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Guerre interminabili e migranti planetari

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Profonde disuguaglianze socio-economiche, bisogni elementari calpestati, devastazione ambientale: le cause dei conflitti e delle guerre sono spesso anche quelle delle migrazioni. È l’intero sistema che va cambiato.
Segnatevi la data: 10 maggio 2019. Da quel giorno l’Unione europea è ufficialmente in debito nei confronti del Pianeta. Significa che dal 10 maggio ha iniziato a consumare le risorse del 2020. L’Italia non è da meno: il nostro Overshoot Day, il giorno in cui si può considerare esaurita la biocapacità del Pianeta, è stato il 15 maggio, solo cinque giorni dopo. Per il resto del mondo, la data fatale è arrivata alla fine di luglio. Nel 2018 era stato l’1 agosto.
Noi europei, che siamo solo il 7% della popolazione globale, siamo «signori» e spendiamo le risorse altrui a mani basse. Per mantenere il nostro attuale stile di vita, servono 2,8 Terre ogni anno. Pensate: gli indiani, che sono più del doppio rispetto a noi, ne usano appena lo 0,70%.
Problema serio, questo. Uno dei tanti alla base delle guerre. Il clima che cambia è stato il vero «tema forte» degli ultimi tempi. Lo è stato per alcuni, a dire il vero, cioè per quei milioni di ragazzi che, nel 2018, sono scesi in piazza per dire agli adulti: dobbiamo cambiare. Per ora, non è successo nulla.
Così, continuiamo a leggere il Pianeta attraverso due indicatori, due segnali spia: le migrazioni e le guerre.
Si muovono sempre paralleli, cioè per le medesime cause. Mancanza di diritti, ingiusta distribuzione della ricchezza, spreco di risorse, devastazioni ambientali sono gli elementi che portano, inesorabilmente, a guerre (30 quelle che contiamo quest’anno, con 18 situazioni di crisi) o alla fuga degli esseri umani.
Questi, quelli in fuga o in cerca di una sorte migliore, sono circa 258 milioni. A dirlo è una ricerca delle Nazioni Unite, che spiega anche che le persone che hanno lasciato i loro Paesi di nascita e ora vivono altrove sono aumentate del 49% rispetto al 2000. Allora erano «solo» 173 milioni i migranti planetari.

Migranti nel mondo: come sono distribuiti

Dalla ricerca emerge che oltre il 60% di tutti i migranti vive in Asia (80 milioni) ed Europa (78 milioni). Nel Nord America ce ne sono 58 milioni, in Africa 25. Due terzi di questi emigranti sono distribuiti in appena venti Paesi: 50 milioni sono negli Usa, poi in Arabia Saudita, Germania e Russia, tutti Paesi che ne ospitano ciascuno più o meno dodici milioni. Segue la Gran Bretagna con 9 milioni. L’Italia è all’undicesimo posto, dietro anche a Emirati Arabi, Francia, Canada, Spagna, con 5,9 milioni di persone che vivono stabilmente sul territorio nazionale.
Questi i numeri del fenomeno migratorio nel 2019. È interessante, però accorgersi che, come per le guerre, parliamo di migranti quasi sempre come «effetto». Ci chiediamo: quanti sono? Dove sono? Quali problemi incontrano o fanno nascere? Quasi mai parliamo di migrazioni cercandone le cause, indagando le ragioni che spingono un essere umano a lasciare casa, affetti, storia, per cercare di vivere altrove.
Eppure, sono lì visibili e sono le medesime che scatenano la guerra. Per esempio: la cattiva distribuzione della ricchezza. Secondo la più recente ricerca di Oxfam, l’1% della popolazione mondiale controlla una ricchezza aggregata, complessiva, pari al 47,2% della ricchezza mondiale.
Contemporaneamente, il 50% della popolazione mondiale, cioè 3 miliardi e 800 milioni di individui, ha lo 0,4% della ricchezza del Pianeta. Nel 2018, la ricchezza in mano ai 1900 esseri umani più ricchi è cresciuta complessivamente di oltre 900 miliardi di dollari, cioè del 12%, vale a dire 2,5 miliardi di dollari al giorno. Nello stesso periodo, la ricchezza totale della metà più povera del Pianeta è calata dell’11%. Il risultato è che negli ultimi tre anni è ripresa a crescere la povertà assoluta.
In questo momento, 3,4 miliardi di persone vivono con meno di 5,5 dollari al giorno. Quasi 2 miliardi e mezzo sono sotto la soglia della povertà estrema, cioè non raggiungono 1,9 dollari al giorno. Le conseguenze sono devastanti: si calcola che ogni giorno, nel mondo, 10 mila persone muoiano perché non sono in grado di accedere a cure mediche adeguate a causa della loro povertà.
In India, una donna di rango elevato vive mediamente 15 anni in più rispetto a una povera. In 137 Paesi a economia instabile, un bambino povero ha il doppio delle probabilità di morire prima dei cinque anni rispetto a un coetaneo ricco.

Le disuguaglianze e la tassazione iniqua

Ad aumentare le cause di disuguaglianza, un fenomeno bizzarro, ma conosciutissimo: l’iniqua distribuzione delle tasse. Si può tradurre con un semplice: «Chi meno ha, più paga». La tendenza è in corso da anni. Si tratta della graduale erosione della progressività dei sistemi fiscali e dello spostamento deciso del carico fiscale dalla tassazione della ricchezza e dei redditi d’impresa a quella sui redditi da lavoro e sui consumi. Per esempio: a livello mondiale, nel 2015 appena 4 centesimi per ogni dollaro raccolto dal fisco erano legati a imposte sul patrimonio. Ripeto: 4 centesimi ogni dollaro. Il resto veniva da tasse e imposte su redditi da lavoro o del mercato.

Nei Paesi ricchi, la quota d’imposta per i redditi più alti è crollata dal 62% del 1970 al 38% attuale. L’aliquota di imposta di 90 società multinazionali è scesa dal 34% al 24% negli ultimi diciott’anni. E il risparmio fiscale non ha portato ad alcun maggiore investimento, non ha creato occupazione. Una specie di vicolo cieco, almeno per metà dell’umanità. Pensate: se all’1% della popolazione più ricca venisse oggi aumentato le tasse dello 0,5%, in un solo anno risolveremmo alla radice i problemi dei 2 miliardi e 400 milioni di esseri umani più poveri. Li risolveremmo per sempre. Invece, 830 milioni di individui rischiano la morte per fame. Quasi 2 miliardi di persone hanno problemi con l’acqua, con il pozzo più vicino ad almeno mezz’ora di strada. Ben 260 milioni bambini non hanno alcuna possibilità di andare a scuola.

Alla radice delle guerre nel mondo

Sono ragioni per avere guerre? Sì, lo sono. Senza alcun dubbio. Lo dimostra la coincidenza geografica fra Paesi in difficoltà, poveri e senza diritti e luoghi dove ci sono guerre e migrazioni. Le altre ragioni stanno nelle troppe cose che non vanno. In molti Paesi africani (Liberia, Etiopia, Somalia, per citarne alcuni) non si arriva ad avere un medico ogni mille abitanti. In quegli stessi Paesi, là dove si muore facilmente, la popolazione però continua a crescere, alla media del 3% annuo. Entro il 2020 saranno 2 miliardi e mezzo gli africani, con una età media attorno ai 20 anni. Saranno giovani, tanti, in un continente che fatica a creare condizioni di vita buone.
Cosa faranno? Continueranno a emigrare verso le città, creando megalopoli di 60-90 milioni di abitanti, con problemi di cibo, acqua, assistenza. Altri lasceranno le loro terre e andranno a cercar fortuna altrove. A mandarli via dalle campagne sarà la desertificazione: inquinamento, siccità, deforestazioni sono le cause principali. Negli ultimi 45 anni, una superficie pari a 1,2 miliardi di ettari, cioè l’11% della superficie vegetale della Terra, non è più utilizzabile per l’agricoltura. Si calcola che ogni anno vengano perduti tra i 5 e i 12 milioni di ettari. Una superficie immensa. La più colpita è come sempre l’Africa, dove è degradato circa il 65% dei terreni agricoli. Poi l’America latina (51%), l’Asia (38%) e l’America Settentrionale (34%).
Dove non arriva il nuovo deserto, arriva l’accaparramento delle terre, il Land grabbing. Secondo le stime ufficiali sono 88 i milioni di ettari di terre cedute in uso a Governi o multinazionali, pari a otto volte la superficie del Portogallo. Da quei terreni, per speculazione finanziaria o per controllo del mercato, vengono cacciate milioni di persone ogni anno. Non possono più coltivare la loro terra, sostituite con la forza da altri lavoratori.
In queste condizioni il Pianeta guarda al futuro. Sapendo, però, di avere potenzialmente tra le mani gli strumenti e le idee per risolvere i problemi, creare giustizia, affrontare i conflitti prima che diventino guerre. Si tratta solo di capire cosa ci conviene fare e di iniziare, come cittadini di questo Pianeta, a muoverci per costruire un mondo in grado di ospitarci, bene, tutti. Farlo non è solo giusto, è conveniente, perché saremmo tutti più ricchi. E intelligente, perché vivremmo meglio. E possibile, perché sappiamo quali sono i fattori di conflitto. I ragazzi in piazza nel 2018, sulle orme di Greta Thunberg, ce l’hanno spiegato. Proviamo ad ascoltarli.
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Dicembre 2019

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IL LIBRO

Pensato come un vero e proprio atlante, dove ogni conflitto ha pari dignità, il libro è un annuario aggiornato delle guerre in atto sul Pianeta. Vengono analizzate e spiegate le ragioni di tutti gli scontri armati in corso: chi combatte e perché, qual è la posta in gioco e le ragioni che muovono al conflitto.

Senza prendere mai posizione a favore di nessuna delle parti in causa, l’Atlante è uno strumento fondamentale di informazione e di costruzione di una coscienza civile.

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