Dichiarazione di interdipendenza
La crisi economica ormai strutturale, lo sgretolamento delle organizzazioni politiche tradizionali, lo svuotamento dell’attuale modello familiare, il riscaldamento globale, la crescita delle disuguaglianze e della disoccupazione, il proliferare delle mafie e della corruzione… sono gli ultimi colpi di coda di un modello di pensiero e di società ormai fallimentare. Proprio per questo diventano preziosi stimoli come quelli offerti dal nutrito gruppo di intellettuali che ha redatto il Manifesto convivialista. Dichiarazione di interdipendenza (pubblicato in Italia da ETS), tra i cui firmatari troviamo Edgar Morin, Serge Lathouce, Elena Pulcini e Francesco Fistetti.
Quattro i pilastri fondanti:
– il principio di comune umanità: esiste una sola umanità, al di là delle differenze di colore della pelle, nazionalità, genere, censo;
– il principio di comune socialità: la più grande ricchezza dell’umanità sono i rapporti sociali;
– il principio di individuazione: permettere a ognuno di sviluppare la “propria singolare individualità in divenire”;
– il principio di opposizione controllata: consentire agli esseri umani di differenziarsi, accettando e controllando il conflitto.
Cardine centrale del Manifesto convivialista (www.lesconvivialistes.fr) è la “dichiarazione di interdipendenza” che mette al centro il capitale relazionale al posto del capitale finanziario. Una presa di posizione che avvicina in modo inaspettato la visione convivialista al buddhismo impegnato di Thich Nhat Hanh, fondatore dell’Ordine dell’interessere, il cui fulcro è proprio il riconoscimento della profonda interdipendenza che lega tutti gli esseri viventi.
Il modello proposto dai convivialisti non è una semplice riproposizione della decrescita, ma piuttosto di una società post-crescita, basata su una più equa distribuzione delle risorse attraverso l’adozione di un salario minimo e di una soglia massima per i profitti, l’uso di nuove tecnologie al servizio della “transizione ecologica”, la trasformazione delle reti telematiche in beni comuni così come dovrebbe essere per l’acqua. Una sorta di bem vivir a crescita zero, basato su un profondo rispetto per la Natura secondo la logica del dono e della reciprocità, un rispetto da applicare soprattutto nei confronti degli animali, che “non devono più essere considerati come materiale industriale”.
Su queste basi, si augurano i convivialisti, “sarà possibile influenzare radicalmente i giochi politici e sviluppare tutta la creatività per inventare altre maniere di vivere, produrre, giocare, amare, pensare o sognare” .
Un augurio che ci sentiamo di condividere e sostenere e che allarghiamo a tutti i nostri lettori.
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