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I bambini sono solo numeri?

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Il balletto delle cifre sull’assunzione di psicofarmaci nell’età pediatrica in Italia apparso negli ultimi anni sui giornali mette ancor più in risalto il vero problema: quello culturale, la riduzione dell’infanzia a livello di numeri, bambini-oggetto, bambini strattonati di qui e di là.
La denuncia di Giù le mani dai bambini, che con le sue quasi duecento associazioni consorziate è il primo comitato indipendente di farmacovigilanza nel nostro Paese, è forte innanzitutto nel merito, al di là della definizione precisa delle percentuali di un fenomeno che comunque in senso assoluto è in preoccupante crescita in Europa. Come dice Agostino Pirella, psichiatra e presidente onorario di Psichiatria Democratica: «Il farmaco soffre a essere considerato una merce come tutte le altre». Una delle frasi che mi piace di più e la ripeto spesso, perché è innanzitutto vera: ormai le tecniche di marketing sui farmaci sono le medesime utilizzate per “indurre” il consumo di telefonini, gadget vari, iPod e quant’altro.
Basti pensare che nella vicina Germania è in distribuzione un opuscolo incidentalmente marchiato Novartis, uno dei principali produttori di psicofarmaci per bambini al mondo, che sollecita il bimbo stesso ad accettare lo psicofarmaco, peraltro non una “caramella” bensì una metanfetamina. Bello, accattivante, fumettato e a colori, il libretto spiega al bambino che se è troppo agitato e ingestibile, ricevere la pastiglia è l’unica soluzione valida per andare di nuovo d’accordo con i compagni di classe, farsi apprezzare dagli insegnanti e riottenere la preziosa (per chiunque sia nell’età dello sviluppo) benevolenza di papà e mamma. Terribile, angosciante: il bambino come “soggetto diretto di marketing”, il tutto venduto con la “scusa” di far sentire “normali” i bambini malati di iperattività (malati di cosa?).
Intanto un’altra multinazionale finanzia una equipe di ricercatori a Londra che si sta impegnando a “tracciare” il gene della “timidezza”: vuoi mica che il bambino cresca timido, criminale di un genitore? Poi sarà complessato, non si relazionerà con i coetanei, crescerà disadattato. Allora troviamo il gene, correggiamo, normalizziamo, magari con un farmaco, così faremo il bene del bimbo, perché oggi tutto ciò che è “diverso” è patologico, o comunque da guardare con sospetto.
No, c’è qualcosa di terribilmente sbagliato in tutto ciò. Dove sono le risorse per la scuola, con i suoi pedagogisti? Dov’è la famiglia che si prende cura e carico del proprio figlio? Dove sono gli esperti psicologi disposti a battere i pugni sul tavolo per ottenere da questo perverso sistema “fastfood” il tempo necessario per indagare a fondo il disagio e risolverlo, senza la fretta del “tutto e subito”, della pastiglietta che (solo apparentemente, e a quale prezzo?) risolve ogni problema?
Mentre le soluzioni dettate dal buon senso latitano, come racconto nel mio ultimo libro Salviamo Gian Burrasca, gli interessi commerciali non esitano neppure un minuto: una lieve flessione nelle prescrizioni negli ultimi due anni per gli antidepressivi, che sono la nuova frontiera della medicalizzazione di bimbi e adolescenti? Nessun problema, dicono i produttori: chiediamo e otteniamo dall’Agenzia europea del farmaco l’abbassamento della soglia di prescrivibilità per una nota (e alquanto redditizia: 6 mila miliardi di vecchie lire all’anno) molecola antidepressiva, il Prozac. Da qualche tempo lo si può somministrare anche ai bambini di otto anni: trovato il disagio, inventata la cura. Possibilmente che renda.

Articolo tratto da Terra Nuova di Giugno

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Questo libro racconta la storia di una sfida lanciata da un gruppo di genitori, medici, psicologici, educatori e giornalisti contro il marketing aggressivo delle multinazionali farmaceutiche, responsabili della crescente medicalizzazione dell’infanzia e dell’indiscriminata somministrazione di psicofarmaci a bambini e adolescenti.
Tramite documenti e testimonianze dirette, il libro svela i meccanismi di un mercato miliardario che ha tutti gli interessi ad amplificare i problemi psicologici, comportamentali e di apprendimento dei minori.
Il libro è anche la storia di uomini e di donne che hanno deciso di rompere il velo di omertà su questa pericolosa tendenza. Un invito raccolto da oltre duecento realtà associative in tutto il paese, centinaia di migliaia di medici, psicologi, pedagogisti e altri addetti ai lavori del mondo della salute, nonché da alcuni protagonisti nel mondo dello spettacolo che partecipano alla campagna Giù le mani dai bambini®, nata per evitare che i nostri ragazzi vengano etichettati sin dai primi anni di vita per ipotetici disturbi che nella maggior parte dei casi nascondono una semplice richiesta di ascolto.
Con una prefazione del candidato al Premio Nobel Ervin Laszlo.

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