Se dico «grani antichi» ti verrà subito in mente un pane casalingo super integrale, appoggiato su un vecchio tavolo in legno massello di un qualche casolare di campagna. Mai penseresti che quelle farine così speciali, macinate a pietra, ricche di aroma e di sapore, possano servire per realizzare torte, paste, dolci e pasticcini.
l frumento non è solo l’elemento di base dei nostri pasti principali in chiave mediterranea, è anche l’ingrediente principale di molti dei nostri peccati di gola. Hai mai pensato alle tonnellate di farina che si usano ogni giorno per imbandire le vetrine di bar e pasticcerie? Anche nelle più fini ricette l’ossatura dei nostri dessert è prevalentemente costituita dal glutine di farine più o meno forti, generalmente raffinate, che servono perlopiù a fare da impalcatura alla grande abbondanza di zuccheri, gelatinee grassi cremosi usati nell’arte dolciaria.
Perché allora non utilizzare farine più gustose e salutari, e dare man forte a chi coltiva il grano con amore? Ma soprattutto qual è il risultato se si utilizzano farine più corpose, complete di crusca e germe di grano? Pensate davvero di perdere qualcosa rinunciando alla famigerata 00? Per alcuni decenni l’industria alimentare ha cercato di convincerci che le farine migliori fossero quelle più bianche, più prestanti. Dalla pizza acrobatica al pane bianco che più bianco non si può, il criterio è sempre stato quello delle caratteristiche tecniche della farina «di forza», la farina che rende, a prescindere dal gusto e dalla sua digeribilità. Grani e farine che possono subire veloci lavorazioni meccaniche, per trasformazioni ultra veloci, giochi di prestigio che di fatto cancellano il legame con i semi coltivati da secoli nei nostri campi.
Il modello industriale dei grandi trasformatori ha modificato le nostre abitudini alimentari. Nei forni, in pasticceria, nella ristorazione lo scollamento tra chi il grano lo produce e chi lo consuma si è divaricato ulteriormente. Si sono imposte le farine di forza come la Manitoba, di provenienza canadese, o di grani comunque lontani dagli orizzonti della nostra agricoltura e dalla nostra cultura alimentare.
In realtà, e lo abbiamo provato con le nostre papille gustative, anche le farine di grani antichi macinate a pietra, coltivate ormai in molti angoli d’Italia, possono coniugarsi a questi usi più voluttuari e fare da ingrediente principale a croissant e pasticcini.
Abbiamo incontrato un professionista della ristorazione che ha deciso di calcare questa strada, seguendo da vicino la riscoperta dei grani antichi operata da agricoltori, ricercatori e genetisti d’avanguardia.
Grani deboli, scelte forti
Siamo sicuri che la scelta delle farine forti e super raffinate sia sempre quella migliore? Gabriele Cini, da sempre impegnato nel mondo della formazione professionale, oltre che in cucina, ha un’altra opinione. «Chi ha solide nozioni di chimica alimentare in realtà dovrebbe sapere che la debolezza del glutine in pasticceria diventa addirittura un vantaggio, poiché permette una resa migliore» ci dice. «Pasta sfoglia, pan di Spagna, pasta frolla sono tutti prodotti che possiamo reinventare con l’utilizzo di queste farine più deboli, con vantaggi evidenti per il gusto e la salute. Con le giuste conoscenze possiamo poi anche semplificare alcune procedure».
Gabriele Cini è un maestro pasticcere sui generis, aperto e ricettivo di fronte alle novità, rigoroso e metodico in laboratorio. Da diversi anni ha dato il via alla riscoperta del gelato rinascimentale e si è impegnato a valorizzare la produzione di prodotti con l’uso della pasta madre. Ha raccolto subito la sfida dei grani antichi con grande serietà, senza mai cedere ai fanatismi e ai facili entusiasmi delle mode del momento.
Quando per la prima volta gli abbiamo parlato di queste varietà della tradizione contadina indicandogli alcuni molitori di qualità, si è subito rimboccato le maniche, riuscendo a cogliere dei punti di forza poco considerati da chi non è del mestiere. Prima ancora che fare il pane, in pratica, dovremmo provare queste farine per fare dei dolci. Anche il vantaggio in termini di salute può essere sorprendente. «Oggi il problema delle intolleranze al glutine accomuna sempre più persone» ci spiega Cini. «Le persone stanno attente al pane e alla pasta, ma non sanno che quando mangiano della pasta sfoglia vanno incontro a un pericolo maggiore, poiché mangia del glutine che non ha subito nessun tipo di fermentazione acido-lattica».
Fiorentino doc, dopo varie esperienze professionali, Gabriele Cini si è trasferito in Versilia dove ha iniziato a fare corsi di cucina e a collaborare con i migliori alberghi, utilizzando progressivamente farine di grani antichi prodotti in loco, senza mai cedere agli estremismi. «Se anche solo nel periodo estivo riuscissimo a servire gli alberghi della Versilia con una percentuale di farine autoctone nelle brioches faremmo una vera rivoluzione» mi disse allora, ma era solo l’inizio perché nel frattempo stava esplodendo una vera passione per i grani antichi. Il suo non può però definirsi un semplice colpo di fulmine. Uomo pragmatico, e rigoroso, è infatti sempre stato attento a non discostarsi mai troppo rispetto al gusto e più in generale all’estetica formale della tradizione. E così ha cominciato a sperimentare e sfornare prelibatezze, senza mai tralasciare l’importanza della prova. Del resto in forno e in pasticceria contano i risultati: il pane deve essere ben lievitato, la sfoglia morbida, le creme vellutate.
In questo senso il nostro mastro pasticcere, che opera all’insegna della grande pasticcera artigianale italiana, si discosta molto da chi propone di stravolgere i gusti in nome di una ritrovata rusticità e semplificazione del cibo in chiave salutista. Ma al contempo la sua ricerca guarda con maggiore rispetto agli aspetti salutistici, agli equilibri climatici e a un consumo delle risorse ridotto. Ecco che è nata l’idea di raccogliere tutte le ricette in un libro con Terra Nuova, che è stato adottato al corso di pasticceria della Scuola di Alta Cucina Cordon Bleu, di Firenze.
Pasta madre e metodi naturali
A ben vedere i grani antichi per Cini non sono che il punto di arrivo di un percorso già tracciato nel solco della pasta madre, che ha sempre utilizzato con grande maestria nel proprio percorso professionale. D’altra parte dobbiamo riconoscere che se per lunghi secoli il glutine non è stato un grosso problema, è perché ci siamo sempre occupati di fermentare l’impasto con le lunghe lievitazioni e la pasta madre ha fatto da padrona.
L’ingresso del lievito di birra industriale ha semplificato tempi e metodi per chi lavora in cucina, ma i risultati non sono per niente positivi. «Molti operatori del settore sono erroneamente convinti che per fare un impasto sano sia sufficiente giocare sui tempi lunghi di lievitazione con farine ricche di glutine e piccole quantità di lievito di birra» sostiene Cini. «In realtà bisogna comprendere che i saccaromiceti presenti nel lievito di birra sono dei miceti e quindi, un qualcosa di molto diverso rispetto ai batteri lattici presenti nella pasta madre acida. I miceti sono capaci solo in parte di ridurre i disaccaridi presenti nelle farine trasformandoli in monosaccaridi, come il maltosio, per renderli digeribili e assimilabili dal nostro organismo.
Questa trasformazione è invece molto più completa con l’utilizzo di lievito madre. In quest’ultimo caso l’impasto subisce infatti una vera trasformazione ad opera della fermentazione lattica che migliora la digeribilità e la biodisponibilità di tutti i nutrienti. Il lievito di birra al contrario contiene saccaromiceti che attivano unicamente una fermentazione alcolica, con una conseguente produzione di CO2 per una vigorosa e rapida lievitazione dell’impasto, lasciando pressoché intatto il glutine, l’acido fitico contenuto nelle crusche e gli altri antinutrienti».
Nonostante l’approccio possa sembrare molto ferreo, in realtà la proposta del nostro pasticcere non è affatto talebana. «Nel libro ho voluto dimostrare che ogni professionista e appassionato può cominciare a rendere i propri prodotti più sani procedendo prudentemente e per gradi verso un cambiamento del ciclo produttivo. All’inizio si potrà continuare a utilizzare le farine convenzionali utilizzate abitualmente, ma in proporzione diversa, introducendo percentuali sempre più importanti di farine di grani antichi, biologiche, macinate a pietra e comunque di provenienza locale. In questo modo ci incammineremo verso una produzione realmente sostenibile per l’ambiente e per il mantenimento di un buon stato di salute».
I tempi e la riduzione degli zuccheri
La fretta in cucina è sempre un nemico, ma al contrario di quanto si possa pensare i grani antichi offrono del vantaggi, perché necessitano di lievitazioni più brevi. «Chi ha bisogno di accorciare i tempi può seguire alcune procedure semplici ed alternative» suggerisce infatti Cini. «Il procedimento dell’autolisi, ad esempio, che consiste nell’impastare la sola farina con acqua, attendendo la formazione della maglia glutinica, prima di inserire i lieviti, è una buona strategia in tal senso». Ma uno dei risultati più ragguardevoli della scelta di utilizzare i grani antichi è la possibilità concreta di ridurre il quantitativo di zuccheri aggiunti, senza che i clienti o i commensali se ne accorgano. «In alcune ricette tradizionali, grazie all’utilizzo di farine di grani antichi, sono riuscito a ridurre la quantità di zucchero circa del 15% senza cambiare di una virgola il gusto finale» spiega Cini. «Queste farine, oltre a contenere il germe di grano e un maggior numero di micronutrienti sono infatti più ricche di sostanze aromatiche e di sapore. Ogni operatore del settore può dunque continuare ad utilizzare il medesimo sistema produttivo e le medesime ricette che usa di consueto, semplicemente intervenendo sulla quantità di zucchero. Una riduzione che va a beneficio dell’organismo soprattutto per quanto riguarda il contenimento dell’indice glicemico e i problemi di salute ad esso connessi».
Panettoni, colombe, bigné, torte, cantuccini, bomboloni, brioches… Cini ci insegna a reinterpretare la nostra grande tradizione dolciaria senza sensi di colpa, allargando poi le ricette ai semifreddi e ad altri impasti e prodotti da forno, come pane, pizze e focacce. Il tutto con soli ingredienti naturali, e risultati sorprendenti, anche dal punto di vista estetico oltre che del gusto. Provare per credere. Senza esagerare, mi raccomando!
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IL LIBRO
Questo libro è il risultato di anni di ricerca e sperimentazione sull’
utilizzo di ingredienti naturali di qualità nella pasticceria professionale. L’autore dimostra che le
farine ottenute da grani antichi, autoctoni e a km 0, possono sostituire le
farine raffinate ed eccessivamente ricche di glutine oggi diffuse nell’
industria alimentare.
Il volume si divide in cinque capitoli, che mettono al centro l’impiego di
farine macinate a pietra. Il primo contiene
oltre 30 ricette, sia dolci che salate: dalla pasta sfoglia alla frolla, dagli impasti base per torte di mele, paradiso e plumcake ai dolci delle grandi feste, come panettoni, pandori e colombe pasquali; non possono mancare gli impasti per la prima colazione (brioches e croissants) e quelli per panini al latte, pizza, pane e grissini. Il secondo capitolo è invece dedicato alle ricette complementari (crema bavarese, chantilly, caramel, impasti per frolla salata, strudel, cenci, ricciarelli…); il terzo contiene indicazioni per produrre diversi tipi di pasta fresca. Chiudono il volume una sezione dedicata alle ricette di semifreddi e alcune considerazioni sulle tecniche di cottura.
Il lavoro di Gabriele Cini concilia quindi due esigenze importanti: la produzione di
cibo di alta qualità e la diffusione di prodotti alimentari sani per il consumatore.
Per questi motivi, e perché affronta in modo innovativo temi cari alla nostra ricca
cultura enogastronomica, questo libro è già stato inserito nelle bibliografie dei corsi universitari e professionali di arti culinarie. Le ricette sono rivolte innanzitutto a pasticceri e panettieri professionisti, ma anche semplici appassionati di pasticceria e panificazione possono trovare indicazioni utili per la
produzione casalinga.
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