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Giuseppe e la bioregione padana

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Fra le voci del mondo bioregionale, stavolta abbiamo incontrato Giuseppe Moretti, che vive nel cuore della Pianura Padana, in provincia di Mantova.
Giuseppe e la bioregione padana
Giuseppe vive nel terreno che fu del padre e che lui ha riconvertito, con pazienza e dedizione, all’agricoltura biologica, dando ampio spazio anche ad angoli di riforestazione più o meno spontanea. «Se smetti di tormentarla, la terra riprende vita persino qui, in Pianura Padana» mi ha spiegato Giuseppe mentre passeggiavamo all’interno dei suoi boschetti selvatici. Sono arrivato da lui con il mio camper i primi di ottobre e l’ho trovato intento ad arare la terra. Ho trascorso due giorni in sua compagnia e ho potuto ascoltare e apprendere moltissimo dai suoi racconti.
Il suo sguardo, umile, profondo, curioso, tranquillo, si incastona perfettamente in un viso selvatico, contornato da lunghi capelli bianchi raccolti in una coda. Una delle ispirazioni dei bioregionalisti è il pensiero dei nativi americani e Giuseppe potrebbe benissimo essere scambiato per uno di loro, se inserito nel giusto contesto.
Giuseppe definisce il bioregionalismo come «la possibilità di rinnovare la nostra cittadinanza nella Terra attraverso uno stile di vita che tenga conto della necessità e del diritto per tutti, umani e non-umani, di vivere una vita dignitosa e significativa». La connessione con le piante, gli animali, il clima e le tradizioni di un luogo è fondamentale ed inevitabile.
Con il termine bioregione si indica un’unità territoriale, dalle caratteristiche fisiche ed ecologiche omogenee. Si contestano quindi i confini geografici stabiliti a tavolino, sostenendo che gli unici confini accettabili siano quelli contraddistinti dai fiumi, dalle montagne e dalle altre conformazioni rocciose e naturali.
Parlare di bioregione nel cuore della Pianura Padana non può non richiamare alla mente la Lega e la sua Padania. Chiedo quindi a Giuseppe quali siano i punti in comune tra il suo pensiero e quello della Lega Nord. «Non c’è niente di più diverso» mi spiega. «La Lega ricerca confini immaginari che utilizza per separare, per dividere. Noi ci limitiamo a credere che i diversi territori abbiano diversi abitanti e diverse esigenze, e cerchiamo di vivere in equilibrio con esse e in totale armonia con le altre bioregioni. I leghisti si limitano a creare una trasposizione locale di un sistema nazionale: i contenuti e la filosofia restano gli stessi. Noi piuttosto consideriamo questi luoghi un’entità viva».
Si parla quindi di mettere al centro le peculiarità alimentari, ambientali, climatiche e culturali di un determinato territorio, inserito in una relazione di reciproco arricchimento con i territori vicini con cui scambia prodotti ed esperienze. Nella visione bioregionalista l’apertura verso l’altro diventa intrinseca e fondamentale e si estende, oltre che a tutti gli esseri umani, ad ogni altra creatura vivente, in un mondo in cui perde di senso il concetto stesso di «straniero».
In un mondo incentrato sulle bioregioni, non avrebbe nessun senso creare nuovi confini come propone la Lega. Al contrario, verrebbero meno quelli degli Stati-Nazione, considerati pesanti e obsoleti. Gli unici «confini» sarebbero, come detto, quelli imposti e proposti dalle montagne e dai fiumi e sarebbero assolutamente aperti e permeabili a tutte le creature viventi.
Forse, in questa nuova-antica visione, le merci circolerebbero con più fatica, in un ribaltamento della logica aberrante contemporanea che vuole le merci detentrici di più diritti rispetto agli esseri umani e agli altri animali.
Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Luglio-Agosto 2013.
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