Dentifrici: occhio all’etichetta
Denti bianchi e alito fresco sono da sempre un obiettivo ambito, a partire dagli egizi che mescolavano sale, pepe, foglie di menta e fiori di iris. La pasta dentifricia così come la conosciamo nasce però agli inizi del XX secolo, ma è solo nel secondo dopoguerra che il sapone è stato sostituito da tensioattivi industriali.
L’ultima evoluzione riguarda i dentifrici biologici, che si riconoscono dalla certificazione rilasciata da enti italiani come Aiab, Icea, Ccpb, Bioagricert, o esteri come Ecocert, Bdih, Soil association, e garantiscono un’alta percentuale di ingredienti naturali di origine vegetale ottenuti con coltivazione biologica. Si garantisce in questo modo una produzione a basso impatto ambientale, una più alta degradabilità e l’assenza di quei componenti problematici come petrolati, parabeni, Peg, triclosan…
Molti dentifrici prodotti con criteri eco-biologici inoltre sfruttano appieno le proprietà dei fitocomplessi. Dall’estrazione delle molecole biologicamente attive contenute nella pianta si ricava un set di sostanze presenti in concentrazione singola molto bassa, ma con un’attività sinergica spiccata. Caratteristiche che le rendono meno aggressive e con minori probabilità di sviluppare effetti collaterali o fenomeni di assuefazione.
Se una volta si chiedeva al dentifricio solo di togliere i residui di cibo e lasciare un alito gradevole, oggi le sostanze presenti vanno ben oltre la rimozione della carica batterica: protezione della gengiva e dello smalto del dente, prevenzione della carie ed eliminazione di macchie antiestetiche. Per ottenere questi risultati, generalmente un tubetto di dentifricio oggi è preparato principalmente con abrasivi (dal 20 al 40%), sostanze ad azione umettante, lubrificante e conservante (dal 20 al 30%), una piccola parte di detergenti (non più dell’1-2%) e infine una lunga serie di ingredienti con proprietà leganti, addensanti, coloranti, astringenti e aromatizzanti (1-2% circa).
Vediamo ora le funzioni e le principali caratteristiche dei singoli gruppi di ingredienti.
Abrasivi
Gli abrasivi svolgono una doppia funzione: da un lato devono concorrere alla pulizia della superficie dentaria, dall’altro contribuiscono in modo attivo alla struttura e alla viscosità del prodotto. La durezza dell’abrasivo, la sua concentrazione all’interno della formulazione, la dimensione e la forma più o meno scabrosa delle sue particelle rendono il prodotto più o meno aggressivo. Uno sguardo all’elenco degli ingredienti o Inci (International nomenclature of cosmetic ingredients) riportato per legge sulla confezione in ordine decrescente (sino all’1% di concentrazione, al di sotto sono in ordine casuale) ci permette di capire quanti e quali abrasivi siano stati inseriti. I più comuni sono il biossido di silicio (silica), calcio carbonato (calcium carbonate), idrossido di alluminio (aluminum hydroxide), dicalcio fosfato diidrato (dicalcium phosphate dihydrate).
Umettanti
Gli umettanti svolgono un ruolo centrale: non solo impediscono l’essiccazione del prodotto e contribuiscono a conservarlo, ma costituiscono le fondamenta su cui creare il dentifricio e partecipano attivamente alla sua gradevolezza. Sorbitolo (sorbitol), glicerina (glycerin), glicole propilenico (propylene glycol): sono questi gli umettanti più utilizzati, e quest’ultimo componente non deve essere confuso con il glicole etilenico, noto antigelo, che è stato protagonista, non molto tempo fa, di un tentativo di adulterazione di alcuni dentifrici. È comunque un ingrediente che deriva dal petrolio, quindi da fonte non rinnovabile, che l’Environmental working group, nota associazione ambientalista americana, ha accusato di poter provocare irritazioni e sensibilizzazioni, anche perché solubilizza i grassi della cute. Il costo molto basso ne fa comunque un ingrediente molto apprezzato dall’industria cosmetica.
Correttori
Per migliorare la gradevolezza alla vista e al gusto vengono introdotte sostanze che fungono da correttori: dolcificanti come la saccarina (saccharin), opacizzanti come il biossido di titanio (titanium dioxide – Ci 77891) e coloranti di uso alimentare. L’utilità dei coloranti è ovviamente discutibile: servono solo a migliorare l’appeal del prodotto. Si riconoscono dalla sigla C. I. (Colour Index) seguita da un numero: sono tantissimi, alcuni naturali, altri no, alcuni possono scatenare allergie, altri possono essere difficili da smaltire o pericolosi per gli organismi acquatici. Al fine di correggere il pH del prodotto, vengono introdotti dei correttori specifici come monosodio fostato (sodium phosphate), trisodio fosfato (trisodium phosphate), sodio idrossido (sodium hydroxide). I fosfati non servono solo a tamponare il pH ma anche a rallentare la formazione del tartaro sequestrando gli ioni di calcio e magnesio.
Addensanti
Gli addensanti donano alla formulazione il livello di viscosità ottimale per una buona applicazione sullo spazzolino e una buona stendibilità, prevengono la sedimentazione delle polveri abrasive, regolano la quantità di schiuma prodotta e la liberazione dell’aroma. Tra gli addensanti possiamo citare i composti inorganici, come le silici addensanti (silica), e i composti organici come la sodio carbossimetil cellulosa (cellulose gum), la gomma xantana (xanthan gum), l’idrossietil cellulosa (hydroxyethyl cellulose). Tra gli addensanti più comuni nei dentifrici convenzionali troviamo anche i polietilenglicoli (molecole contenenti al loro interno diverse componenti polietossilate) che svolgono la funzione di strutturanti della formulazione. In etichetta si riconoscono per la scritta PEG seguita da un numero (7, 40, 200 e molti altri), che definisce la lunghezza della molecola e quindi la fluidità della sostanza. Più il numero è basso e più è liquido; più è alto e più è viscoso. Sono polimeri ottenuti a partire dall’ossido di etilene, di chiara derivazione petrolifera e possono essere contaminati da una molecola pericolosa come il diossano, cioè un sottoprodotto dell’ossido di etilene. L’americana Epa (Environmental protection agency), e la Fda (Food and drug administration), più o meno l’equivalente americano del nostro Istituto superiore di sanità, hanno riconosciuto il diossano «agente cancerogeno», mentre è sospettato di essere tossico, anche a livello respiratorio, e neurotossico per i bambini.
Conservanti
I conservanti più utilizzati nei dentifrici sono i parabeni (butylparaben,ethylparaben, methylparaben, propylparaben ecc.), una famiglia di sostanze fra le più discusse perché hanno un’attività simile a quella degli ormoni. Possono cioè essere letti dal nostro organismo come fossero estrogeni e questo potrebbe interferire con l’attività ormonale. Naturalmente le quantità presenti in un tubetto sono molto basse (0,8% massimo1), ma i parabeni sono i conservanti più diffusi nei cosmetici e la nostra esposizione ne risulta quindi moltiplicata. Fra i conservanti utilizzati nei dentifrici ci sono anche alcuni cessori di formaldeide come Imidazolidinyl urea, Diazolidinyl urea, Benzylhemiformal, Sodium hydroxymethyl glycinate. Sono sostanze che decomponendosi rilasciano piccole quantità di formaldeide, una sostanza allergizzante che in dosi massicce può risultare cancerogena.
Tensioattivi
Hanno la funzione di creare schiuma, dissolvere o disperdere gli aromi non solubili in acqua, concorrere detergere il dente allontanando i residui di cibo. In genere i tensioattivi più utilizzati nelle paste dentifricie sono: sodio lauril solfato (sodium lauryl sulfate) e betaine (lauramidopropyl betaine); queste ultime sono più frequenti nei prodotti ecobiologici. Il sodium lauryl sulfate è stato accusato per anni di provocare il cancro, l’accusa era infondata ma è comunque un ingrediente aggressivo e irritante sulla pelle e sulle mucose. La pelle dopo il suo passaggio non è solo sgrassata ma ha un pH alcalino e occorrono in genere dalle quattro alle dodici ore per ripristinare l’equilibrio. Naturalmente molto dipende da come è formulato il dentifricio: accoppiato a un altro tensioattivo o ad altri ingredienti che ne tamponano l’aggressività diventa molto più tollerabile.
Il fluoro e gli altri ingredienti funzionali
Fra gli anticarie il posto d’onore spetta sicuramente ai principi attivi fluorurati e in particolare al fluoruro di sodio. È una sostanza che viene inattivata se all’interno del dentifricio viene utilizzato il carbonato di calcio (calcium carbonate). In alternativa si usa il sodio monofluoro fosfato (sodium monofluorophosphate), compatibile con la maggioranza degli abrasivi utilizzati. La presenza del fluoro è sempre stata fonte di discussione, perché se presente in eccesso può accumularsi nelle ossa e renderle più fragili. Il problema è particolarmente sentito nei bambini: ecco perché dal 19 marzo 2009 i dentifrici contenenti tra 0,1% e 0,15% di fluoruro, se non recano l’indicazione che il prodotto è destinato ai soli adulti, devono riportare sulle confezioni l’avvertenza: «Bambini fino a 6 anni: utilizzare una piccola quantità di dentifricio sotto la supervisione di un adulto per ridurre al minimo l’ingerimento. In caso di assunzione di fluoruro da altre fonti consultare il dentista o il medico». Nitrato di potassio (potassium nitrate) e citrato di potassio (potassium citrate) servono invece a ridurre la sensibilità. Gli agenti antitartaro sono i pirofosfati di sodio e potassio (disodium pyrophosphate), mentre clorexidina (chlorhexidine) e sali di zinco funzionano bene contro la placca.
Antitartaro e antiplacca
Tra gli agenti antitartaro presenti all’interno della pasta dentifricia la parte del leone la fanno i pirofosfati: si tratta di sali sodici e potassici. I primi sono in genere poco solubili, mentre i sali di potassio sono molto salati, così in genere si ricorre a una miscela dei due per modulare solubilità e gusto. E gli antiplacca? In questo caso ci si riferisce a ioni metallici o a composti organici. I primi sono costituiti da sali solubili di zinco, rame e stagno, per esempio lo zinco citrato (zinc citrate), lo stagno fluoruro (stannous fluoride), il pirofosfato di stagno (stannous pyrophosphate). Tra i composti organici si può citare la clorexidina digluconato (chlorhexidine digluconate) che però dona un sapore amaro al prodotto e può causare una colorazione dello smalto.
Altro composto organico utilizzato come antiplacca è il triclosan (triclosan) che, associato a ioni metallici di zinco, ha dato buoni risultati nella riduzione della placca. È anche un antibatterico. Il suo impiego è consentito a una concentrazione molto bassa perché è un ingrediente su cui si concentrano alcuni dubbi. Di accertato in questo momento c’è solo il suo potere allergenico e la sua capacità di accumularsi nei tessuti e anche nel latte materno. Si tratta di un ingrediente decisamente poco rassicurante, visto che la sua composizione chimica è simile a quella della diossina: è infatti un derivato clorurato del fenolo, e la diossina potrebbe anche svilupparsi nei processi produttivi o durante lo smaltimento.
È vero che nei cosmetici e nei detergenti il triclosan è presente in quantità molto basse (la legge ammette al massimo lo 0,3%2), ma è altrettanto vero che è molto diffuso, per esempio nei detergenti per la casa. Non è un caso che un altro elemento di preoccupazione sia legato proprio alla sua diffusione, che nel tempo potrebbe dare origine a ceppi di batteri resistenti agli antibiotici più comuni. La Comunità europea, però, attraverso l’SSC (Scientific Steering Committee) tranquillizza dicendo che «è utilizzato da 35 anni con sicurezza in molti prodotti». Nonostante questo, molti produttori si sono impegnati a eliminarlo, e per questo andrebbero premiati.
Continuando il nostro giro di orizzonte sulle proprietà vantate dai dentifrici, dobbiamo concentrarci sulle sostanze in grado di donare al prodotto delle proprietà desensibilizzanti. Tra questi potremmo trovare sostanze come il cloruro di stronzio (strontium chloride), molecola che per prima è stata utilizzata a questo scopo e che dona un sapore salato al prodotto ed è incompatibile con i sali di fluoro introdotti nella preparazione; per ovviare a questi inconvenienti si ricorre all’acetato di stronzio (strontium acetate). Tra gli agenti più utilizzati vi sono i sali di potassio (cloruri, nitrati e citrati), che non alterano significativamente il sapore della preparazione e sono compatibili con i composti fluorurati.
Aroma
È grazie agli aromi che lavarsi i denti non è solo un dovere ma diventa spesso un piacere. Si tratta quasi sempre di essenze fresche come menta, mentolo, eucaliptolo, anetolo, eugenolo, L. carvone, che nel caso dei dentifrici biologici sono ovviamente estratti direttamente dalle piante. Naturali o sintetiche, le profumazioni possono scatenare allergie; ecco perché devono sempre essere indicati gli allergeni quando siano presenti a una concentrazione superiore allo 0,001%.
Note:
1. Legge 713/86, n. 12, allegato V, sezione prima, parte prima.
2. Legge 713/86 n. 25, allegato V, sezione prima, parte prima.
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