La musica è un linguaggio universale, che sa parlare a popoli e culture diverse. Un linguaggio che scava in profondità, che fa vibrare l’anima, e che risuona nel nostro corpo in modo assai diverso a seconda delle frequenze utilizzate. Ma quali sono queste frequenze? Se ne fa un uso davvero consapevole?
Da sempre, la teoria musicale si occupa non solo di trovare la giusta sequenza tra le note, ma si è data delle regole anche sull’accordatura degli strumenti, stabilendo delle frequenze fisse su cui è possibile basarsi.
Per interi secoli si è discusso su quale dovesse essere la giusta frequenza su cui accordare gli strumenti, con una disputa che ha coinvolto diversi musicisti, tra cui Wagner e Verdi, e che ancora oggi continua ad animare vivaci discussioni.
Alla fine si è adottato uno standard universalmente riconosciuto: si è deciso, in modo un po’ arbitrario, che il «La» doveva corrispondere a una frequenza di 440 Hertz (Hz). Una scelta che continua a suscitare malcontento anche oggi, nel mondo della musica, ma non solo.
La musica che può far male
Ci sono stati musicisti, come i Pink Floyd, che negli anni ’70 preferirono orientarsi sui 432 Hz per assecondare una maggiore profondità del suono. E oggi ci sono terapeuti e pionieri dell’elettrobiologia, come Andrija Puharich, che, interrogandosi sugli effetti generati dal suono nella biochimica di chi ascolta, criticano la scelta dello standard a 440 Hz.
Infatti, chi ha effettuato studi sulla fisica del suono ritiene che la musica a 432 Hz sia capace di avere effetti positivi sulle nostre cellule, mentre l’esposizione alla musica calibrata sui 440 Hz potrebbe addirittura
creare delle vibrazioni distorte e non salutari per il nostro organismo.
Esistono anche diverse teorie, in parte difficilmente credibili, che gridano alla cospirazione. A sostegno di queste idee c’è l’ipotesi che l’accordatura a 440 Hz fosse stata voluta dallo stesso Hitler, per incitare il popolo alla violenza. In effetti, sappiamo che nel 1938 la Commissione acustica della radio di Berlino richiese alla British standard association di adottare la frequenza a 440 Hz per la radio tedesca. Ma forse, più che una scelta premeditata, fu semplicemente una soluzione pragmatica dovuta alla necessità di trovare uno standard universalmente accettato. Nel 1971 quest’ultima fu ulteriormente riconosciuta sul piano giuridico da una delegazione nominata dal Consiglio d’Europa. E oggi va per la maggiore.
Tuttavia, a favore dell’accordatura a 432 Hz ci sono oggi due movimenti principali, quello dello Schiller Institute, che rappresenta il mondo della musica classica e acustica, e quello iniziato da Ananda M. Bosman,
denominato AUMega Music Revolution, che rappresenta invece quanti conducono studi e ricerche in ambito spirituale ed esoterico.
La vita vibra a cicli di otto
Siamo fatti di vibrazioni. La stessa materia, lo dicono gli scienziati, non è altro che un’emanazione di energia.
Diversi studi scientifici hanno dimostrato che le onde sonore possono modificare la pressione sanguigna, il battito cardiaco, la risposta neuroendocrina o le onde cerebrali. Ma allora, perché dovremmo privilegiare
un’accordatura a 432 Hz?
«Uno dei principali motivi è che si basa sulla frequenza di vibrazione del campo magnetico terrestre, più nota come “risonanza di Schumann”» ci spiega Enzo, musicista, appassionato del rapporto tra musica e terapia. «L’obiettivo di accordare un “La” a 432 Hz sarebbe quello di ottenere dei multipli di 8 Hz, che corrispondono a tale risonanza. Il “Do”, ad esempio, dovrebbe corrispondere a 256 Hz, e cioè esattamente 32 volte 8 Hz». Secondo i suoi calcoli, la risonanza di Schumann non sarebbe in realtà di 8 Hz, ma di 7,83. Ma tale misurazione è condizionata dal raggio terrestre e da altre varianti che non la rendono costante in tutti i luoghi della Terra e in tutti i momenti, per cui anche questa è una frequenza da prendere con beneficio d’inventario.
Tutte fandonie, allora? Secondo Crotti, che ha sviluppato anche una conoscenza profonda dello yoga, ci sono altri buoni motivi per ritenere preferibile l’accordatura a 432 Hz. «Il fatto di basare le frequenze musicali sul numero 8 ha dei riferimenti scientifici precisi» dice. «Nello stato di profonda meditazione, le onde cerebrali, che stanno tra le onde alfa e le theta, corrispondono a 8 Hz. E ci sono numerosi esempi in cui il numero 8 è presente nella cultura umana, come nell’architettura, nelle tavole degli elementi chimici e non ultima nella stessa scala musicale. Le frequenze basate sul numero 8 sono collegate anche ai pianeti. Non a caso, Pitagora era solito fare riferimento alla “musica delle sfere”, prodotta dalla rotazione dei pianeti e che, guarda un po’, è un multiplo di 8 Hz. Al contrario l’accordatura a 440 Hz non ha molti riferimenti culturali e giustificazioni.
Si tratta solo di una convenzione che probabilmente si è concretata a partire dalla costruzione degli strumenti a fiato, che infatti suonano meglio se intonati in modo più acuto».
Suoni che vanno oltre il piacere
Ognuno ascolta la musica che vuole per il piacere delle proprie orecchie. Ma c’è un elemento incontrovertibile da osservare: a date frequenze corrispondono date vibrazioni, che influenzano le nostre cellule. «Ho cercato di trovare una musica che andasse oltre il piacere dell’ascolto, con delle funzioni ben precise» spiega Crotti. «Al conservatorio si insegna solo l’arte di combinare i suoni. Io ho cercato di riscoprire la musica “oggettiva”, come la chiamava Gurdjieff, la musica che veniva prodotta ai tempi di Pitagora. E che ricerca la precisione delle frequenze».
La scelta di accordare il «La» sui 432 Hz pone però alcuni problemi agli stessi musicisti di oggi: se si accorda il «La» a 432 Hz non si ottiene automaticamente un «Do» a 256 Hz, perché le frequenze della scala sono ottenute artificialmente dividendo l’ottava in parti uguali.
«Per far quadrare i conti» spiega il giovane musicista «occorrere utilizzare un’accordatura naturale, o pitagorica, quella utilizzata per la musica antica, che aveva una scarsa attitudine alla polifonia ed era derivata dagli armonici naturali e quindi dalla preminenza dell’intervallo di quinta. In seguito, con lo sviluppo di una spiccata polifonia, più o meno dai tempi di Bach, siamo arrivati al modo “temperato” di dividere la scala cromatica, un compromesso che non segue la naturale frequenza degli armonici, ma privilegia la consonanza delle terze».
Per chi vuole fare ricerca in questo ambito il campo è molto ampio, anche se ci sono alcune limitazioni, a cominciare dalla scelta delle tonalità e dagli intervalli tra le note che costringono a usare strumenti diversi. «Io utilizzo una chitarra calibrata sull’accordatura pitagorica» racconta Crotti. «Mentre per la scelta della tonalità, oltre al Nada Yoga, mi riferisco anche e soprattutto al collegamento tra frequenze, matematica, colori, note e chakra».
La predisposizione giusta
Esiste dunque una musica universale, che risuona con il tutto e fa bene all’anima? Difficile stabilirlo in modo rigoroso. «Vi sono troppe variabili» prosegue Crotti.
«Dna, misure e peso del corpo, età o sesso ci rendono ricettivi a frequenze diverse. Per non parlare di un altro importante parametro che viene poco contemplato, e cioè quello della volontà e dell’intento. Se non ci si sottopone a una terapia sonora con la giusta predisposizione gli effetti non saranno quelli desiderati.
Questo lo sapevano bene i maestri orientali del Nada Yoga: anche oggi, infatti, non indicano frequenze che
valgono in assoluto, ma note personali su cui impostare le terapie e le tonalità, che variano per ogni individuo e che possono cambiare nel corso della vita». Si tratta insomma di sperimentare il potere del suono, cercando di variare, cambiare il nostro approccio alla musica. Per chi non è musicista e si interessa solo degli aspetti terapeutici, in Italia è possibile frequentare corsi o acquistare cd musicali, con diversi approcci: dall’uso delle campane tibetane ai bagni di gong, fino all’uso degli strumenti elettronici.
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