ulteriormente la biodiversità?

Cibi tradizionali come miglio e sorgo, che hanno proprietà nutritive interessanti, sono completamente scomparsi dalle filiere. Si pensi poi che il 99% del mercato delle banane è rappresentato da una sola varietà (la Cavendish, N.d.R.) e che quello delle patate non è messo molto meglio. Il 60% delle calorie viene da frumento, mais e riso, tre specie che hanno sofferto più delle altre della riduzione di biodiversità. Alla moltitudine di nomi di varietà non corrisponde una altrettanto ampia diversità, con i risultati evidenti sull’impoverimento della dieta.

Possiamo trarre un qualche insegnamento dalla pandemia da Coronavirus?

Diverse cose. Intanto dobbiamo smettere di cercare di controllare la natura e tornare a considerarla una cosa più grande, di cui noi stessi facciamo parte. In secondo luogo possiamo riconoscere che le formiche, le api e le termiti se la sarebbero cavata molto meglio dell’uomo: noi non siamo più capaci di solidarietà e questa pandemia potrebbe farci ripensare i nostri comportamenti. In terzo luogo ci ha insegnato quanto discorde e impreparata sia la scienza di fronte a un evento che, anche se provocato da un nuovo organismo, ha avuto molti precedenti. Queste opinioni discordanti fanno sorgere il sospetto che si nascondano degli interessi diversi da quello di dare un’informazione corretta.
Ho annusato anche tanto protagonismo che fa sorgere tanti dubbi su come in generale la scienza si pone di fronte a un pubblico che di scienza non sa nulla.
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Maggio 2020

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La crisi ambientale, sociale ed economica che viviamo oggi ha un principale colpevole: l’attuale modello agroalimentare, che espone l’intero Pianeta ai pericoli di una nuova estinzione di massa, depredando le risorse naturali, come l’acqua e la fertilità dei suoli. In questo nuovo libro, Vandana Shiva e Andre Leu presentano i risultati delle ultime ricerche scientifiche, dimostrando che un altro modello agricolo non solo è possibile, ma anche necessario, per combattere la fame, frenare i cambiamenti climatici e arginare la devastazione del Pianeta.

La questione ha anche una valenza di ordine sociale e politico. L’agricoltura industriale, basata su monocolture, pesticidi e biotecnologie, rende sempre più dipendenti e indebitati gli agricoltori consegnando i saperi, i mezzi di produzione e gli stessi semi nelle mani di poche multinazionali, con una concentrazione di potere senza precedenti nella storia.
In un testo destinato a fare storia, gli autori smontano un modello produttivo a lungo celebrato come efficiente, ma che ad uno sguardo più attento si mostra del tutto incapace ad affrontare le sfide della crisi climatica, la fame nel Sud del mondo e la malnutrizione cronica nei paesi cosiddetti sviluppati. La soluzione è nelle pratiche agricole sostenibili supportate da nuove conoscenze agronomiche in grado di valorizzare la complessità del vivente, garantire cibo sano per tutti e una nuova democrazia per il futuro del Pianeta.
 

Una vera rivoluzione oggi può e deve partire dalla produzione del cibo, un grande campo di azione dove il sistema agroalimentare globalizzato ha cancellato la biodiversità, avvelenato il suolo e reso la nostra dieta sempre più omologata e insostenibile.

Il cambio di paradigma si impone anzitutto nella produzione agricola e nella salvaguardia dell’ambiente, da cui dipende il mantenimento degli ecosistemi e della salute dell’uomo. Gli autori del libro, tra cui spiccano le figure di Vandana Shiva e Franco Berrino, tracciano un’inversione di rotta a cominciare dal nostro stile di vita: bisogna dire sì ai sistemi agricoli naturali su piccola scala, per recuperare la vitalità del cibo e garantire un accesso più democratico alle risorse della terra. E bisogna dire no all’avanzata di un modello produttivo basato sullo sfruttamento dei popoli e degli ecosistemi.
In gioco c’è la nostra salute e la sopravvivenza pacifica sul pianeta Terra.

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