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Educazione e natura, è ora di una riconnessione

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Ristabilire una relazione diretta con l’ambiente naturale intorno a noi può avere effetti estremamente positivi e recuperare questa prospettiva anche nelle scuole è un valore aggiunto che può dare risposta a un forte bisogno. Ne parliamo con il professor Giuseppe Barbiero.
Educazione e natura, è ora di una riconnessione
La natura ci manca. Il cosiddetto «deficit di natura» si fa sempre più sentire, lo vediamo intorno a noi, avvertendolo anche come senso di mancanza di vita all’aperto in contesti fortemente urbanizzati.
Dopo oltre due anni di emergenza e restrizioni, bambini, ragazzi e adulti mostrano una profonda sofferenza psichica che in parte deriva anche dall’aggravarsi della carenza di vita all’aperto e dalla carenza delle relazioni che in natura si possono instaurare.
Il problema non è solo di oggi, si trascina da tempo. Ma ora è forse emerso con maggiore evidenza. Ne parliamo con Giuseppe Barbiero, responsabile del Laboratorio di ecologia affettiva attivato presso l’Università della Valle d’Aosta e profondo sostenitore dell’educazione outdoor.
«Quanto accaduto negli ultimi due anni ha evidenziato un problema latente: la disconnessione con la Natura1 che caratterizza la nostra epoca. Ed è una disconnessione che riguarda prima di tutto gli adulti e conseguentemente i bambini» spiega Barbiero. «Molti adulti hanno dimostrato scarsa capacità di adattamento e di riflesso anche i bambini, e abbiamo registrato l’emergere di comportamenti ansiosi».

Natura, disconnessione e riconnessione

Gli effetti della disconnessione dalla natura sono ormai ben noti. È dello scrittore Richard Louv la definizione di «sindrome da carenza di natura». «Ma ora sono più interessanti gli effetti terapeutici della riconnessione con la Natura» prosegue Barbiero. «Gli effetti benefici si manifestano sia sul piano fisico, nel trattamento di alcuni tipi di malattie croniche, sia sul piano psicologico, dove questa riconnessione permette di rigenerare le proprie funzioni cognitive, in particolare la capacità di attenzione, e di recuperare dagli stati di stress».
In tutto questo, secondo Barbiero, «la scuola ha un compito importante. I bambini a scuola studiano e devono fronteggiare la fatica mentale. Sappiamo che il contatto con la Natura rigenera dalla fatica mentale e migliora la prestazione scolastica. Ci sono molte ricerche sperimentali che lo dimostrano, a partire dagli studi pionieristici di Ming Kuo dell’Università dell’Illinois. Noi, all’Università della Valle d’Aosta, abbiamo recentemente costituito il Groupe de recherche en education à l’environnement et à la nature (Green-UniVDA), per coordinare meglio una serie di competenze interdisciplinari che abbiamo sviluppato sul piano della ricerca e per trasferirle nella pratica educativa. Per questo nel direttivo di Green-UniVDA siedono due rappresentanti della Sovrintendenza agli studi della Regione Autonoma Valle d’Aosta. Stiamo cercando di colmare la distanza tra ricerca di base e applicazioni nel territorio».

Resistenza al cambiamento

Non mancano le resistenze nei confronti di questi tipi di percorsi e «i problemi che abbiamo individuato sono sostanzialmente tre: la difficoltà nell’essere perseveranti nel proporre la didattica all’aperto, la rigidità dei regolamenti delle amministrazioni scolastiche e la formazione degli insegnanti» aggiunge ancora il professor Barbiero. «Il primo problema è che la riconnessione con la Natura è un processo lento. Bisogna avere pazienza ed essere perseveranti nella proposta educativa all’aperto. Per poter assistere a un cambiamento permanente bisogna attendere dai quindici ai diciotto mesi, almeno sulla base della nostra esperienza. Il secondo problema è appunto quello della rigidità dei regolamenti amministrativi, che non contemplano attività svolte fuori dall’aula. Ancora una volta la situazione emergenziale vissuta ha evidenziato i limiti di una scuola concentrata sull’aula, proprio quando le alternative sarebbero state più che necessarie. C’è da colmare un vuoto di regolamentazione per le attività didattiche svolte all’aperto. Il terzo problema è la formazione degli insegnanti. Molti farebbero volentieri attività all’aperto, ma non sanno da dove cominciare. Noi di Green-UniVDA abbiamo sperimentato con successo la formazione di consulenti didattici, figure professionali capaci di adattare le attività didattiche ordinarie in attività condotte all’aperto. Facciamo inoltre parte del consorzio di università che ormai da anni realizza il corso di perfezionamento “Educazione e natura”, che ha prodotto il libro Educazione e Natura. Fondamenti, prospettive, possibilità2, a cui hanno contribuito molti esperti italiani dell’educazione all’aperto».

I progetti realizzati

Nel nostro paese esistono progetti e realtà che hanno cercato e cercano di portare questa nuova prospettiva nell’educazione. «Nel 2016 abbiamo realizzato la prima scuola biofila in Italia, a Gressoney-La-Trinité, comune della Valle d’Aosta. L’abbiamo monitorata per tre anni dimostrando che l’attività didattica all’aperto (outdoor) è più efficace di una didattica al chiuso (indoor) di un’aula tradizionale. Abbiamo dimostrato anche che una riqualificazione biofila (biophilic design) degli ambienti indoor migliora significativamente le prestazioni scolastiche. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica internazionale Environment Development and Sustainability. Abbiamo quindi dei modelli di scuola nella Natura che funzionano e stiamo cercando di replicarli nelle scuole rurali valdostane».
«Oltre a Gressoney-La-Trinité, abbiamo programmi nelle scuole di Jovençan, Cogne, Saint-Nicholas, Valgrisenche, Valsavarenche, Rhêmes-St-George, Rhêmes-Notre-Dame e altre scuole si aggiungeranno nel progetto di ricerca “Classi sotto il cielo” che è coordinato dal professor Fabrizio Bertolino e che si avvale di alcune brillanti pedagogiste, come la dottoressa Alice Venturella e la dottoressa Cathy Castiglioni».

Coinvolgere famiglie e comunità

In un processo di cambio della prospettiva e del paradigma educativo, c’è sempre l’auspicio di poter coinvolgere le famiglie e la comunità, ma di certo non è facile. «I figli sono il primo e più importante contatto che abbiamo con la Natura» spiega Barbiero. «La biofilia, cioè l’amore per la vita, è un tratto adattativo della nostra personalità che si è evoluto prima di tutto per rispondere efficacemente alla cura dei figli biologici. Ma se non li abbiamo, l’amore per la vita si sposta verso i figli adottivi o in affidamento oppure, più facilmente, verso gli animali domestici. Lo spostamento verso gli animali domestici è facilitato dal fatto che, in particolare cani e gatti, rispondono alle nostre esigenze e ci sollevano dalla sfida di entrare in relazione con i figli. Ciò spiega perché in Italia abbiamo meno di tre milioni di bambini sotto i cinque anni e oltre diciassette milioni di cani e gatti. E qui c’è tutto il problema irrisolto della nostra società urbanizzata con il mondo selvatico. I figli, così come il mondo del selvatico, sono caratterizzati dall’imprevedibilità e dal bisogno di libertà e il mondo degli adulti non riesce a creare spazio per questo. Ciò provoca una caduta di vitalità, una paura di generare figli, che può essere recuperata con un contatto più efficace con la Natura selvatica. Nella speranza, un giorno, di vivere in una società che rispetta e onora la crescita di bambini liberi e la prosperità di animali e piante selvatiche».
 

Note

1. Qui il termine «Natura» viene riportato con la «N» maiuscola per indicare, come spiega il professor Barbiero, «la biosfera e le matrici abiotiche (suolo, aria e acqua) dove la biosfera prospera. La lettera maiuscola, oltre a essere un gesto di rispetto nei confronti di questa entità che ci trascende come esseri umani, evita la confusione con la parola “natura”, con la “n” minuscola, intesa come qualità intrinseca di una certa creatura o di un certo fenomeno».
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Maggio 2022

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