L’appello lanciato da due gruppi di esperti della materia: «La tecnologia digitale può semplificare alcuni iter, ma imporla a tutti comporta troppi rischi per la privacy e l’inclusione. Vogliamo sensibilizzare i cittadini».
No all’obbligo digitale, troppi rischi reali per la privacy dei cittadini e per l’inclusione. Non si possono costringere le persone a passare per la tecnologia digitale per avere accesso ai servizi: è, in sintesi, la sostanza dell’appello pubblico(1) lanciato dal blog Rimarchevole e da Exit(2), gruppi informali di esperti della materia che hanno diffuso una sorta di lettere aperta per la quale raccolgono adesioni e che sarà inviata al Garante per la protezione dei dati personali.
«Ho aderito senza esitazione, poiché ritengo che questa sia una battaglia importantissima da condurre soprattutto in questo momento storico» spiega Michele Bottari, esperto di economia e tecnologia informatica e autore del manuale
Come sopravvivere all’era digitale (Terra Nuova Edizioni).
«Intendiamoci, non si vuole criminalizzare la digitalizzazione. Finché rimane un’opportunità, può essere valutata positivamente» prosegue Bottari. «Utilizzare lo SPID per avere un certificato online al posto di fare fisicamente la coda in Comune può essere una semplificazione, anche se riservata a persone tecnologicamente evolute. Ma se questo diventasse un obbligo, assisteremmo all’emarginazione di intere categorie svantaggiate: persone con disabilità, anziani, soggetti poco inclini alla tecnologia o semplicemente diffidenti. E questo, sottotraccia, sta già avvenendo. Oggi chi non possiede uno smartphone e non ha dimestichezza con strumenti come cloud, social network, identità digitale, ha diritti di cittadinanza compressi. Chi non si fida di diavolerie come riconoscimento facciale, rilevamento di impronte digitali e altri dati biometrici, viene etichettato facilmente come poco meno che terrorista. Un tempo queste imposizioni avvenivano solo a opera di aziende commerciali, oggi purtroppo sono sempre più attuate dalle istituzioni».
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