Il pensiero bioregionalista è stato precursore di molti dei movimenti ecologisti. Abbiamo incontrato Etain e Martino che ci raccontano il loro vivere in armonia con la terra.
Etain e Martino: riabitare il territorio
Spostandoci un po’ verso sud arriviamo a Pratale, in Umbria, dove incontriamo Etain Addey e il suo compagno svizzero Martino immersi in un paesaggio collinare incontaminato, abitato da cavalli, asini, galline, pecore, colombe e molte altre creature della foresta. Etain e Martino, a differenza di Giuseppe, hanno un approccio più critico verso gli strumenti tecnologici, anche se hanno la luce elettrica, utilizzano l’email e scrivono con un computer. «Pensi che ti servano e finisci per servirli» mi ha spiegato una volta Etain.
Si è trasferita in queste colline circa 30 anni fa. «Non sei tu a scegliere un posto, è lui che sceglie te». Quando è arrivata, Etain non aveva quasi niente e non sapeva fare quasi niente. Col tempo, e grazie agli insegnamenti dei contadini locali, questa donna inglese è diventata esperta di agricoltura, cucina, allevamento di animali, mungitura, tosatura, tessitura, autoproduzione di sapone, lavaggio a mano di vestiti e chissà quali e quante altre cose. Un brutto giorno però, il terremoto le ha buttato giù la casa.
L’abitazione in cui abitano ora è fatta interamente in legno ed è stata realizzata dalle decine di persone che tutto l’anno vanno a trovarla: «Quando ti connetti con la vita e con le sue manifestazioni in un determinato territorio entri in un grande flusso e le cose o le persone arrivano al momento giusto. Quando dovevamo costruire il tetto della nostra casa, ad esempio, è arrivato in casa nostra un carpentiere. Senza che noi lo avessimo invitato. Per caso». In tutto ciò, lei è sempre riuscita a trovare il tempo per scrivere libri e articoli, portare avanti ricerche culturali e spirituali, crescere tre figli e ospitare continuamente viaggiatori.
Etain vive in prima persona un concetto cardine del bioregionalismo: «Dobbiamo riabitare il territorio» mi spiega. «Quando ti trasferisci da qualche parte non puoi imporre la tua vita e le tue vecchie abitudini. Ogni luogo, infatti, ha un’anima, una storia e soprattutto delle tradizioni e delle conoscenze fondamentali perché tu possa viverlo dignitosamente. Devi quindi imparare dagli indigeni, umani e non, ascoltando con grande umiltà, osservando e praticando. Devi essere ricettivo se vuoi riuscire a connetterti con una terra in cui non sei nato. È inutile, ad esempio, che insisti a piantare castagne da queste parti. Non crescono perché vogliono argilla e trovano sabbia! Prima di ascoltare Fukuoka o di studiare la permacultura, quindi, devi ascoltare i vicini e devi farlo con un orecchio selettivo, andandoti a cercare quelli che hanno mantenuto il rispetto per il territorio in cui vivono. I migliori sono i vecchissimi, quelli nati prima della Seconda Guerra Mondiale».
Ma solo questo, secondo Etain, non basta: «Devi prendere coscienza che qui ci sono altri esseri, oltre a te, che abitano quel territorio. Non puoi prosciugare il fiume per bagnare i tuoi campi! Devi renderti conto che quest’acqua dà da vivere a rane, serpenti, anatre selvatiche. Non puoi prendere tutta l’acqua per te. Forse farai meno salsa di pomodoro se c’è siccità. Pazienza! Mangerai un’altra cosa. Dobbiamo riacquistare una cultura del limite».
Un altro aspetto fondamentale, per Etain e per molti bioregionalisti, è la dimensione del sacro. Etain mi spiega che questa è presente in tutte le culture native del mondo e che anche i vecchi contadini avevano un innato rispetto per i vecchi alberi, le montagne, i fiumi.