Ferrovie da salvare
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di Linda Maggiori
Dai monti al mare, lungo le coste, nelle isole, le linee ferroviarie secondarie si inerpicano a congiungere ogni angolo del nostro Belpaese. Purtroppo sottoposte da decenni a uno scellerato taglio, sono difese da comitati di cittadini e pendolari, e alcune riescono a rinascere.
La storia delle ferrovie è affascinante ed emblematica. Dalla metà dell’800 si sono estese progressivamente, ramificandosi fin nelle zone più impervie, collegando borghi e villaggi, per una estensione massima di 24 mila chilometri a metà ‘900, senza contare le tranvie extraurbane. Le ferrovie erano spesso richieste «a furor di popolo» dalle popolazioni delle zone interne che vedevano nel treno l’unico mezzo pubblico a disposizione per uscire dall’isolamento. Interi paesi si mobilitavano perché il treno arrivasse anche da loro. Poi arrivarono gli anni ‘50 e la concorrenza del trasporto su gomma, sia per le merci che per i passeggeri, fu implacabile.
L’era dell’auto era iniziata. Così, da allora, per favorire le industrie automobilistiche e del cemento, si investì sullo sviluppo di strade e autostrade, a discapito delle ferrovie, che ottenevano sempre meno risorse. Moltissime linee secondarie e tranvie che collegavano i paesini interni furono via via dismesse, ferrovie che ora sarebbero estremamente utili. Parallelamente al taglio delle linee secondarie, cresceva la motorizzazione privata. Forse anche per questo, con gli anni siamo diventati il secondo paese al mondo per possesso di auto, con tutte le conseguenze a livello di inquinamento e saturazione di spazio, con circa 650 auto ogni mille abitanti. Secondo i dati di Greenpeace diffusi a settembre 2023, dal 1995 al 2018 il nostro paese ha investito il 28% in più sulle strade che sulle ferrovie (privilegiando l’Alta Velocità – AV), spendendo rispettivamente 151 e 118 miliardi di euro. Tendenza che continua in tutte le regioni.
Un bene comune da recuperare
«Le ferrovie secondarie sono un bene comune da recuperare e valorizzare, sia per ridurre l’uso dell’auto, imprescindibile per affrontare la crisi ecologica e climatica, sia per connettere le aree interne, bypassate dall’alta velocità ferroviaria e obbligate alla dipendenza dal mezzo motorizzato. Si fanno tanti progetti per le aree interne, ma non si pensa quasi mai ai trasporti pubblici, essenziali affinché questi luoghi tornino a essere abitati» spiega Stefano Maggi, professore all’Università di Siena ed esperto di storia dei territori.