Oggi che siamo alle soglie di un disastro ecologico planetario occorre una nuova impresa monastica laica, ritrovare una cultura del rispetto della terra, provvedere a una nuova bonifica dei terreni agricoli, questa volta non dalle paludi, ma dai veleni che hanno distrutto l’humus e trasformato il panorama agricolo in un deserto, una bonifica delle acque, del mare e dell’aria, una bonifica della cultura consumistica.
Il monastero ha avuto il compito di portare la terra a essere vitale, a portare la vita. Oggi la terra è morta, ma abbiamo la promessa di una terra viva, una nuova terra promessa.
La terra deve essere rispettata, deve poter respirare, e ha bisogno di riposo (sovescio, rotazioni delle colture), di equilibrio, di armonia. Non è un’utopia, perché, come insegnava Gandhi: «Sulla terra c’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti, ma non per soddisfare l’avidità di pochi».
Il bisogno di appartenenza
Il bisogno fondamentale di appartenenza al gruppo, lo stesso che ha condotto alle esperienze di gestione tribale collaborativa della terra, si esprime oggi nella condivisione del consumo di cibo spazzatura e dell’acquisto di oggetti inutili. Abbiamo gli stessi geni che nel paleolitico favorivano l’appartenenza alla tribù, l’adeguarsi alle regole sociali della tribù.
Oggi che, come ha spiegato Zygmunt Bauman, ci siamo trasformati da produttori a consumatori, le multinazionali approfittano dei geni dell’appartenenza al gruppo sociale per creare tribù artificiali e convogliarne gli impulsi al consumo. Sradicati dall’autoconsumo, dal consumo di cibi autoprodotti, siamo tribù di consumatori ignavi, schiavi della pubblicità. Assistiamo già, però, a strategie tribali alternative, legate al biologico, alla filiera corta, ai mercati contadini, agli orti condivisi, a forme di agricoltura sostenute dalla comunità, ai gruppi di acquisto solidali, alle vendite dirette nelle fattorie, all’autoproduzione, agli ecovillaggi, alla decrescita.
L’industria alimentare e l’industria farmaceutica cercano di inseguire queste mode salutistiche pubblicizzando il miraggio di un benessere individuale che ci darebbero i cibi funzionali e gli integratori, ma intanto si sta sviluppando una moda tribale consapevole, ispirata al benessere collettivo e del Pianeta, a un’economia in cui la domanda condizioni l’offerta, e non ne sia schiava, al rispetto della natura e del lavoro dell’uomo, in primis del contadino, un tempo grande conoscitore della natura, oggi esecutore ignorante delle istruzioni dell’industria chimica.
Il compito di La Grande Via è aiutare le persone a sviluppare consapevolezza del cibo, della vita, della natura, del Pianeta, a riscoprire la loro vera natura, che il loro stesso corpo è in simbiosi con la natura, che la terra morta, il cibo morto, smussano la nostra intelligenza, drogano i nostri sensi, che la babele informativa e pubblicitaria avvelena la nostra mente, ci distoglie da una visione pura, di cui siamo pur capaci, ma abbiamo bisogno di un aiuto. Il compito di La Grande Via è aiutare le persone a entrare nella «terra promessa», ad avere coraggio, il coraggio di essere consapevoli, di scegliere, di disobbedire (“L’obbedienza non è più una virtù”, diceva Don Milani), di rifiutare l’arroganza, propria e altrui. C’è anche l’arroganza dell’ignavia, del «me ne frego», del «non è roba mia». C’è poi l’arroganza della burocrazia, del non prendersi responsabilità, della legge che è da applicare anche quando applicarla è ignobile.[…]
La consapevolezza che parte dal cibo
Oggi, gran parte dell’umanità vive in gabbie dove trova cibo e soddisfazione ai bisogni materiali senza doversi ingegnare per cavarsela nell’ambiente naturale, senza doversi muovere, senza bisogno di pensare a cosa è meglio fare o mangiare, perché la pubblicità pensa per noi, senza fantasia, perché il bisogno di viaggiare con la mente, di rêverie, è tacitato dalla televisione. Anche ai bambini la pedagogia postmoderna non lascia il tempo di sognare. Il mondo è sempre più virtuale, la natura ci giunge prevalentemente attraverso il video, senza pericoli, senza il problema di trovare la strada, di orientarsi, di non perdersi, senza la necessità di lavori creativi. È probabile che questa vita virtuale non promuova la plasticità cerebrale, o la promuova in modo diverso, in un modo che non ci sarà utile nel mondo reale.
Il cibo è qualcosa che non abbiamo più bisogno di coltivare o cacciare, non abbiamo bisogno neanche di sapere cosa c’è veramente dentro, purché la data di scadenza sia rispettata. Nella tradizione yogica, mangiando cibi veri ci appropriamo dell’energia del cosmo, del Prana. Nella tradizione taoista ci nutriamo del Qi degli alimenti freschi. Masticando estraiamo il Qi degli alimenti e ne consentiamo l’assorbimento. Ma non c’è più Qi nel cibo morto. Mangiamo dunque cibo vero, non trasformazioni industriali del cibo, perché il cibo veicola informazioni sottili che ci modificano. Anche l’energia di chi cucina il cibo, il suo stato d’animo, si trasferisce a chi lo mangia.
Nel primo monachesimo cenobitico, sin dai tempi di Pacomio, quando i monaci digiunavano due giorni alla settimana e combattevano la quotidiana battaglia della tentazione della gola, il luogo della produzione del pane, la cucina, era un luogo sacro del monastero, dove si rispettavano le regole di reperimento, di preparazione e di distribuzione del cibo: «Ciascuno consideri sua natura e dia al suo corpo la necessità sua acciocché possa servire allo spirito» (dalla Legenda trium sociorum).
Ancora oggi in molti monasteri si mangia in silenzio, in presenza mentale, fino a quando una campana segnala che si può conversare. Nei monasteri buddisti il Tenzo, maestro di discernimento, aiuta, attraverso la preparazione del cibo, a cercare la Via, il cammino della perfezione. Prima di iniziare a mangiare si recitano le Cinque Contemplazioni: «Riflettiamo sugli sforzi grazie ai quali questo cibo è giunto fino a noi, su chi l’ha coltivato, chi l’ha raccolto, sul Tenzo che l’ha cucinato con dedizione; rendiamoci degni di ricevere questo cibo consumandolo in piena consapevolezza e con gratitudine; riconosciamo la nostra avidità e mangiamo con moderazione; manteniamo viva in noi la compassione, mangiamo in modo da ridurre la sofferenza degli esseri viventi e del Pianeta; godiamo di ogni boccone e coltiviamo la fratellanza».
Anche nella tradizione cristiana, prima di mangiare, si ringrazia. Ringraziamo l’angelo della terra, l’angelo dell’acqua, l’angelo dell’aria e l’angelo del fuoco che hanno permesso al cibo di giungere sulla nostra tavola (O. M. Aïvanhov, Lo yoga dell’alimentazione).
Mangiamo troppo e sprechiamo troppo. Nella tradizione buddista è importante che il Tenzo si assicuri che il cibo non venga sprecato, riutilizzando gli avanzi con gratitudine per preparare nuovi piatti. La moderazione è importante in tutte le tradizioni. Nei monasteri buddisti non si mangia dopo mezzogiorno (solo una tazza di tè tibetano, con burro e farina d’orzo, nel pomeriggio). Nella tradizione Sufi si dice: «Sappi che, quando sei affamato, il cibo non ha effetti negativi, ma se tu mangi quando sei sazio quel cibo mangia il tuo cuore e il tuo fegato» (Yusuf Gada). […]
Il degrado del sistema terra causato dall’uomo è cresciuto drammaticamente senza che la maggior parte della gente se ne rendesse conto. Ora i disastri climatici sono evidenti e ci avvisano che la minaccia sarà sempre più grave. Dagli anni ’50 la popolazione mondiale è triplicata, l’emissione di CO2 è più che raddoppiata, il consumo di acqua è triplicato e triplicata è anche la popolazione che non ha accesso ad acqua potabile, il consumo di energia è quintuplicato, il consumo di fertilizzanti è decuplicato, la predazione ittica è triplicata, la biodiversità si è dimezzata e la temperatura del pianeta è aumentata di 0,5 gradi centigradi. Il potere politico si è dimostrato incapace di affrontare la situazione. Dovremo fare da soli, aumentare la consapevolezza che la responsabilità è anche nostra e che il potere di cambiare è anche nostro. Il sogno della terra promessa è possibile. Dobbiamo solo svegliarci.
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Articolo tratto dalla rubrica
La guida nomade
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Le nostre diete sono sempre più povere, esauriscono le risorse e uccidono il significato profondo del cibo, ridotto a carburante o a esibizione nei cooking show. Serve uno scatto di consapevolezza.
Ecco che insieme a grandi esperti come il dottor Franco Berrino e la scienziata indiana Vandana Shiva, andiamo a smascherare gli inganni del marketing, per dire addio alle monocolture e riscoprire il cibo vero. Un viaggio di andata e ritorno dal campo alla tavola, dentro i territori, tra cereali, legumi, frutti autoctoni, e le trasformazioni artigianali che valorizzano le qualità degli alimenti. Un salto nel mondo del gusto e della biodiversità, per una nuova alleanza tra buongustai, ricercatori, mugnai, cuochi, cittadini comuni e nuove avanguardie rurali.
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